Premessa

La sorpresa arriva non tanto dai documenti marcatamente aperturisti pubblicati dai gruppi in lingua spagnola (soprattutto il primo, moderato dal cardinale Rodriguez Maradiaga, dove i divorziati risposati non ammessi alla comunione sono definiti “discriminati” e si chiede che la chiesa “apra le porte”), bensì in quello tedesco moderato dal cardinale Christoph Schönborn. Il testo – lungo, se rapportato ad altri – svetta per raffinatezza, chiarezza e profondità teologica, a dispetto della verbosità a tratti incomprensibile di altre relazioni, ed è stato votato all’unanimità (aspetto sottolineato dal cardinale Reinhard Marx), quindi anche con il consenso esplicito del prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, in palese minoranza nel circolo formato per lo più da aperturisti.

Scorrendo le fitte righe del documento, si capisce perché è stato possibile mettere insieme Kasper e Müller. Sul punto della comunione ai divorziati risposati, in particolare, ben lontani da quanto esplicitato dal card. Walter Kasper nella sua relazione concistoriale del febbraio del 2014, i padri scrivono che “non esistono soluzioni semplici e generali”. La dottrina non sarà certo “un lago stagnante”, ma i dibattiti, si legge ancora, “hanno mostrato chiaramente che sono necessari alcuni chiarimenti e approfondimenti per esaminare meglio la complessità di tali questioni alla luce del Vangelo, della dottrina della chiesa e con il dono del discernimento”.

Ed è a questo punto che arriva la frase chiave. Nella fluidità della situazione e delle tensioni presenti, “possiamo però indicare alcuni criteri che aiutano a discernere. Il primo di questi viene dato da Papa san Giovanni Paolo II in Familiaris consortio n. 84”, cioè il paragrafo in cui Wojtyla spiegava che il pastore è chiamato a discernere le situazioni, tra chi ha cercato di salvare il proprio matrimonio ed è stato abbandonato ingiustamente e chi per “grave colpa” ha distrutto un matrimonio canonicamente valido. Il Pontefice polacco menzionava una terza fattispecie, anche questa ripresa dal circolo in lingua tedesca, e coinvolge “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono oggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”.

In sostanza, dunque, la relazione riprende le “aperture” di cui parlava Müller nella recente intervista a Focus, che sono nient’altro che quelle contenute nella Familiaris Consortio. Ma il testo suggerisce anche un cammino “di riflessione e di penitenza” che potrà contribuire “nel forum internum a prendere coscienza e a chiarire in che misura è possibile l’accesso ai sacramenti”. [Fonte]

 

 

La relazione del circolo di lingua tedesca

 

[…] A questo punto ci è parsa importante un’ammissione: nel malinteso sforzo di rispettare la dottrina della Chiesa, si è giunti ripetutamente ad atteggiamenti duri e intransigenti nella pastorale, che hanno portato sofferenza alle persone, in particolare alle madri nubili e ai bambini nati fuori dal matrimonio, a persone in situazioni di convivenza prematrimoniale e non matrimoniale, a persone di orientamento omosessuale e a persone divorziate e risposate. Come vescovi della nostra Chiesa chiediamo loro perdono.

[…] Abbiamo parlato del collegamento tra sacramento del battesimo e del matrimonio e la necessità della fede.

La professione di fede cattolica riguardo al matrimonio si fonda sulle parole del Signore nella Sacra scrittura e sulla tradizione apostolica ed è stata fedelmente custodita nella sua sostanza dal magistero. Tuttavia, nell’elaborazione teologica ci sono tensioni tra l’approccio dogmatico, teologico morale e canonistico, che nella pratica pastorale possono portare a difficoltà.

Così l’assioma «ogni contratto matrimoniale tra cristiani è di per sé un sacramento» deve essere rivisto. In società cristiane non più omogenee o in Paesi con impronte culturali e religiose differenti, non si può presupporre una comprensione cristiana del matrimonio nemmeno tra i cattolici.Un cattolico senza fede in Dio e nella sua manifestazione in Gesù Cristo [?!?! n.d.r.] non può contrarre automaticamente un matrimonio sacramentale contro, o addirittura senza, la sua consapevolezza e la sua volontà. Manca l’intenzione di volere, con questo atto, almeno ciò che la Chiesa intende con esso. È vero che i sacramenti non si realizzano attraverso la volontà di chi li riceve, ma non lo fanno nemmeno senza o addirittura contro la stessa; o quantomeno la grazia rimane sterile, poiché non viene accolta con libera intenzione con la fede che è data dall’amore.

