di Mattia Rossi
La IV domenica d’Avvento, rispetto alle tre precedenti, presenta un taglio leggermente più caratterizzante anche se, a ben leggere il repertorio di questo giorno, non è totalmente svincolato da quello delle prime tre. A fare da cerniera tra i due “temi” presenti nell’ultima domenica d’Avvento è la prima sezione del Proprium Missae: introio, graduale e alleluia.
Diciamo subito che questa domenica conserva una colorazione prettamente mariana (e lo vedremo a breve), ma nella prima parte del repertorio qualche riferimento alle tematiche delle domeniche precedenti è ancora presente.
La I domenica è stata tutta incentrata sull’“Universi qui te exspectant non confundentur”, tutti coloro che aspettano il Salvatore non saranno confusi. Un’accentazione, quella di questa domenica, escatologica e universale, che intende abbracciare tutti coloro che attendono con fiducia la venuta del Salvatore.
Un piccolo crescendo ha, poi, instaurato la II domenica laddove, nell’introito “Populus Sion, ecce Dominus veniet ad salvandas gentes” (“Popolo di Sion, il Signore verrà a salvare le genti”) si è fornita una sostanziale risposta al tema della I domenica: chi attende il Signore non resterà confuso – si è cantato nell’Ad te levavi della I domenica d’Avvento – perché, ecco, il Signore verrà a donare la salvezza e a salvare le genti – si è cantato nella II domenica.
Ulteriore climax crescente, infine, nella scorsa domenica, la III, detta non a caso “Gaudete” dall’incipit dell’introito che è tratto da san Paolo (unito testo paolino inserito nel tempo d’Avvento) e, più precisamente, dalla Lettera ai Filippesi (4, 4-5): “Gaudete in Domino semper, iterum dico, gaudete […] Dominus propre est. Nihil solliciti sitis, sed in omni oratione petitiones vestrae innotescant apud Deum”. La gioia e la letizia che caratterizzano la III d’Avvento sono, naturalmente, la diretta conseguenza della semplice speranza nella venuta (I domenica), e della certezza della redenzione per chi crede (II).
Ecco, in questo crescendo si inserisce la IV domenica d’Avvento. “Rorate coeli desuper et nubes pluant justum: aperiatur terra et germinet Salvatorem” (Stillate, cieli, dall’alto la vostra rugiada e le nuvole piovano il giusto: si apra la terra e germini il Salvatore): nell’introito si corona l’attesa maturata nelle domeniche precedenti attraverso le metaforiche parole del profeta Isaia nelle quali si attinge a piene mani dalla natura (in declinazioni ben lungi dal neo-panteismo bergogliano). I simboli dell’Avvento diventano la rugiada e la pioggia che fecondano la terra dalla quale germoglierà il Salvatore: questa terra feconda è Maria e il frutto che da quella terra germoglierà sarà Nostro Signore Gesù Cristo.
Ecco, dunque, che la vocazione mariana della IV domenica d’Avvento, ancorché figurata, è già contenuta in nuce nell’introito. E’ una colorazione mariana che diventerà esplicita a partire dall’offertorio: “Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum: benedicta tu in mulieribus, et benedictus fructus ventris tui”.
Il testo – che è lo stesso, non a caso, del giorno dell’Annunciazione – raccoglie le parole dell’arcangelo Gabriele e quelle di Elisabetta in un’unica antifona offerta alla Vergine Maria nell’ultima domenica che precede la celebrazione liturgica del mistero dell’Incarnazione, il Natale, a nove mesi di distanza dall’Annuncio dell’arcangelo.
Il testo di quest’offertorio, però, ci permette anche una singolare riflessione sull’atteggiamento della Chiesa nei confronti della liturgia e del canto sacro: l’arcangelo Gabriele, salutando la Vergine, non pronuncia il suo nome, ma la saluta solamente con il «piena di grazia». La Chiesa, invece, attraverso la sua “catechesi” musicale quale è il canto gregoriano, tra l’«Ave» e il «gratia plena» decide di inserire il nome della Vergine, Maria. E proprio sul nome aggiunto, «Maria», il canto gregoriano, dopo un inizio su un registro intermedio, innalza la propria melodia raggiungendo una tessitura vocale acuta che desta immediatamente l’attenzione.
Ecco, allora, che la “forzatura” del testo evangelico attraverso l’arbitrario inserimento del nome proprio della Vergine – il quale, lo ricordiamo, viene addirittura sottolineato ed esaltato melodicamente rispetto all’esordio dell’antifona – ha una motivazione retorica: accentuare la novità e la centralità di quel “sì” che la Madre di Gesù pronunciò ai piedi dell’arcangelo Gabriele. E tutto questo, come dicevamo, viene proposto nell’ultima domenica d’Avvento, quella più vicina temporalmente al Natale.
Il repertorio della IV d’Avvento si conclude, infine, con un’altra antifona mariana: “Ecce Virgo concipiet, et pariet filium: et vocabitur nomen eius Emmanuel”. Nella stupenda melodia, il notatore gregoriano interviene anche retoricamente mediante un poderoso rallentamento ritmico sul «concipiet» a sottolineare l’avvenuto concepimento divino, sull’«et» seguente che introduce il secondo verbo, «pariet», anch’esso fortemente allargato e amplificato, fino ad arrivare, attraverso un robusto climax espressivo, al secondo pesante «et» che prelude al terzo significativo verbo, «vocabitur», nel quale ogni nota esige un risalto ritmico.
Un affresco, quello della IV d’Avvento, costellato della presenza della Madre di Colui che, da qui a pochi giorni, si farà uomo per la nostra salvezza. E in pochi brani contenuti in poche Messe, il gregoriano compendia concetti teologici e bibliche profezie.
E’ bello, bellissimo, il gregoriano, certamente, ma è chiaro perché esso è ontologicamente il canto della Chiesa (cattolica)?