Pubblichiamo questo saggio, sicuramente datato, ma dotato di interesse storico e documentale. Lo facciamo per continuare l’approfondimento circa gli sviluppi del Cattolicesimo intransigente “dopo il Concilio” [RS]
«Catolicismo», n° 223, luglio 1969, San Paolo del Brasile.
di Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira
Introduzione
La teologia ci fornisce numerose ragioni a sostegno della tesi secondo cui, in via di principio, vipossono essere errori in documenti del magistero non forniti delle condizioni di infallibilità. Tali ragioni sono tante e di tale peso che ci pare sufficiente fare cenno ad alcune di esse per dare al lettore una visione sommaria dell’argomento.
Possibilità di errori in documenti episcopali
Dobbiamo anzitutto notare che il magistero della Chiesa si compone del Papa e dei vescovi, unici autorizzati a parlare ufficialmente a nome della Chiesa come interpreti autentici della Rivelazione. Sacerdoti e teologi non godono del privilegio dell’infallibilità in nessun caso, neppure quando insegnano con la missione canonica ricevuta dal Papa o da un vescovo. Anche i vescovi, quando parlano isolatamente o insieme, possono errare, a meno che, in Concilio o fuori di esso, definiscano un dogma assieme al Sommo Pontefice (cum Petro et sub Petro). Nella dottrina della Chiesa è pacifico il principio secondo cui i vescovi non sono mai infallibili quando si pronunciano senza il Sommo Pontefice. In proposito mons. Antonio de Castro Mayer, vescovo di Campos, scrive: «essendo infallibile il magistero pontificio, e fallibile, anche se ufficiale, quello dei singoli vescovi, è possibile, per la fragilità umana, che l’uno o l’altro vescovo cada in errore; e la storia registra alcune di tali cadute»[1].
A questo punto, dunque, s’impone una conclusione: quando ragioni evidenti mostrano che un vescovo, alcuni vescovi insieme o anche tutto l’episcopato di un Paese o di una parte del globo sono caduti in errore, niente autorizza il fedele ad abbracciare questo errore adducendo la scusa che non gli è lecito divergere da coloro che sono stati posti da nostro Signore a capo del suo gregge. Sarà per lui lecito, o persino doveroso, dissentire da siffatti insegnamenti episcopali. Questo dissenso, a seconda dei casi, potrà essere anche pubblico.
La definizione del Concilio Vaticano I
Passando dai documenti episcopali a quelli pontifici, vedremo inizialmente che, in via di principio,anche nell’uno o nell’altro di questi vi può essere qualche errore in materia di fede e di morale. Il fatto si ricava dalla definizione stessa della infallibilità pontificia data dal Concilio Vaticano I. In essa si stabiliscono le condizioni nelle quali il Papa è infallibile. È facile comprendere che, quando non vengano osservate tali condizioni, in via di principio potrà esservi errore anche in un documento papale[2]. In altri termini potremmo dire che il semplice fatto che i documenti del magistero si dividano in infallibili e in “non infallibili” lascia aperta, in teoria, la possibilità di errore in qualcuno di quelli non infallibili. Questa conclusione si impone in base al principio metafisico enunciato da San Tommaso d’Aquino: «quod possibile est non esse, quandoque non est», «ciò che può non essere [infallibile], talora non è [infallibile]»[3].
Se, in via di principio, in un documento pontificio vi può essere errore per il fatto che non sono osservate le quattro condizioni dell’infallibilità, lo stesso si deve dire a proposito dei documenti conciliari, quando non osservino le medesime condizioni. In altri termini, quando un Concilio non intende definire con voluntas obligandi verità di fede come divinamente rivelate, può cadere in errore. Questa conclusione deriva dalla simmetria esistente tra l’infallibilità pontificia e quella della Chiesa, simmetria messa in evidenza dallo stesso Concilio Vaticano I[4].
Sospensione dell’assenso interno
A favore della tesi secondo cui de jure, in via di principio, vi può essere errore anche in documenti pontifici e conciliari milita pure 1’argomento che teologi tra i più quotati ammettono che, in casi molto specifici e straordinari, il cattolico può sospendere il suo assenso ad una decisione del magistero.
