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a cura di Ilaria Pisa

 

«Oggi varcando la Porta Santa vogliamo anche ricordare un’altra porta che, cinquant’anni fa, i Padri del Concilio Vaticano II spalancarono verso il mondo». Il millesimo giorno di pontificato Francesco cade nella festa dell’Immacolata e soprattutto nel cinquantesimo anniversario della fine delle Assise che Paolo VI chiuse come un’espressione di “simpatia immensa” nei confronti del mondo, parlando di una Chiesa per la quale «nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano».

Prima di aprire la Porta Santa della Basilica di San Pietro – dopo l‘“anticipo” di dieci giorni fa a Bangui, nel Centrafrica in guerra civile – il Papa dispiega nell’omelia il senso dell’Anno Santo che ha voluto incentrare sulla misercordia. E dice: «Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia. Attraversare la Porta Santa, dunque, ci faccia sentire partecipi di questo mistero di amore. Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma».

Prima della messa, in piazza, vengono letti alcuni brani delle quattro costituzioni conciliari (Dei Verbum, Lumen gentium, Sacrosanctum concilium e Gaudium et spes), e due passi della Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e la Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Il Concilio: «Questa scadenza non può essere ricordata solo per la ricchezza dei documenti prodotti, che fino ai nostri giorni permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede. In primo luogo, però, il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario», spiega Bergoglio. «Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro… dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo».

Francesco vuole ripartire dalla quella «spinta missionaria che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo», spiega: “Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano». All’apertura della Porta Santa è presente anche Benedetto XVI, l’ultimo Papa ad aver partecipato al Concilio. «Entrare per quella Porta significa scoprire la profondità della misericordia del Padre che tutti accoglie e ad ognuno va incontro personalmente», ricorda Francesco. «Sarà un Anno in cui crescere nella convinzione della misericordia: quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia!», scandisce Francesco citando Sant’Agostino [1]. Del resto «la festa dell’Immacolata Concezione esprime la grandezza dell’amore di Dio», dice il pontefice: «Egli non solo è Colui che perdona il peccato, ma in Maria giunge fino a prevenire la colpa originaria, che ogni uomo porta con sé entrando in questo mondo. È l’amore di Dio che previene, che anticipa e che salva».

Fonte

[1] Peccato che Bergoglio non citi fedelmente il grande Padre della Chiesa S. Agostino, che nel suo De praedestinatione sanctorum (12, 24), ossia nel passo cui rimanda l’edizione dell’omelia di Francesco pubblicata su vatican.va, si riferisce alla morte dei bambini in tenera età. Riportiamo il capitolo integralmente, sia in latino sia nella traduzione italiana fornita da augustinus.it.

