Riportiamo un estratto dell’introduzione di “Peronismo scomunicato?“, saggio di Andrea Giacobazzi, facente parte del volume Oportet Illum Regnare, pubblicato recentemente delle Edizioni Radio Spada. [RS]

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Parlando della scomunica lanciata dalla Santa Sede in seguito ai “fatti argentini” culminati nelle persecuzioni del 1955[1], sotto il governo di Perón, risulta difficile non parlare in un qualche modo del noto presidente. Figura controversa, che, nella grande complessità dell’animo umano, ha destato simpatie trasversali, infatuazioni ideologiche, così come contrarietà importanti ed ineludibili[2]. Pare scontato affermare che non tutto ciò che produsse il peronismo fu da condannare, ma sembra altrettanto evidente che molto si debba ancora dire e precisare, in particolare sulla mitologia e sui simbolismi che ha determinato il suo carisma politico.

Per chi fruirà di questo contenuto sarebbe stata forse più agevole ed utile la lettura dell’articolo di Padre Giovanni Caprile[3] «Come si è giunti ad una scomunica», scritto quell’anno su La Civiltà Cattolica, ma l’attuale direttore della rivista – Antonio Spadaro – attraverso una e-mail inviataci da una sua collaboratrice, ha impedito di ripubblicarlo, dopo la nostra richiesta. Per comporre quanto segue, si è quindi dovuto ampliare il campo, fare diverse ricerche, consultare altri testi ed è stata così l’occasione – si spera positiva – per aggiungere riflessioni ed estendere a nuove fonti l’inquadramento storico, politico e religioso della vicenda, a molti anni di distanza.

Ma, appunto, perché parlare di una scomunica di sessanta anni fa? La risposta è semplice: per la sua tremenda attualità, per il fatto che ancora oggi il senso profondo di quell’atto – dato il suo valore generale – viene compreso poco e male, inoltre perché la “statolatria pagana” – indentificata dalla Sede Apostolica come uno degli aspetti peggiori del fascismo – è sopravvissuta alla morte di questo, morte problematica, si intende, in cui ciò che di buono innegabilmente vi fu, rimase in gran parte sepolto, mentre le negatività continuarono – e ancora continuano – ad aleggiare, manifestandosi in un momento nell’Argentina peronista, in un altro nel moloch europeista.

Volendo costruire un ponte tra quanto scritto nel 1931 da Pio XI nell’Enciclica Non abbiamo bisogno – in difesa dell’Azione Cattolica, contro gli abusi del fascismo – e i fatti argentini del 1955, non si potrebbe che fondarlo su ciò che affermò Pio XII nell’Enciclica, realista e profetica, di apertura del suo regno, la Summi Pontificatus (1939):

Considerare lo Stato come fine, al quale ogni cosa dovrebbe essere subordinata e indirizzata, non potrebbe che nuocere alla vera e durevole prosperità delle nazioni. E ciò avviene, sia che tale dominio illimitato venga attribuito allo Stato, quale mandatario della nazione, del popolo, o anche di una classe sociale, sia che venga preteso dallo Stato, quale padrone assoluto, indipendente da qualsiasi mandato[4].

Parole di fermezza oggettiva[5]. Volendo fare una brutale semplificazione: mandatario della nazione, ovvero il nazionalismo statolatrico; mandatario del popolo, ovvero la democrazia liberale e laicista; mandatario di una classe sociale, ovvero il comunismo.

Pio XII, prendendo spunto dalla guerra mondiale appena iniziata, lanciava un ammonimento generale, ben calzante anche per ciò di cui parleremo nei prossimi paragrafi:

La concezione che assegna allo Stato un’autorità illimitata non è, venerabili fratelli, soltanto un errore pernicioso alla vita interna delle nazioni, alla loro prosperità e al maggiore e ordinato incremento del loro benessere, ma arreca altresì nocumento alle relazioni fra i popoli, perché rompe l’unità della società soprannazionale, toglie fondamento e valore al diritto delle genti, apre la via alla violazione dei diritti altrui e rende difficili l’intesa e la convivenza pacifiche[6].

Si badi, Pio XII non esitava nel riconoscere mali minori e mali maggiori, beni minori e beni maggiori: nella stessa Enciclica parlava della «diletta Italia, fecondo giardino della fede piantata dai prìncipi degli apostoli, la quale, mercé la provvidenziale opera dei Patti Lateranensi, occupa ora un posto d’onore tra gli stati ufficialmente rappresentati presso la Sede Apostolica».

