Pubblichiamo ampi stralci dell’articolo “Rapporti tra Chiesa e pittura moderna”, tratto dal periodico cattolico Instaurare omnia in Christo, anno XXXII, n. 2, maggio-agosto 2003
di don Ennio Innocenti
Allorché scoppia la pace tra Chiesa e Impero, all’inizio del IV sec. la Chiesa ha già nel suo seno artisti maturi, in ogni genere d’arte, anche in musica, naturalmente; comunque, usa senza scrupolo anche artisti dell’ambiente culturale non ancora cristiano.
Realizzata l’osmosi coi nuovi popoli del nord, dopo la svolta dell’anno mille, dall’interno della Cristianità, fioriscono invenzioni artistiche nuove, specie in occidente, come il gotico nordico in architettura, il naturalismo italico in pittura, il nuovo teatro sacro, la rivoluzione musicale di Guido d’Arezzo. Anche le novità della svolta rinascimentale sono interne alla Cristianità, sebbene facciano emergere già qualche disagio: così la polifonia appariva già difficile e qualche ecclesiastico (specialmente in ambito monastico) avanzava dubbi sul suo uso liturgico; e la conquista della prospettiva in pittura non sembra forse ancor oggi a qualcuno un allontanamento dall’ermeneutica contemplativa?
Le guide culturali, peraltro, promovevano le avanguardie del nuovo corso, com’è stato riscontrabile nei Gonzaga che coniugavano, nel loro amplissimo progetto di politica culturale, le avanguardie di tutte le arti, dalla musica all’architettura. Ma è anche vero che le varie arti presero ormai strade nuove, non più ecclesiastiche, come, per esempio, la musica, che dalla polifonia generò l’oratorio e poi l’opera lirica. Anzi, nell’area della Riforma si verifica una clamorosa rottura tra Chiesa e Arte.
L’evento iniziale più significativo si verifica a Norimberga, città determinante, città bandiera nella rivoluzione luterana. Lì c’è un gruppo di artisti pittori che, fin dai primi anni del prevalere cittadino della Riforma, si proclama “non credente”. La novità non è data dall’emergenza di artisti non credenti. Il Perugino, secondo il Vasari, era non credente. Questo non rende impossibile la collaborazione con la Chiesa perché l’emozione poetica che fa l’artista è simile all’esperienza mistica e per questo il linguaggio artistico può essere utilizzato nell’ermeneutica religiosa. La novità è nella proclamazione di gruppo che dimostra un programma d’attività artistica in rottura con la Chiesa. Novità tanto più significativa in quanto situata in un contesto iconoclastico che è radicato – come ho dimostrato in studi da tempo pubblicati – nel fermento gnostico presente sia in Lutero sia in Calvino (e che riemerge nel loro erede Bush quando ipostatizza l’avversario politico con il Regno del Male, il Male in Assoluto, e ipostatizza se stesso come Giustizia Infinita).
Nel “coro” ora citato di Norimberga abbiamo senz’altro la proclamazione d’una rottura, presto accettata dalle autorità cittadine. E difatti vediamo che in quell’area la pittura prosegue il suo iter solo per commissioni di lusso della borghesia capitalistica. Ma anche le altre arti nell’area della Riforma subiscono il contraccolpo del mutato concetto del sacramento e, quindi, della liturgia, che ormai esclude l’aspetto teatrale mantenuto in ambito cattolico.
Solo la musica, nell’ambiente riformato, è bene accetta, proprio perché il culto è ridotto a lettura e canto; e il suo sviluppo darà un contributo notevole alla musica pura, alla sinfonia staccata da ogni testo. Il teatro in quell’area verrà recuperato per altre strade, del tutto indipendenti dalla Chiesa. Ma le cose, a dire il vero, non andavano tanto bene neppure in area cattolica dove la committenza ecclesiastica si mostrava “troppo rigida”. […] L’effetto sarà sia la fuga di vari artisti in “spirabil aere” liberale se non libertino, oppure il degrado di non pochi altri che rimangono sì a lavorare per la Chiesa, ma risolvendo l’opera d’arte per la via più facile, quella della sensualità, palese come in certe estasi di santi e sante, o mascherata dall’intrusione per nulla necessaria di nudi e di espressioni niente affatto sublimi.
Ma la rottura più grave di tutti è data dalla corruzione che nel mondo artistico portano i nuovi commercianti, fin dal 700 e dall’800. L’esempio più clamoroso venne dalla Francia. Lì il fatto delle ragioni del commercio, prevalenti sulle ragioni dell’arte, fu platealmente evidente con la corruzione della stampa e della claque per la “grande opera” parigina. Ma quel che fu evidente per “l’opera” era egualmente operante per le altre arti e specialmente per la più commerciabile, la pittura. Le mostre diventarono pure operazioni commerciali, combinate con la critica prezzolata, e questo resta vero fino al presente, con l’aggravante che, dal Novecento, ci sono grandi potentati commerciali con programmi a lungo termine, piuttosto ambigui.
In questo clima falso (che causò la ribellione di tanti gruppi d’artisti) non c’è da meravigliarsi del riserbo dei residui committenti ecclesiastici, più volte risorti dalle ricorrenti spoliazioni dei regimi “liberali”. C’è, infine, un’altra ragione dell’affievolimento della collaborazione tra Chiesa e Pittura, una ragione d’ordine strettamente culturale e intellettuale: la difficile comprensione della pittura moderna. Spieghiamoci con l’esempio della musica.