Utrum parvuli iudicentur secundum ea merita humana, quae habituri essent, si vixissent…
12. 24. Quis enim audiat, quod dicuntur parvuli pro suis futuris meritis in ipsa infantili aetate baptizati exire de hac vita; et ideo alii non baptizati in eadem aetate mori, quia et ipsorum praescita sunt merita futura, sed mala: non eorum vitam bonam vel malam Deo remunerante vel damnante, sed nullam? Apostolus quidem limitem fixit, quem transgredi non debeat hominis, ut mitius loquar, incauta suspicio. Ait enim: Omnes astabimus ante tribunal Christi, ut referat unusquisque secundum ea quae per corpus gessit, sive bonum, sive malum: gessit, inquit; non adiunxit: Vel gesturus fuit. Sed unde hoc talibus viris in mentem venerit nescio, ut futura quae non sunt futura, puniantur, aut honorentur merita parvulorum. Cur autem dictum est, secundum ea quae per corpus gessit hominem iudicandum, cum gerantur multa solo animo, non per corpus, nec per ullum corporis membrum; et plerumque tam magna, ut talibus cogitationibus poena iustissima debeatur: sicuti est, ut alia taceam, quod dixit insipiens in corde suo: Non est Deus? Quid est ergo: secundum ea quae per corpus gessit nisi: Secundum ea quae gessit eo tempore quo in corpore fuit, ut per corpus intellegamus: Per corporis tempus? Post corpus autem nemo erit in corpore, nisi resurrectione novissima; non ad ulla merita comparanda, sed ad recipienda pro bonis meritis praemia, pro malis luenda supplicia. Hoc autem medio tempore inter depositionem et receptionem corporis, secundum ea quae gesserunt per corporis tempus, sive cruciantur animae, sive requiescunt. Ad quod tempus corporis pertinet etiam quod pelagiani negant, sed Christi Ecclesia confitetur, originale peccatum: quo sive soluto per Dei gratiam, sive per Dei iudicium non soluto, cum moriuntur infantes, aut merito regenerationis transeunt ex malis ad bona, aut merito originis transeunt ex malis ad mala. Hoc catholica fides novit; in hoc etiam nonnulli haeretici sine ulla contradictione consentiunt. Iudicari autem quemquam non secundum merita quae habuit quamdiu fuit in corpore, sed secundum merita quae fuerat habiturus si diutius vixisset in corpore, unde opinari potuerint homines, quorum ingenia non esse contemptibilia vestrae indicant litterae, mirans et stupens reperire non possum; nec credere auderem, nisi vobis non credere non auderem. Sed spero adfuturum Deum, ut commoniti cito videant, ea quae dicuntur futura fuisse peccata, si per Dei iudicium in non baptizatis possunt iure puniri, etiam per Dei gratiam baptizatis posse dimitti. Quicumque enim dicit, puniri tantum posse Deo iudicante futura peccata, dimitti autem Deo miserante non posse, cogitare debet quantam Deo faciat gratiaeque eius iniuriam; quasi futurum peccatum praenosci possit, nec possit ignosci. Quod si absurdum est, magis ergo futuris, si diu viverent, peccatoribus, cum in parva aetate moriuntur, lavacro quo peccata diluuntur, debuit subvenire.
Se i bambini vengono giudicati secondo i meriti che avrebbero avuto, se fossero vissuti…
12. 24. Non si può infatti accettare quanto dicono, e cioè che alcuni bambini escono da questa vita battezzati appunto in età infantile grazie ai loro meriti futuri, invece altri muoiono non battezzati nella stessa età perché anche di essi sono conosciuti in precedenza i meriti futuri, che saranno però nel male. Così Dio non premia o condanna in loro una vita buona o cattiva, ma una vita che non c’è mai stata. L’Apostolo però pose un limite che l’imprudente supposizione dell’uomo, se con alquanta indulgenza vogliamo chiamarla così, non deve oltrepassare. Dice: Tutti staremo di fronte al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la ricompensa secondo quanto compì con il suo corpo, sia di buono, sia di cattivo; compì dice; non aggiunse: o avrebbe compiuto. Io non so come a tali uomini sia potuto venire in mente che nei fanciulli siano puniti o premiati meriti futuri che non ci saranno mai. Ma perché è detto che l’uomo dev’essere giudicato secondo quanto compì attraverso il corpo, mentre si può agire anche con l’animo soltanto, non interponendo il corpo o alcun suo membro? Anzi, tali pensieri sono sovente così gravi che spetta loro un giustissimo castigo; uno di questi pensieri, per tacere di tutto il resto, è quello che disse lo stolto in cuor suo: Dio non c’è. Secondo quanto compì con il suo corpo significa solo questo: secondo quanto compì nel tempo in cui fu nel corpo, e l’espressione con il corpo si deve intendere: durante la vita del corpo. Ma dopo la morte del corpo nessuno sarà più rivestito di esso se non nel giorno estremo della resurrezione; e allora non sarà per procacciarci altri meriti, ma per ricevere il premio di quelli che abbiamo nel bene e per pagare la pena di quelli che abbiamo nel male. Ma durante questo tempo intermedio tra la deposizione e la riassunzione del corpo le anime o vengono tormentate o trovano pace secondo quanto compirono durante la vita del corpo. E al periodo della vita materiale appartiene anche ciò che i pelagiani negano, ma la Chiesa di Cristo riconosce: il peccato originale. Esso può essere eliminato per la grazia di Dio o non eliminato per il giudizio di Dio, e i bambini, quando muoiono, o per merito della rigenerazione passano dal male al bene, o per colpa dell’origine passano dal male al male. Questo sa la fede cattolica; in questo anche alcuni eretici sono d’accordo senza aver nulla da contraddire. Ma io resto meravigliato e stupito e non riesco a capire da dove uomini il cui ingegno non è trascurabile, come indicano le vostre lettere, abbiano potuto dedurre che qualcuno possa essere giudicato non secondo i meriti che ha avuto finché fu nel corpo, ma secondo i meriti che avrebbe riportato se fosse vissuto più a lungo nel corpo. E non lo crederei, se avessi l’ardire di non credere a voi. Ma spero che Dio li assisterà, e dopo averli ammoniti li indurrà ad aprire gli occhi sulla questione; se quei peccati che secondo loro saranno commessi si possono giustamente punire nei non battezzati attraverso il giudizio di Dio, allora si possono anche perdonare ai battezzati attraverso la grazia di Dio. Chiunque infatti dice che i peccati futuri possono soltanto essere puniti dal giudizio di Dio, mentre non possono essere perdonati dalla sua misericordia, deve pensare quanto torto fa a Dio e alla sua grazia; come se di un peccato futuro fosse possibile la prescienza, ma non il perdono! Ma se una simile ipotesi è assurda, a maggior ragione Dio dovrebbe prestare soccorso, concedendo il lavacro che purifica i peccati, ai bambini che muoiono in tenera età, ma che sarebbero divenuti peccatori se fossero vissuti più a lungo.