Di per sé le decisioni pontificali, anche quando sono non infallibili, postulano l’assenso sia esterno (“silenzio ossequioso”) che interno dei fedeli. Pio XII nella Humani generis ha espresso questa verità in termini incisivi: «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del magistero ordinario, per cui valgono pure le parole: “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc. X, 16)»[5]. Tuttavia, quando vi costatasse «un’opposizione precisa tra un testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione apostolica»[6], allora sarà lecito al fedele dotto e che abbia studiato accuratamente la questione, sospendere o negare il suo assenso al documento papale. Questa dottrina si trova in teologi molto autorevoli. Ne citiamo alcuni.
• «Questi atti non infallibili del magistero del Romano Pontefice non obbligano a credere e non postulano una sottomissione assoluta e definitiva. Tuttavia bisogna aderire con un assenso religioso e interno a tali decisioni, dal momento che costituiscono atti del supremo magistero della Chiesa, e che si fondano su solide ragioni naturali e soprannaturali. L’obbligo di aderire ad esse può cominciare a cessare solo nel caso, che si da soltanto rarissimamente, in cui un uomo idoneo a giudicare l’argomento in questione, dopo una diligente e ripetuta analisi di tutte le ragioni, giunga alla convinzione che nella decisione si è introdotto l’errore»[7].
«[…] Si deve assentire ai decreti delle Congregazioni Romane, finché non diventi positivamente chiaro che hanno errato. Siccome le Congregazioni, per sé, non forniscono un argomento assolutamente certo a favore di una data dottrina, si possono o perfino si devono indagare le ragioni di questa dottrina. E così, o succederà che tale dottrina sia lentamente accettata in tutta la Chiesa raggiungendo in questo modo la condizione d’infallibilità, o succederà che l’errore sia a poco a poco individuato. Infatti, siccome il citato assenso religioso non si basa su una certezza metafisica, ma solo morale, non esclude ogni timore di errore per accidens. Perciò appena sorgano sufficienti motivi di dubbio, l’assenso sarà prudentemente sospeso; ciò nonostante, finché non si presentino tali motivi di dubbio, l’autorità delle Congregazioni basta per obbligare ad assentire. Gli stessi princìpi si applicano senza difficoltà alle dichiarazioni che il Sommo Pontefice emette senza coinvolgere la sua autorità suprema e anche alle decisioni degli altri superiori ecclesiastici, che non sono infallibili»[8].
«[…] Finché la Chiesa non insegna con autorità infallibile, la dottrina proposta non è di per sé irreformabile; perciò, se per accidens, in un’ipotesi per altro rarissima, dopo un esame assai accurato a qualcuno sembra che esistano ragioni gravissime contro la dottrina così proposta, sarà lecito senza temerarietà sospendere l’assenso «[…] Se alla mente del fedele si presentano ragioni gravi e solide, soprattutto teologiche, contro decisioni del magistero autentico [=non infallibile], sia episcopale che pontificio, gli sarà lecito respingere l’errore, assentire condizionatamente, o perfino sospendere anche l’assenso […]»[9].
• Nell’ipotesi di decisioni non infallibili «deve il suddito, eccetto il caso in cui abbia l’evidenza che la cosa comandata sia illecita, dare un assenso interno. […] Se poi qualche dotto studioso avesse delle ragioni gravissime per sospendere l’assenso, può sospenderlo senza temerità e senza peccato […]»[10].
Il consiglio dato per lo più al fedele, in tali casi è di «sospendere il giudizio» sull’argomento. Se detta «sospensione del giudizio» suppone un’astensione, da parte del fedele, da qualsiasi presa di posizione di fronte all’insegnamento pontificio in questione, essa rappresenta soltanto una delle posizioni lecite nell’ipotesi considerata. Di fatto la «sospensione dell’assenso interno», di cui parlano i teologi, ha un significato più ampio della semplice «sospensione del giudizio» del linguaggio corrente. A seconda delle circostanze, il diritto di «sospendere l’assenso interno» comporta quello di temere che vi sia errore nel documento del magistero, di dubitare dell’insegnamento in esso contenuto, o anche quello di rifiutarlo.
