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di Alessandro Elia

 

Secondo le dichiarazioni effettuate ieri nella sala stampa della Santa Sede dall’Arcivescovo di Chicago Blase Cupich, invitato a partecipare al Sinodo direttamente da Bergoglio, non sarebbe più lo stato di grazia a legittimare la ricezione dell’Eucaristia, bensì la “buona coscienza” del fedele. A parer suo, siccome la coscienza è “inviolabile”, per qualche bizzarro e sconosciuto motivo che ovviamente egli non spiega, si potrebbe permettere anche ai sodomiti e agli adùlteri di accedere al sommo Sacramento.

Come tutti i modernisti che si rispettino, – dai quali San Pio X ci mette in guardia, definendoli “lupi sotto apparenze di agnelli” – anche Cupich si è mostrato alquanto scaltro nel far passare un messaggio anticattolico senza però comunicarlo esplicitamente. In un primo momento, infatti, ha fatto riferimento alla sua esperienza pastorale nei confronti degli emarginati, tra i quali ha incluso “gli anziani, i divorziati risposati, le coppie gay e lesbiche”.

Poi, su richiesta, ha ammesso anche di “rispettare le decisioni” prese in coscienza dalle suddette persone.

E fin qui l’Arcivescovo è riuscito nel suo intento: affermare qualcosa di fortemente sovversivo (permettere la Comunione a chi si trova in stato di peccato grave, in questo caso) senza però dichiararlo espressamente.

Il tentativo di raggirare l’errore formale è stato infine interrotto quando, molto opportunamente, la testata cattolica lifesitenews.com ha domandato se si riferisse anche alle “coppie omosessuali” quando si era pronunciato in difesa della libera scelta di prendere la Comunione. Stavolta l’Arcivescovo non ha avuto scampo e ha dovuto rispondere di sì. Una volta smascherato, Cupich ha svelato la sua vera natura ultra-progressista, aggiungendo: “È per tutti [l’Eucaristia]”.

Vediamo invece cosa insegna la Santa Madre Chiesa.

Innanzitutto sappiamo che la coscienza non è il desiderio (di accedere alla Comunione, per esempio) e soprattutto essa dev’essere in-formata dal Magistero infallibile (fonte prossima della fede) assieme alle Sacre Scritture e la Tradizione (fonte remota della fede).

Al punto 230, il Catechismo Tridentino, contrariamente all’Arcivescovo in questione, nega la possibilità di accedere all’Eucaristia ai sodomiti, poiché essi si trovano in stato di peccato grave: “Il sacro Concilio di Trento ha dichiarato non essere lecito a chi ha sulla coscienza un peccato mortale e può avvicinare un confessore, di ricevere la Comunione, anche se pentito nella maniera più profonda, prima di essersi purificato mediante la Confessione .” Da notare che l’eccezione dovuta all’urgenza del sacerdote di celebrare persino in peccato mortale se non incontra un confessore, non si estende ai laici, che invece non possono in nessun caso comunicarsi in peccato mortale, altrimenti commettono un sacrilegio.

Nella Sacra Scrittura si trova scritto: “Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore”. (1Cor 11,27)

I cosiddetti “divorziati risposati” vivono in condizione di adulterio. Il Catechismo Tridentino, al punto 335, specifica che “particolare malvagità è racchiusa nel delitto di adulterio”. Per questo motivo, com’è stato osservato in precedenza, non possono accedere all’Eucaristia. Lo stesso vale anche per le “coppie gay”. Il Catechismo di San Pio X, infatti, afferma che “il peccato impuro contro natura” fa parte di uno dei quattro peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”.

Ultimamente si è diffuso un argomento, in parte ricalcato anche da Cupich, secondo il quale sarebbe bene concedere l’accesso alla Comunione a chi si trova in peccato mortale, perché il sacramento ha un effetto “curante” che aiuterebbe il peccatore a fuggire il peccato. Lo stesso Catechismo Tridentino, precisa che ciò è impossibile poiché non gioverebbe in alcun modo ricevere la Comunione nel peccato: “E sant’Agostino ha scritto che colui, il quale non si trova in Cristo e Cristo in lui, non mangia certo spiritualmente la sua carne, sebbene in modo carnale e visibile stringa con i denti il sacramento del suo corpo e del suo sangue (229)”.

L’Arcivescovo Blase Cupich dovrebbe rendersi conto che questi provvedimenti disciplinari non mirano a escludere nessuno, ma sono in funzione della Salvezza delle anime interessate, tant’è che la Chiesa allo stesso tempo invita queste persone ad abbandonare la via della perdizione per vivere nella fedeltà a Dio e ai suoi Comandamenti.

 


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