Come emerge dal raffronto tra la dichiarazione di Bergoglio (che, ripetiamo, non è soltanto riportata dalle agenzie di stampa ma è contenuta anche nell’edizione della sua omelia presente online su vatican.va) e le parole di S. Agostino, emerge che questi è stato “tirato per la giacchetta” a suffragare qualcosa che non aveva mai scritto, ossia che la misericordia di Dio precederebbe assiologicamente il suo giudizio, prevalendo praticamente su di esso.

Il Padre della Chiesa si riferiva infatti ad una disputa teologica sorta in merito alla morte degli infanti: vi era chi sosteneva che un bambino battezzato morisse (salvandosi) per particolare “premio” dato da Dio nella Sua prescienza in quanto ne aveva scrutato i futuri meriti, mentre un bambino non battezzato sarebbe morto (non salvandosi) per “castigo” nei confronti di future cattive azioni. S. Agostino liquidava tale tesi come troppo speculativa, in quanto si è giudicati solo per colpe e per meriti compiuti finché si è in vita, oppure – se non si è ancora potuto “compiere” nessun atto, data la morte troppo prematura – per il peccato originale. Se un bambino muore salvandosi, quindi, si può certo pensare a suoi meriti futuri degni del Paradiso, ma si può anche legittimamente ribaltare il discorso e collegare la sua sorte a eventuali futuri peccati (meritevoli della condanna eterna), da cui il Signore nella Sua bontà l’ha voluto preservare, concedendogli di morire poco dopo il salvifico lavacro battesimale. In entrambi i casi, in verità, la questione è piuttosto oziosa, perché è comunque il Battesimo che salva.

E’ in questo ambito che emerge la frase “incriminata”, ossia il passo di S. Agostino che Bergoglio riprenderebbe: “Chiunque infatti dice che i peccati futuri possono soltanto essere puniti dal giudizio di Dio, mentre non possono essere perdonati dalla sua misericordia, deve pensare quanto torto fa a Dio e alla sua grazia; come se di un peccato futuro fosse possibile la prescienza, ma non il perdono! Ma se una simile ipotesi è assurda, a maggior ragione Dio dovrebbe prestare soccorso, concedendo il lavacro che purifica i peccati, ai bambini che muoiono in tenera età, ma che sarebbero divenuti peccatori se fossero vissuti più a lungo”. Confrontiamola con la citazione di Bergoglio: “Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia”.

Come si vede, S. Agostino è stato “mutilato” dell’aggettivo “futuri”, che illuminava il senso della frase e svelava il background dottrinale; in tal modo, sembra che anche S. Agostino anteponga e contrapponga misericordia e giustizia, che in Dio non possono ovviamente essere in contraddizione o comunque separati. Contrapposizione del tutto erronea, questa, che invece Bergoglio avalla con forza, anche nel prosieguo del discorso: “Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia”.  

Insomma, Francesco “tarocca” un Padre della Chiesa per proporre una visione della misericordia divina “ad uso e consumo” della moda di oggi, sentimentale, volemosebbenista e melensa. Ma non preoccupatevi, i “normalisti” troveranno una giustificazione anche per questo!