Una prima possibile obiezione
Alla tesi che stiamo sostenendo sarebbe possibile obiettare che non tutti gli autori ammettono questa sospensione dell’assenso interno. È il caso di Choupin[11], Pègues[12] e Salaverri[13]. Tuttavia anche questi autori non negano la possibilità di errore nei documenti del magistero: «posto che la decisione non viene garantita dall’infallibilità, la possibilità di errore non è esclusa»[14]. Essi sostengono soltanto che la grande autorità religiosa del Papa, il valore scientifico dei suoi consiglieri e tutto quanto circonda i documenti non infallibili consigliano di non sospendere l’assenso interno, anche quando uno studioso abbia ragioni serie per pensare che la decisione pontificia sia affetta da errore.
Non è il caso di analizzare in questa sede con maggiori particolari la posizione di questi teologi. Per il momento ci basta di aver dimostrato, come abbiamo fatto, che anch’essi ammettono la possibilità di errore in documenti del magistero ordinario. Quanto al giudizio da emettere a proposito della loro tesi secondo cui non è mai permesso sospendere l’assenso interno[15], crediamo che questi autori non abbiano preso in considerazione l’ipotesi che si trovino uniti nello stesso caso i seguenti fattori: 1) che le circostanze della vita concreta obblighino, in coscienza, il fedele a prendere posizione di fronte a un problema; 2) che gli appaia evidente un’opposizione precisa tra l’insegnamento del magistero ordinario sull’argomento e le altre testimonianze della Tradizione; 3) che la decisione infallibile, capace di mettere termine alla questione, non sia stata proferita. Nell’ipotesi, dottrinalmente ammissibile, che questi tre fattori si uniscano, ci sembra che nessun teologo condanni la sospensione dell’assenso interno ad una decisione non infallibile. Condannarla sarebbe perfino un atto contro natura e violento, perché significherebbe obbligare a credere, contro l’evidenza stessa, in qualcosa che non è garantito dall’infallibilità della Chiesa.
Altra possibile obiezione
Contro la tesi secondo cui vi possono essere errori in documenti del magistero ordinario pontificio o conciliare si presenterebbe anche un’altra obiezione: secondo alcuni autori di valore, come i cardinali Franzelin e Billot, anche i documenti non infallibili sono garantiti contro qualsiasi errore dall’assistenza dello Spirito Santo[16]. In questo modo, la tesi che stiamo sostenendo potrebbe sembrare incerta e ci si potrebbe chiedere se non sarebbe più consono allo spirito eminentemente gerarchico, e perfino monarchico, dell’organizzazione della Chiesa, adottare il parere di questi eminenti teologi. Non sarebbe, infatti, più conforme alla condizione di figli della Chiesa ammettere che è assurdo che vi sia qualche errore anche in pronunciamenti non ex cathedra? Un’analisi esauriente di questo problema ci porterebbe molto oltre gli obiettivi del presente studio. Perciò qui ci interessa soltanto di mostrare che anche i cardinali Franzelin e Billot, come gli altri teologi che ne adottano la posizione, in ultima analisi ammettono la possibilità di errore in documenti non infallibili.
Essi partono dal presupposto che i documenti della Santa Sede o insegnano una dottrina infallibile, oppure dichiarano che una determinata sentenza è sicura o non è sicura: «In queste dichiarazioni, benché la verità della dottrina non sia infallibile – ammesso che non vi sia intenzione di definirel’argomento – vi è tuttavia sicurezza infallibile, in quanto per tutti è sicuro abbracciarla e non è sicuro respingerla, e questo non può essere fatto senza violare la sottomissione dovuta al magistero costituito da Dio»[17]. Questi autori, dunque, riconoscono che nei pronunciamenti non infallibili il magistero non si impegna nell’affermare la verità della dottrina che propone, ma sostiene soltanto che questa dottrina non presenta pericolo per la fede nelle circostanze del momento. Questi teologi ammettono chiaramente, che l’insegnamento contenuto in questi documenti può essere falso: «La dottrina a favore della quale esiste una solida possibilità che non si opponga alla regola della fede [in tal senso dichiarata “sicura”] sarà forse teologicamente falsa sul terreno speculativo, cioè se presa in rapporto alla norma di fede oggettivamente considerata»[18]. È evidente, pertanto, che anche questi autori ammettono la possibilità di errore per quanto riguarda la dottrina contenuta in documenti del magistero ordinario.
