salvagente

 

di Massimo Micaletti

 

Dunque il punto nel dibattito parlamentare sulle unioni civili non è più se ma come disciplinare il peggior attentato alla famiglia dai tempi del divorzio.

Era chiaro che sarebbe finita così: il disimpegno delle gerarchie cattoliche era un silenzioso “via libera” ai politici che ancora guardano Oltretevere e alla CEI per avere qualche lume su come sia giusto (o piuttosto su come convenga) muoversi. Permanendo il silenzio assenso dal Vaticano e dalla Conferenza Episcopale, che si sono limitati a qualche uscita ogni tanto ma non hanno certamente alzato barricate sul punto, e soprattutto dopo l’allineamento sulla linea possibilista da parte di Comunione e Liberazione, che continua così un meraviglioso percorso di abbrutimento avviato nel 2011 (se non prima) cogli applausi a Napolitano al Meeting, la tensione si è molto allentata e Renzi finalmente può affermare serenamente che la legge sulle unioni civili si farà e amen.

Ciò significa – è bene metterselo in testa – che si potranno fare anche manifestazioni con dieci milioni di persone, cui parteciperò anche io, ma dieci milioni di persone non contano come un duro altolà delle persone giuste: questo altolà non è arrivato, tutt’altro, perché i tempi sono cambiati a Roma e sono cambiati da un pezzo, tra Comunioni ai trans e risposati militanti: ergo ormai è scritta, se le cose non cambiano è solo questione di tempo.

Tuttavia esiste una base cattolica ancora abbastanza esigente, capace, se del caso, di scavalcare Vescovi titubanti e preti complici, e la manifestazione del 20 giugno scorso a Roma ne ha data prova: perciò, sebbene i nostri politici abbiano sovente dato prova di tirar serenamente dritto innanzi ai lai dei cattolici, serve comunque una strategia per arrivare dove si vuole arrivare. A questo punto però appare chiaro che né il ddl Cirinnà la sua versione soft possono bastare a salvare la faccia. Che si fa allora?

La mia idea è che sarà approvata una disciplina che non permetterà, almeno non apertamente, le adozioni gay o loro surrogati e che non equiparerà le convivenze ai matrimoni: ci penseranno poi certi Giudici, dai Tribunali fin su, alla Corte Costituzionale, a far saltare quei divieti o a colmare quelle omissioni che però intanto son serviti a tenere buoni i paladini della famiglia all’amatriciana. Questo modus operandi è grossomodo lo stesso adottato colla Legge 40, ma rispetto a quella vicenda presenta un ulteriore indubbio vantaggio: mentre ai tempi della 40 il referendum fu paventato e poi attuato dai sostenitori del fronte laicista, nel caso delle unioni civili è il fronte pro famiglia che già da ora ventila questa ipotesi. Ebbene, se il Parlamento partorisse una disciplina senza adozioni e senza dichiarata omologazione al matrimonio, che senso avrebbe a quel punto un referendum?

Mi chiedo che senso avrebbe un referendum perché da subito la battaglia degli oppositori alle unioni civili è stata fondata proprio su questi due capisaldi, ossia “niente bambini ai gay” e “non togliete risorse alla famiglia fondata sul matrimonio”: ma non si è mai voluto o rilevare che pur senza stepchild adoption e pur senza i medesimi diritti delle coppie sposate il riconoscimento delle convivenze – omosessuali o eterosessuali che siano – è comunque un vulnus per la famiglia. E lo è non solo in sé ma anche in prospettiva, posto che, una volta che certa magistratura avrà una legge, una qualunque, per le mani, farà in modo di completare l’opera.

Su questo secondo profilo, è illuminante quanto sostiene Stefano Rodotà, ossia che il “paradigma eterosessuale” sia ormai incostituzionale: ed alla luce dell’attuale costruzione della famiglia (da un lato) e delle rivendicazioni LGBT (dall’altro) ha ragione. Infatti la famiglia, viste le ultime sortite giurisprudenziali e soprattutto la radicale ridefinizione operata dal divorzio, è considerata nulla più che una libera espressione della volontà del singolo; le istanze omosessualiste, inoltre, vengono tutte giocate sull’art. 3 della Costituzione, ossia sul principio di uguaglianza formale e sostanziale: morale, se le unioni civili sono tese a riconoscere e suggellare l’affetto tra due persone dello stesso sesso, allora non possono essere discriminate rispetto al matrimonio che, nell’ottica distorta e liberista cui ho fatto cenno prima, serve esattamente alla stessa cosa, ossia a regolare e riconoscere diritti al legame affettivo tra due persone. Quindi, promulgata la legge che schivi il referendum, arriveranno i Giudici e il gioco sarà fatto, anche perché contro le sentenze non si possono fare referendum.

Ancora due parole su questo punto.

Immaginiamo che si parta comunque coll’idea della consultazione popolare, magari a fronte di una disciplina che, contrariamente a quanto ho appena scritto, consenta le adozioni e riconosca i medesimi diritti del matrimonio, ebbene la storia ci insegna che soprattutto su questi temi c’è referendum e referendum. Già mi viene il mal di testa a pensare all’immancabile, inevitabile confronto tra l’opzione massimalista, ossia il quesito per l’abrogazione dell’intera legge, e le varie declinazioni di compromesso, tese ad abbattere solo parti della legge al fine di scampare il vaglio della Corte Costituzionale che molto raramente ammette quesiti che abroghino in toto una legge appena promulgata, col loro coro di appelli al realismo che poi null’altro sono che apologie della mediocrità. Su questo profilo si consumerà l’ennesimo scontro in seno al mondo cattolico, ormai ridotto ad un randagio affamato che abbaia alla luna e che su questi temi non è più capace di dire la verità tutta intera, ed ancor meno di difenderla.

Più che il Vero e il Bene, per questi “cattolici” contano poltrone, circoli, interessi, conventicole, equilibri, apparentamenti, curie, editoriali, convention, liason di varia estrazione, strumenti per restare a galla in questo mondo ed affogare in quell’altro. E finché sarà così, potrà solo andar peggio.