[…] Proponiamo un’integrazione relativa ai matrimoni interconfessionali: per quanto riguarda il tema del matrimonio interconfessionale, devono essere menzionati soprattutto gli aspetti positivi e la particolare vocazione di tale matrimonio, poiché i cristiani non cattolici non sono affatto al di fuori della Chiesa “una”, bensì ne fanno parte per mezzo del battesimo e di una certa, benché incompleta, comunione con la Chiesa cattolica (cfr. Unitatis redintegratio, n. 3). Anche il matrimonio interconfessionale va visto come Chiesa domestica e ha una vocazione e una missione specifica, che consiste nello scambio dei doni nell’ecumenismo della vita.

[…] La percezione della genitorialità responsabile presuppone la formazione della coscienza. La coscienza è «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Gaudium et spes, n. 16). Più i coniugi s’incamminano per ascoltare Dio nella coscienza e più si fanno accompagnare spiritualmente in questo, più nelle loro decisioni diventano intimamente liberi dalle inclinazioni affettive e dal conformismo ai comportamenti del mondo che li circonda. Per amore di questa libertà di coscienza, la Chiesa respinge con forza le misure statali imposte a favore della contraccezione, della sterilizzazione o addirittura dell’aborto.

Abbiamo discusso in modo approfondito anche sull’integrazione dei divorziati risposati civilmente nella comunità cristiana.

È noto che nelle due sessioni del sinodo dei vescovi si è discusso in modo intenso sulla domanda se, e fino a che punto, i divorziati risposati, laddove desiderano partecipare alla vita della Chiesa, a determinate condizioni possono ricevere i sacramenti della penitenza e dell’Eucaristia. I dibattiti hanno dimostrato che anche qui non esistono soluzioni semplici e generali. Noi vescovi abbiamo sentito le tensioni legate a queste domande esattamente come i nostri fedeli, le cui preoccupazioni e speranze, moniti e attese ci hanno accompagnato nelle nostre discussioni.

I dibattiti hanno mostrato chiaramente che sono necessari alcuni chiarimenti e approfondimenti per esaminare meglio la complessità di tali questioni alla luce del Vangelo, della dottrina della Chiesa e con il dono del discernimento. Possiamo però indicare alcuni criteri che aiutano a discernere. Il primo di questi viene dato da Papa san Giovanni Paolo ii in Familiaris consortio, quando al n. 84 dice: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido». È pertanto compito del pastore compiere con la persona interessata questo cammino di discernimento. A tal fine può essere utile compiere insieme, con un sincero esame di coscienza, i passi della riflessione e della penitenza. Così, per esempio, i divorziati risposati dovrebbero domandarsi come si sono comportati con i loro figli quando la comunione matrimoniale è andata in crisi. Si è tentata la riconciliazione? Qual è la situazione del partner abbandonato? Quali sono gli effetti del nuovo rapporto sulla famiglia più estesa e sulla comunità dei fedeli? Qual è l’esempio dato ai più giovani che devono decidere per il matrimonio? Una riflessione sincera può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio, che non viene negata a nessuno che porti dinanzi a lui i propri fallimenti e i propri bisogni.

Questo cammino di riflessione e di penitenza, esaminando la situazione oggettiva nel dialogo con il confessore, può contribuire, nel forum internum, alla prendere coscienza e a chiarire in che misura è possibile l’accesso ai sacramenti. Ognuno deve esaminare se stesso secondo le parole dell’apostolo Paolo, che valgono per tutti coloro che si accostano alla mensa del Signore: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna […]. Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati» (1 Corinzi 11, 28-31). [Fonte]

 

Motori caldi per la Relatio Synodi

Il Card. Oswald Gracias nel corso del briefing odierno spiega che la relazione non sarà un testo «indirizzato al mondo» ma rappresenterà una «riflessione del Sinodo al Santo Padre, che poi deciderà cosa fare». «Non tocchiamo la dottrina, questo Sinodo non tocca la dottrina, il testo darà direzioni generali, non entra in punti molto specifici, daremo il documento al Papa aspettandoci poi da lui le linee guida» sulle varie tematiche affrontate dall’assemblea. La relazione finale sarà, insomma, un testo che «non ha tutte le risposte ma tutte le domande» discusse e tenterà di dare «direzioni pastorali accettabili da tutti».

Di certo, nelle discussioni, sono emerse «opinioni differenti», su alcune questioni «siamo ancora in ricerca», e su una questione come la comunione ai divorziati risposati, sulla quale ad esempio il gruppo di lingua tedesca ha sottolineato la centralità del «foro interno», si tratta di soluzioni possibili che bisogna ancora «studiare e approfondire» da diversi punti di vista. Il Sinodo, più in generale, è una «bella esperienza in cui ognuno rispetta le idee altrui, tutti vogliamo aiutare le famiglie, detto francamente non abbiamo una soluzione su tutto, ma abbiamo parlato dei problemi da affrontare e da studiare, e sono sicuro che troveremo una via per andare avanti». [Fonte] L’importante è essere ottimisti.

 


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