Che pensare poi della teoria secondo cui i pronunciamenti non infallibili mirano soltanto a dichiarare che una dottrina è sicura o non è sicura? Questa teoria non sembra concordare con i termini della maggior parte dei documenti della Santa Sede. In alcuni chiaramente si tratta soltanto della sicurezza o del pericolo di una certa dottrina, ma in molti altri – nelle encicliche, per esempio – è manifesto il proposito di presentare insegnamenti come certi, e non solo come sicuri. Inoltre, gli autori in generale hanno abbandonato questa teoria[19]. Tuttavia, ora non è il caso di analizzare dettagliatamente la citata posizione dei cardinali Franzelin e Billot. Ci basta solo sottolineare che, anche secondo loro, in via di principio non si può escludere la possibilità di errore dottrinale in documenti pontifici e conciliari.
Conclusione
Da quanto esposto si deduce che, in via di principio, non ripugna l’esistenza di errori in documenti non infallibili del magistero anche pontificio e conciliare. Indubbiamente tali errori non possono essere durevolmente proposti nella Santa Chiesa fino al punto da mettere le anime nel dilemma di accettare l’insegnamento falso oppure di rompere con la Chiesa. Tuttavia è possibile, in via di principio, che per qualche tempo, soprattutto in periodi di crisi e di grandi eresie, si trovi qualche errore in documenti del magistero.
Com’è evidente, facciamo queste osservazioni senza alcun obiettivo demolitore. Non miriamo a fondare le «contestazioni» ereticali con cui i progressisti cercano, in ogni momento, di scuotere il principio di autorità nella Chiesa. Quello a cui di fatto miriamo, mettendo in risalto la possibilità di errore in documenti non infallibili, è di illuminare i problemi di coscienza e gli studi di molti antiprogressisti, che, per il fatto di ignorare tale possibilità, si trovano spesso in condizione di perplessità per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e le riforme da esso scaturite.
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[1] Mons. Antonio de Castro Mayer, Problemi dell’apostolato moderno, trad. it., Edizioni dell’Albero, Torino, 1963, p. 114. Sulla possibilità, ammessa da tutti gli autori cattolici, che singoli vescovi e anche interi episcopati cadano in errore e perfino in eresia, cfr. Christianus Pesch, Praelectiones Dogmaticae, Herder, Friburgo, 1898, tomo I, pp. 259-261; H. Hurter, Theologiae DogmaticaeCompendium, Wagneriana-Bloud et Barral, Innsbruck-Parigi, 1883, tomo I, p. 263; Michel D’Herbigny, Theologica de Ecclesia, Beauchesne, Parigi, 1921, vol. II, p. 309; J. M. Hervè, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche et Pagis, Parigi, 1952, vol. I, p. 485; Ioachim Salaverri, De Ecclesia Christi, in Sacrae Theologiae Summa, B.A.C, Madrid, 1958, vol. I, p. 682.
[2] Il Concilio Vaticano I insegna che il Sommo Pontefice è infallibile «quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede ed i costumi, da tenersi obbligatoriamente da tutta la Chiesa» (DS, 3074).
[3] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3.
[4] DS, 3074.
[5] Pio XII, Humani generis, 12-8-1950, in La Chiesa, “Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes”, trad. it. Ed. Paoline, Roma, 1961, p. 248.
[6] Paul Nau, Une source doctrinale: les encycliques, Les Editions du Cèdre, Parigi, 1952, pp. 83-84.
[7] Franciscus Diekamp , Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 72.
[8] Christianus Pesch, Praelectiones Dogmaticae, cit. vol. I, pp. 314-315.
[9] H. Hurter, Theologiae Dogmaticae Compendium, cit., vol. I, p. 492.
