«Il cattolicesimo è la sola religione in cui morirei»
(Oscar Wilde)
Di Luca Fumagalli
Autunno del 1900. Oscar Wilde si trova a Parigi. Un vecchio problema all’orecchio, eredità di due anni di dura prigionia, si ripresenta sotto forma di emorragie che, oltre a spossarlo, lo obbligano ad assidue cure mediche. Ormai è praticamente costretto a letto. L’unico amico che gli rimane è Robbie Ross, una vecchia fiamma degli anni felici della gioventù che, scontati i peccati del passato, si è convertito al cattolicesimo e svolge ora la professione di giornalista. Sentendo prossima la fine anche Oscar decide di compiere il grande passo, quello che aveva rimandato per tutta la vita. Rendendosi conto che l’agonia è iniziata, Ross si precipita a cercare un sacerdote presso il vicino convento dei passionisti. Per un singolare scherzo del destino riesce a trovare un religioso irlandese, padre Cuthbert Dunne, che immediatamente amministra i sacramenti a Wilde. Lo stanco scrittore muore in pace mentre stringe tra le mani un rosario. È il 30 novembre.
Noto comunemente come grande scrittore esponente dell’estetismo, dandy imperituro che con abiti e atteggiamenti anticonvenzionali scosse il perbenismo della società vittoriana, in realtà Oscar Wilde (1854-1900) fu molto di più del poeta maledetto con cui, soprattutto in Italia, la critica ha cercato di etichettare sbrigativamente una personalità sfuggente e contraddittoria. Accanto a immortali capolavori come Il ritratto di Dorian Gray, Il fantasma di Canterville o L’importanza di chiamarsi Ernesto, della suo biografia sopravvivono nell’immaginario collettivo solamente pochi frammenti, legati soprattutto alle relazioni scabrose come quella con Lord Alfred Douglas che, oltre alla carriera, gli costarono anche diversi mesi di detenzione. In altre parole, l’unico Wilde che resiste agli assalti del tempo è il cantore degli eccessi: «Non c’è nulla che faccia bene se usato con moderazione. Non puoi sapere che cosa ci sia di buono in una cosa finché non le avrai strappato il cuore».
Eppure, al di là degli scandali, la vita di Wilde è come attraversata da una sorta di fiume carsico che ha la sua sorgente nella nativa Irlanda. L’isola di smeraldo, patria di miti e leggende, è anche la terra del cristianesimo, dove la fede è stata preservata con singolare tenacia nonostante le calamità che, nel corso dei secoli, si sono abbattute su di essa. Dalle violenze di Cromwell alla carestia di metà ‘800, l’Irlanda è stata sovente vittima dei soprusi della vicina Inghilterra, eppure ha saputo mantenere inalterato quel legame di figliolanza che da sempre ha nutrito nei confronti di Roma.
La biografia di Wilde è dunque una ricerca della Bellezza e della Verità che, a partire dalle circostanze storiche e poetiche, si sostanzia in una conversione che giunge poco prima della morte. “L’arte per l’arte”, celebre motto coniato da Walter Peter e fatto proprio da Wilde, corrisponde solo a una parte – e certamente la meno importante – di un’esistenza condotta sul crinale, sempre in bilico tra la fede e la mondanità.
Del resto la storia del famoso scrittore è simile a quella di altri artisti che, a cavallo tra XIX e XX secolo, trovarono un appagamento al loro disordinato desiderio di felicità proprio nella Chiesa cattolica. John Gray – amico personale di Wilde e ispiratore del personaggio di Dorian Gray che, non a caso, porta il suo cognome – Ernest Dowson, Aubrey Beardsley, Ronald Firbank e Frederick Rolfe sono solo alcuni dei tanti che abbandonarono i riprovevoli costumi giovanili per convertirsi al cattolicesimo, sovente attratti dalla bellezza della liturgia e dal latino, una lingua senza tempo che con il suo carisma costituiva l’unico possibile baluardo alla decadenza della società moderna. Molti di questi ex bohémien, compresi diversi amici di Wilde, presero poi i voti, diventando sacerdoti o monaci.
A rendere ancora più ostico il percorso dello scrittore verso la conversione vi era la sua naturale socialità e la disponibilità a venire a patti con qualsiasi tentazione. Questo aspetto è verificabile anche nella distanza che separa il suo Il ritratto di Dorian Gray da A rebours di Karl Huysmans, il primo narratore del decadentismo a diventare cattolico. Se il protagonista del fortunato romanzo del francese si rinchiude in una sorta di prigione dorata, fatta di bellezza e sensazioni amplificate, per sfuggire a un mondo meschino che deplora, Dorian Gray, al contrario, prova un piacere perverso a sguazzare tra i bassifondi esistenziali di un’Inghilterra degradata: «Non mancare mai di rispetto alla buona società… solo chi non riesce ad accedervi lo fa». Tutto sommato, però, anche nel libro che è considerato il manifesto dell’estetismo non sono affatto secondari temi morali come il peccato, la perversione e il tentativo luciferino di sconfiggere la morte venendo a patti con il male. L’arte, in Wilde, non è mai qualcosa di superficiale e scontato. É uno strumento impiegato per sondare l’anima e, anche quando lo scrittore sembra dimenticarsene, il suo attrezzo è così accurato che continua a lavorare indisturbato.