La musica palestriniana era più difficile del gregoriano precedente, la musica da camera era più difficile delle cantate, ma la sinfonia era accessibile solo ad intenditori. Le complessità sinfoniche di Wagner, poi, erano ancor più difficili di quelle di Beethoven. Questa difficile intelligibilità grammaticale e sintattica da sola creava distacco dalle esigenze degli uomini di Chiesa. Analogamente per la pittura: già all’interno delle Accademie si cercano vie nuove, ma quando si volge le spalle alle Accademie allora assistiamo a frequenti disorientamenti, fraintendimenti, incomprensioni. Va sottolineata l’importanza dell’intelligenza della musica moderna (vedi sinfonia e forme romantiche) per capire la pittura moderna, sia in quanto ricerca di forme espressive nuove sia in quanto ricerca di contenuti nuovi, sempre più spirituali soggettivi svincolati da limiti “esterni”. E come si cerca la musica pura così si cerca la pittura pura: la prima è composizione di suoni (ottenuta nelle più varie maniere di struttura, di orchestrazione e di valorizzazione di strumenti e timbri) la seconda è composizione di colori (ottenuta analogamente, perfino con mezzi al di là del pennello o al di là dei tradizionali materiali coloristici). Tutto questo rende difficili dialogo, comprensione, utilizzazione, collaborazione.
[…] Nell’ultimo giubileo ci fu una grande mostra al Palazzo della Cancelleria: Il Vangelo dei Popoli. Che commozione vedere che ogni popolo, in ogni secolo – fino al Seicento – aveva illustrato il Vangelo con arte insigne e preziosa! Ma dopo il Seicento c’era il vuoto. Nell’Ottocento solo il Doré con sessantadue tavole per il Nuovo Testamento, ma in bianco/nero… Nel Novecento ci sono collezioni di pittori che hanno illustrato questo o quel Vangelo, ma nessun grande artista si è assunto la responsabilità di commentare pittoricamente il Nuovo Testamento. A meno che non vogliamo far posto a un egregio pittore argentino (Victor Delhez, commentatore grafico dei Quattro Vangeli e dell’Apocalisse, che però non ha avuto alcun’eco in Europa). La Bibbia di Dalì, poi, è solo un’operazione commerciale raffazzonata, riciclando e aggiungendo riempitivi anche insensati. […]
Le voci e i clamori sulla morte dell’arte rimbalzano nella Chiesa e provocano un incredulo riserbo. Possibile che si butti l’arte come cosa che non ha più importanza per il vivere umano? Ciò che è importante per il vivere umano è l’essere, il senso dell’essere e quindi la carità dell’essere e quindi la bellezza e la bontà dell’essere. Se è negato l’essere e la verità dell’essere, anche l’arte non è più nulla, ma la Chiesa non può accettare la morte della verità “dell’essere” di Dio, così come non può accettare la morte del Bene e della volontà libera. Così la Chiesa mi appare come ultimo rifugio e casa dell’arte, a certe condizioni.
La prima condizione è che l’artista faccia nell’arte una seria esperienza del reale. Perché se nell’arte il reale è esperienza epidermica, superficiale, banale, allora è giusto fare a meno dell’arte; più che al prodotto artistico sarebbe più giusto prestare attenzione allo strumento oggettivo dell’attività artistica (sia esso la parola o il suono o il mero segno e colore) in quanto esperienza seria del reale e primo gradino di risalita. Analogamente, se l’astrattezza è fuga dal reale, se è confronto con il nulla, è allora solo buco nero di vuoto e silenzio, mera finzione, come il dubbio universale: non potrebbe soddisfare, non meriterebbe seria attenzione. A me sembra che i pittori meritino un monito particolare, in quanto la pittura è oggi esposta, forse più delle altre arti, ad un arbitrarismo soggettivistico che inclina a un irreale solipsismo dell’artista in concordanza col declino del soggetivismo puro che sfocia nel nichilismo. Ma se la pittura resta confronto con la realtà, bisognerà concedere il massimo spazio ermeneutico nell’artista, perché ogni realtà mentre parzialmente si svela cela anche il suo senso d’essere, mentre è proprio questo che occorre tentare di scovare, di mendicare, di afferrare. […]
Radio Spada si è spesso occupata di arte. Si legga:
LA CROCE DELL’INFORME – Breve storia critica del Crocifisso nell’arte (prima parte)
LA CROCE DELL’INFORME – Breve storia critica del Crocifisso nell’arte (seconda parte)
La croce dell’informe – Breve storia critica del crocefisso nell’arte (terza parte)
La croce dell’informe – Breve storia critica del crocifisso nell’arte (quarta parte)
La croce dell’informe – Breve storia critica del crocefisso nell’arte (quinta parte)
La croce dell’informe – Breve storia critica del Crocefisso nell’arte (sesta parte)
La croce dell’informe – Breve storia critica del crocefisso nell’arte (settima parte)
La croce dell’informe – Breve storia critica del Crocefisso nell’arte (ottava parte)
La croce dell’informe – Breve storia critica del Crocefisso nell’arte (nona parte)
La Croce dell’informe – Breve storia critica del crocefisso nell’arte (decima parte)
La Croce dell’informe – Breve storia critica del crocefisso nell’arte (undicesima e ultima parte)
[RADIO ARTE] Storia di due non artisti: Mark Rothko e Francis Bacon
[RADIO ARTE] La rivoluzione del colore puro in William Turner
[RADIO ARTE] L’anti-arte in William Congdon
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[RADIO ARTE] Giudaizzare il sacro cristiano: Marc Chagall
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Ars gratia artis… Senza arte nè parte
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