[10] Sisto Cartechini, Dall’Opinione al Domma, La Civiltà Cattolica, Roma, 1953, pp. 153-154. Nello stesso senso si pronunciano Christianus Pesch, Compendium Theologiae Dogmaticae, Herder, Friburgo, 1921, tomo I, pp. 238-239; Ludovicus Lercher, Istitutiones Theologiae Dogmaticae, Herder-Raucb, Barcellona-Innsbruck, 1951, vol. I, pp. 297-298; J. Forget, voce Congrégations Romaines, in «Dictionnaire de Théologie Catholique», tomo III, coll. 1108 1111; Josephus Mors, Istitutiones Theologiae Fundamentalis, Vozes, Petrópolis, 1943, tomo II, p. 187; J. Aertnys – A. Damen,Theologia Moralis, Marietti, Torino, 1950, tomo I, p. 270; Marcellino Zalba, Theologiae Moralis Compendium, BAC, Madrid, 1958, vol. II, p. 30, n. 21.
[11] Cfr. Lucien Choupin, Valeur des Décisions Doctrinales et Disciplinares du Saint-Siège,Beauchesne, Parigi, 1928, pp. 53 ss. e 88 ss.; ID., Motu proprio Praestantia de S. S. Pie X, in «Etudes», 5-1-1908, tomo 114, pp. 119 ss.; ID., Le décret du Saint-Office sa valeur juridique, in «Etudes», 5-8-1907, tomo 112, pp. 415-416.
[12] Cfr. T. Pegues, in Revue Thomiste, novembre-dicembre 1904, p. 531, cit. in Lucien Choupin,Valeur des décisions doctrinales et Disciplinares du Saint-Siège, cit., pp.54-55.
[13] Cfr. Ioachim Salaverri, De Ecclesia Christi, cit., vol. I, pp. 725-726.
[14] Lucien Choupin, Valeur des Décisions Doctrinales et Disciplinares du Saint-Siège, cit., p. 54. Cfr. T. Pegues, art. cit., p. 531; Ioachim Salaverri, De Ecclesia Christi, cit., p. 722.
[15] Cfr. Arnaldo Vidigal Xavier Silveira, L’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?
[16] Cfr. Ioannes Baptista Franzelin, Tractatus de Divina Traditione et Scriptura, Marietti, Roma-Torino, 1879, pp. 116-120; Ludovicus Billot, Tractatus de Ecclesia Christi, Giacchetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 434-439.
[17] Ioannes Baptista Franzelin, op. cit., ibid.
[18] Ludovicus Blllot, op. cit., p. 436.
[19] Cfr. J. M. Hervé, Manuale Theologiae Dogmaticae, cit., vol. I, p. 513; Sisto Cartechini,Dall’opinione al Domma, cit., passim; Ioachim Salaverri, De Ecclesia Christi, cit., p. 726; Charles Journet, L’Eglise da Verbe Incarné, Desclée, Bruges, 1962, vol. I, pp. 455- 456, che, richiamandosi alla sentenza del card. Franzelin, in realtà dà alle parole del vecchio professore della Gregoriana un’interpretazione che ne modifica totalmente il pensiero.
e che è questa tiritera? E mi dica l’illustre estensore di questo articolo, come la mettiamo con papi e concili (il V2) che sconfessano ripudiano e smentiscono platealmente pronunciamenti già fatti col sigillo della infallibilità? A migliaia! Addirittura le parole stesse di Cristo e degli Apostoli e dei Padri della Chiesa! E un’altra domanda: a un papa e al consesso dei vesvovi uniti in concilio è troppo chiedere l’adesione incondizionata al Credo Cattolico e, diciamolo pure, al Dio cattolico??? E poi c’è l’argomento storico: nei mille quasi mille anni della Chiesa ante vaticano 2, quali sono gli errori di fede espressi dai suoi papi e vecovi uniti con lui? Non tiriamo fuori Pietro che ‘rinnega’ Cristo o la solita solfa di Liberio e Onorio e Giovanni xxii…per favore!