Basterebbe descrivere l’arredamento della sua casa a Londra, nel 1879, per rendersi conto del valore di questa forza operante lungo l’arco esistenziale dell’irlandese. Viveva con l’amico pittore Frank Miles, e quella che più tardi avrebbero ribattezzato come la “Casa del Tamigi” era in realtà un’abitazione trasandata, vecchia e buia. A Wilde toccò il secondo dei tre piani e lo riempì presto di porcellane cinesi, libri, statuette di Tanagra, tappeti greci, ma anche oggetti religiosi come una Madonna di gesso, una foto di Pio IX e una del cardinale Manning. Gli scaffali, stracolmi di esotismo, funzionano come una sorta di correlativo oggettivo dell’animo del poeta, drammaticamente lacerato nel gioco dell’esistenza.
Il ritratto di Oscar Wilde di Paolo Gulisano si incarica dunque di presentare al lettore italiano una biografia a tutto tondo di una delle penne più geniali del XIX secolo. E lo fa con singolare fortuna, coniugando una prosa leggera e godibile a una mole impressionante di dati e annotazioni (chiudendo tra l’altro ogni capitolo con un piccolo elenco degli aforismi più brillanti di Wilde). Per la prima volta il saggio di Gulisano rende giustizia alla complessità caratteriale dello scrittore facendo riemergere dall’oblio quegli elementi religiosi fortemente presenti nella sua vita ma troppo spesso taciuti. Il risultato è un affresco incantevole, la storia portentosa del riscatto di un’anima in limine mortis. Molto probabilmente lo stesso Wilde dovette sentirsi un po’ come il buon ladrone – un fortunato paradosso – quando scrisse: «Il vero stolto è colui che non conosce se stesso».
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PAOLO GULISANO, Il ritratto di Oscar Wilde, Milano, Ancora, 2009, pp. 192.
Dato il tipo, i suoi libri andrebbero come minimo messi all’indice e non pubblicizzati su questo ‘santo’ sito!!!! Vergogna…l’elogio del “cantore degli eccessi”. A parte che bisogna vedere se si è pentito sentitamente in punto si morte o l’ha fatto rimanendo nelle sue convinzioni ma con la paura dell’Inferno oramai vicino. Invece di pubblicizzare, elencandoli, libri scritti da persona in peccato mortale mentre li redigeva; parlate degli scritti dei Martiri della Chiesa! Il fumo di Satana ha infaso pure RadioSpada?
una conversione è sempre una bella cosa, sia pure in articulo mortis e per paura di finire all’Inferno
I sodomiti su Radio Spada, nuova rubrica?
anche la rubrica “I calvinisti di RS” ci starebbe
Cari amici,
nessun fumo di Satana. RS dedica ampio spazio agli scritti dei Martiri della Chiesa e continuerà a farlo.
Veniamo a noi. Alla luce dei vostri commenti temo di non essere stato sufficientemente chiaro nell’articolo perché, mi pare, che lì siano contenute tutte le risposte alle obiezioni che muovete.
Vi riamando comunque alla lettura del libro di Gulisano, caro amico e sincero cattolico, per fugare ogni eventuale dubbio residuo. Per mia parte posso solo aggiungere alcune considerazioni.
1) Molto probabilmente Wilde fu fatto battezzare dalla madre all’età di cinque anni, anche se poi non fu mai educato in senso cattolico. Il padre, infatti, era un fervente protestante e le sue minacce impedirono a più riprese la conversione del figlio, un anelito che Oscar aveva manifestato sin dalla gioventù.
2) Il desiderio di abbracciare il cattolicesimo ha dunque attraversato tutta la vita di Wilde e ne sono testimonianza, solo per fare qualche esempio, i viaggi a Roma – tra l’altro Oscar spese parole d’elogio per il Papa a cui dedicò anche alcuni componimenti poetici –, l’interesse per le vita e le opere di due celebri cardinali inglesi come Newman e Manning e, in ultimo, l’affetto devoto per la Madonna e per grandi santi come Agostino.
3) Dal punto di vista letterario le opere di Wilde sono nella quasi totalità lavori profondi e altamente morali. Oltre a quanto citato nell’articolo segnalo qui le bellissime fiabe o un capolavoro imperdibile come il “De profundis”, una commossa invocazione a Cristo simile alle “Confessioni” di Sant’Agostino. Dunque tutto l’opposto dell’autocompiacimento pagano di un D’Annunzio – a cui Wilde è spesso erroneamente associato – i cui libri, non a caso, sono all’indice.
