Vladimir Ivanovich Moshkov (1792—1839): La Battaglia di Lipsia.

Vladimir Ivanovich Moshkov (1792—1839): La Battaglia di Lipsia.

di Andrea Giacobazzi

Vedere il popolo dei social scimmiottare le varie Marcuzzi, Rodriguez, D’Urso che inneggiano dai loro profili alle unioni civili, fa davvero ridere. Ricorda quelli che mettono lo stemma Ferrari sulla Panda per sentirsi à la page.

Son queste le cose che, al netto dei limiti propri del Family Day del 30 gennaio, spingono chiunque abbia un barlume di buon senso a non restare indifferente. Ma lasciamo da parte il gaio bombardamento mediatico per entrare nel merito del problema.

La piazza del 30 sarà una piazza composita e “diversamente cattolica”: questo è il primo limite evidente. I pericoli della neutralizzazione reciproca e della convergenza ecumenica son sicuramente presenti.

Insomma, il rischio consistente nello scindere la morale dalla Dottrina, non è un aspetto trascurabile: se la morale non è fondata su un solido ed eterno basamento finisce per essere mutevole come la desiderano i fautori delle nozze gay: si sposta il problema senza risolverlo. Questo dato non va né sottovalutato, né sopravvalutato. La sua sottovalutazione implica la relativizzazione di questa battaglia fino a renderla inutile, la sua sopravvalutazione determina il soffocamento di ogni militanza fino a renderla impraticabile. In medio stat virtus.

Un sano equilibrio mi sembra rappresentato dal comunicato della Fraternità San Pio X che in relazione a quanto discusso afferma:

[La FSSPX] Consapevole della complessità della situazione e della eterogeneità delle associazioni e delle persone che aderiscono all’evento, riconosce che lo scopo specifico è condivisibile, che la partecipazione non presenta chiari profili problematici dal punto di vista morale, e che il risultato politico-sociale che la manifestazione si prefigge di raggiungere è urgente e della massima importanza

Il secondo limite della manifestazione deriva dal primo. Lo ha ben descritto Massimo Micaletti su Radio Spada, chiedendosi:

[…] a Roma andiamo contro le unioni civili o solo contro le adozioni gay?
La questione è complicata assai perché impone un confronto colla Verità ed impone con sincerità ed al cospetto di Dio di chiedersi se davvero siamo convinti, come vanno predicando alcuni degli alfieri contemporanei della famiglia naturale, che quello che fanno i gay va bene purché lo facciano a casa loro, o che certi diritti vanno comunque riconosciuti ma altri no.
[…] Al Circo Massimo saremo due milioni, e si spera: ma dopodomani, saremo ancora in piazza? E in quanti? Quanti di quei due milioni si opporranno ad una regolamentazione delle unioni civili “sostenibile”?

In relazione al 30 gennaio, siamo lontani dall’ottimo. Si dice tuttavia, con San Giovanni Bosco, che l’ottimo è nemico del bene. Qui siamo nel benino in relazione ai fini, nel malino in relazione ai mezzi. L’alternativa però è il malissimo. Il principio di prossimità, sommato alla virtù della prudenza, ci dicono che la manifestazione del 30 gennaio risulta ineludibile, al netto di ciò che non ci piace, ovvero gli effetti secondari appena citati, affiancati dai risvolti politico-partitici evidentemente intersecati con quelli della piazza.

La situazione è paragonabile per i cattolici di oggi alla battaglia di Lipsia del 16-19 ottobre, 1813. Da un parte Napoleone, l’esportatore della rivoluzione, dall’altra le potenze europee continentali (Russia, Prussia, Austria e Svezia).

L’imperatore francese, devastatore dell’ordine tradizionale, nel 1804 si incoronò alla presenza del Papa (prima che i cercatori di pagliuzze inizino l’abituale stracciamento delle vesti, chiarisco che non sto mettendo sullo stesso piano Pio VII e Bergoglio – il primo fu un gigante – ma così andarono i fatti).

I nemici di allora, come quelli di oggi erano, spesso, battezzati e nominalmente “figli della Chiesa”. Le truppe napoleoniche minacciavano la pace e contro di esse si ergeva una numerosa ed eterogenea coalizione di cattolici, scismatici, protestanti e miscredenti assortiti. La guida delle armate svedesi addirittura era affidata ad un ex giacobino francese, il futuro Re di Svezia e Norvegia, Jean-Baptiste Jules Bernadotte.

Insomma, coscienti che nella storia le similitudini non son mai perfette, oggi come all’epoca, ci troviamo di fronte alla possibilità di vincere una battaglia contro la “rivoluzione” avendo a fianco soggetti che in un qualche modo da quella stessa rivoluzione non possono prescindere. Le vittorie di questo tipo sono, per loro natura, fragili.

Se Napoleone perse a Lipsia e si aprì la strada al Congresso di Vienna e alla traballante Restaurazione, va detto che ancora nel 1815 riuscì a tornare in sella per poi essere definitivamente sconfitto a Waterloo da un’altra coalizione tutt’altro che papalina. Ma chi ragionevolmente avrebbe tifato per una vittoria francese? La risposta è ovvia.

Il 30 gennaio, anche chi come me non sarà in piazza, non potrà restare indifferente e lasciare il campo libero alle orde rivoluzionare, come allora minoritarie ma agguerritissime. Non potrà nemmeno ignorare i limiti dell’eventuale successo o i rischi di una cocente sconfitta. Se il 30 “si vincerà” quali saranno le alternative all’attuale ddl Cirinnà? Ci verrà proposta una versione light più digeribile ma sostanzialmente impresentabile? Chi si opporrà in quel momento? Domande fastidiose ma difficili da evitare.

Infine: è una battaglia da fare – chi fisicamente, chi culturalmente – senza settarismi grotteschi e senza entusiasmi ridicoli. Soprattutto pregando.