E se vale quanto detto da questo articolista, chiaramente inteso a salvare capra e cavoli, cio’ vecchia e nuova chiesa, quando si decideranno questi papi e concili della chiesa moderna a smentire infallibilmente le ciofeche espresse in via non- infallibile? non pensano che finalmete ci sia bisogno di un chiarimento definitivo? O la funzione dei papi novi è quella di dire boiate di fede senza mai volersi impegnare, come dice l’articolista, con gli strumenti dell’ infallibilità? Il CARNEVALE è durato anche troppo: urge tornare alla serietà!
Vista la definizione del CVI sull’infallibilità del Papa nei soli casi specificati, ammettiamo che possa trovarsi un errore nel Magistero ordinario NON universale.
Però io distinguerei tra errore, o prossimità ad eresia ed eresia vera e propria:
1) un errore non grave su qualche tema magari locale
2) un possibile errore di prossimità all’eresia (diverso dalla vera eresia) su argomenti di fede non già definiti, come è già avvenuto per es. nel caso di Giovanni XXII
3) eresia vera e propria e contraddizione di articoli del Deposito della Fede già definiti infallibilmente, addirittura insegnata urbi et orbi dalla massima Cattedra della Cattolicità. (la situazione attuale!)
Se è ammissibile che un papa possa sbagliare nei primi due casi, non si può accettare che un papa sbagli nel caso 3 e rimanga papa.
O si dubiti se è lecito o no dare assenso a questi “nuovi” insegnamenti. Nessuno mai può chiedere assenso a un’eresia già definita tale.
E, come già evidenziato molte volte, qualunque eretico manifesto e eprtinace perde la sua carica ecclesiastica e la sua autorità: non vedo perché debba valere per i vescovi e non per lo stesso papa. OGNI eretico (pertinace) non può appartenere alla Chiesa di Cristo. Chiunque esso sia.
Per cui mi domando se questa dissertazione teorica sulla possibilità di errori nel Magistero ordinario non universale e sull’assenso da darvi, non si riferisca ad errori possibili (casi 1-2) ma non così gravi come la vera e propria eresia pubblica e addirittura insegnata (caso 3).
A parte il fatto -sul quale non mi dilungo qui- che non si trovano eresie solo su Magistero Ord. non Univ., ma addirittura su un Concilio Ecumenico che notoriamente è Ordinario E Universale (a prescindere dalle spiegazioni contradditorie che sia solo pastorale)…
In sostanza l’autore, nel caso concreto dei “papi” post CVII ritiene che abbiano insegnato e insegnino vere eresie contrarie a insegnamenti dogmatici già definiti oppure no?
E se insegnano da 50 anni vere eresie, sono eretici oppure no?
E se sono veri eretici, possono essere “papi” e vescovi della Chiesa di Cristo oppure no?
Che poi anche questa frase mi sembra piuttosto pericolosa: “E così, o succederà che tale dottrina sia lentamente accettata in tutta la Chiesa raggiungendo in questo modo la condizione d’infallibilità”.
Quindi, dopo 50 anni in cui tutti i nuovi seminaristi (ora preti, vescovi e cardinali) sono cresciuti a dottrine di CVII e tutti approvano queste “nuove” dottrine eretiche, diventerebbero infallibili in quanto accettate dalla maggioranza della Chiesa in mezzo secolo??
Può mai una dottrina eretica accettata lentamente dalla Chiesa divenire dottrina infallibile??!!
riprendendo “ogni eretico pertinace non può appartenere alla Chiesa di Cristo. Chiunque esso sia.” Esatto, né come materia né come forma. La materia di eretico nell’attuale sedente peraltro già trovavasi prima di vestirsi di bianco tanto da celebrare riti misti a Buenos Aires con gli ebrei. Ed anche nel precedente pure ancora biancovestito seppur in modo meno plateale.
diciamo, per chiarire meglio, l’ attuale “sedente” – senza dimenticare il suo comprimario e gli altri soci in perversione conciliare – sul trono della “ abominevole empietà, innalzato, nel luogo santo medesimo, nel quale è stata stabilita la Sede del beatissimo Pietro e la sedia della Verità per la luce del mondo”, da questi “astuti nemici”, che “ hanno riempito ed inebriato con impudenza ed amarezza la Chiesa, la Sposa dell’immacolato Agnello”, e che hanno posto empie mani sui suoi più sacri tesori” (Leone XIII)