4) Wilde era sodomita? Sì, anche se per dovere di cronaca segnalo che era sposato con prole. Ma non è questo il punto. Essere sodomita, grazie al cielo, non fu l’unica cifra esistenziale di Wilde che, come tutti, peccava inseguendo passioni disordinate. Nell’arco della vita tentò a più riprese di fuggire dagli eccessi confidando nel conforto spirituale di qualche sacerdote, anche se i vizi alla fine ebbero sempre il sopravvento (almeno fino alla conversione sul letto di morte). Questo fa di lui un mostro? No, fa di lui un uomo che, come l’amato Sant’Agostino, invocò per tutta l’esistenza una Grazia “posticipata”, incapace di abbandonare le lusinghe del mondo. Il libro di Gulisano mostra proprio questo: nella biografia di Wilde c’è molto di più del banale stereotipo a cui è solitamente ridotto. Liquidare Wilde come sodomita sic et simpliciter è dunque fare un grave torto a una figura che, come tutti gli esseri umani, visse di contraddizioni ma che, almeno alla fine, morì in stato di Grazia (impossibile dire se solo per la paura dell’inferno – unicamente Dio conosce il cuore degli uomini – ma la sua vita, come documentato, sembrerebbe comunque smentire questa ipotesi).
Spero di aver risposto adeguatamente.
Luca Fumagalli
Grazie Luca, leggo sempre e apprezzo tantissimo le tue rubriche letterarie che mi colmano molti vuoti lasciati dalla scuola e dalla formazione giovanile (lacunosissima). Wilde mi è sempre stato simpatico senza che capissi il perché, adesso invece direi che lo capisco 🙂
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Grazie per la risposta pacata. Le avevo contro risposto lungamente ma il server mi si è impallato ed ho perso tutto all’atto dell’invio:-(
Provo a riscrivere la mia risp
In gioventù ammetto di aver letto Il ritratto di Dorian Gray e a questo punto non mancherò di leggere il libro da lei consigliato. Nella vita, ho sempre pensato che per affrontare le sfide del vivere quotidiano è sempre meglio essere medi lettori ma vari nel leggere piuttosto che leggere tanto ma solo ciò che sta nelle proprie corde. Io appartengo ai lettori che leggono anche cose lontane dalla propria forma mentis per comprendere il pensiero del prossimo ma francamente vedo la differenza con i miei figli quando avevo la loro etá; ai miei ragazzi tra i pochi in Italia a fare homeschooling ho sempre consigliato libri di un certo tenore e debbo riscontrare positive diversitá dal padre:-)
Ritengo che la Chiesa debba istituire più che un nuovo Indice, un elenco di libri consigliati diviso per etá ed interessi…
Veh… come siamo acidi con i commenti. Innanzitutto i libri di Wilde non sono necessariemente immorali. Anzi c’e` una forte morale in testi come Il Ritratto di Dorian Gray e anche altri racconti.
Aggiungerei però che la cosa peggiore è che qui si sta sputando contro un uomo che comunque ha cercato la fede e Cristo, nonostante la sua vita travagliata.
Mi chiedo se i commentatori sui sopra sputassero anche su Cristo perchè mangiava con pubblicani e prostitute, oppure prenderebbero a sassate S. Matteo perchè un tempo era un pubblicano o direbbero che Gesù perde tempo a farsi lavare i piedi dalla peccatrice.
Alla fine non c’è più gioia in Paradiso per 1 peccatore convertito che 99 santi?
sputerebbero*
Ma difatti, giustifichiamo pure la Comunione data a Luxuria che si vanta di essere Trans e poi suma appost…sono persone che come minimo hanno forti turbe mentali questi sodomiti renitenti quindi non propagandiamo il perdono senza pentimento profondo di bergogliana memoria! E’ facile pentirsi in punto di morte…certo è valido farlo e solo Dio valuterà se è stato un pentimento sincero; nel dubbio io valuto in linea con il magistero di sempre la vita di questi e ne traggo le dovute conseguenze personali quanto entro in libreria!Diversi vescovi dalle rette omelie si sono scoperti grandi peccatori…certo sono umani, certo vivono in questo millennio marcio ma è soprattutto vero che chi predica bene e poi razzola male non fa per me. Va bene peccare una, due, tre volte ma poi se continui a caderci non è il fatto “di essere umano” ma è “di essere lussuriosi”. Si fosse messo il cilicio lì vedi che non ci cascava più….
il “vizio dei greci” non è paragonabile a quello di Wilde poiché egli, oltre ad avere due figli (quindi si potrebbe al max parlare di bisessualità) andava in buona sostanza con minorenni più che con persone della sua età. Tecnicamente si potrebbe parlare di un disturbo psichiatrico dovuto ad una sorta di ripudio del genere femminile per motivi traumatici causati da disturbi, probabilmente, dell’ipotalamo. Sarebbe stato sufficiente curarlo e certamente sarebbe tornato nella condizione primigenia. Quindi, sebbene l’uranismo sia una malattia prevalentemente legata a problemi d’ipotalamo, in Wilde essa è postuma e non intrinsecamente a lui legata. Per quanto non gradisca l’autore, mi complimento nuovamente con il prof Fumagalli, per l’ottima critica letteraria. Come lo definì Avvenire, egli è davvero un giovane e brillante anglista italiano. :))))