Della distinzione tra diverse situazioni e del discernimento operato dalla Santa Sede si è recentemente parlato nel volume, stampato da questa stessa casa editrice, intitolato L’opposizione magisteriale a fascismo, nazionalsocialismo, liberalismo e comunismo[7], non senza incontrare qualche fenomeno di manicheismo in salsa politica, attuato da quei pochi che, visto incrinato il loro idolo, sono incappati in qualche cortocircuito ideologico. Sulla scia di quel testo si colloca la ripubblicazione di Date a Dio e l’analisi sulla scomunica del 1955 che, come vedremo, sul rapporto “Cesare-Dio” dirà parecchio.

L’eccesso di Stato, ovvero quando la Patria terrena vuole sostituirsi a quella celeste, sarà l’argomento che, direttamente o indirettamente, riguarderà tutto il presente saggio.

Dopo queste premesse sul Magistero, sebbene su un piano secondario – trattando qui di un tema che trova il suo fulcro nel Cattolicesimo argentino – sarebbe difficile non alludere in qualche modo a Jorge Mario Bergoglio.

Sul suo “peronismo” molto si è scritto, sotto angolature differenti[8]. Se l’influenza di questo movimento sul futuro vescovo di Roma pare difficile da negare[9], anche tra fonti non sospettabili di antipatie è stato notato come, al netto di questioni squisitamente politiche, Bergoglio sia colpito da un certo argentinocenstrismo, elemento che non dovrebbe essere escluso nell’analisi dei suoi atti.

A tal proposito… [per leggere il resto]

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[1] Il testo della scomunica fu pubblicato sulla prima pagina de L’Osservatore Romano il 17 giugno 1955.

[2] Sulle eterogeneità proprie del peronismo, cfr. L. Zanatta, Il Peronismo, Carocci, 2008, pp. 113-122.

[3] Padre Giovanni Caprile fu figura di spicco tra i gesuiti del ‘900. Dopo essere stato campione dell’antimassonismo, diventò uno dei pontieri tra la Gerarchia Cattolica e Massoneria. Queste gravi ombre, successive in ogni caso rispetto al 1955, lo fanno risaltare come uno dei casi più evidenti di “trasbordo ideologico” conciliare. Annota a questo proposito C. A. Agnoli, in La Massoneria alla conquista della Chiesa (E.I.L.E.S., 1996, p. 27): “dopo il Concilio Vaticano II, [Caprile] effettuò una virata di 180 gradi”.

[4] Pio XII, Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939, Cfr. Tutte le Encicliche dei Sommi Pontefici, Milano, Dall’Oglio, 1959.

[5] Nella stessa Enciclica, sul tema dell’educazione: «La missione assegnata da Dio ai genitori, di provvedere al bene materiale e spirituale della prole e di procurare ad essa una formazione armonica pervasa da vero spirito religioso, non può esser loro strappata senza grave lesione del diritto. Questa formazione deve certamente aver anche lo scopo di preparare la gioventù ad adempiere con intelligenza, coscienza e fierezza quei doveri di nobile patriottismo, che dà alla patria terrestre tutta la dovuta misura di amore, dedizione e collaborazione. Ma d’altra parte una formazione che dimentichi, o peggio, volutamente trascuri di dirigere gli occhi e il cuore della gioventù alla patria soprannaturale, sarebbe un’ingiustizia contro gli inalienabili doveri e diritti della famiglia cristiana, uno sconfinamento, a cui deve essere opposto un rimedio anche nell’interesse del bene del popolo e dello Stato. Una simile educazione potrà forse sembrare a coloro, che ne portano la responsabilità, fonte di aumentata forza e vigoria; in realtà sarebbe il contrario, e le tristi conseguenze lo proverebbero. Il delitto di lesa maestà contro «il Re dei re e il Signore dei dominanti» (1 Tm 6,15; Ap 19,16), perpetrato da un’educazione indifferente o avversa allo spirito cristiano, il capovolgimento del «lasciate che i pargoli vengano a me» (Mc 10,14) porterebbero amarissimi frutti. Lo Stato invece, che toglie ai sanguinanti e lacerati cuori dei padri e delle madri cristiane le loro preoccupazioni e ristabilisce i loro diritti, promuove la sua stessa pace interna e pone il fondamento per un più felice avvenire della Patria».

[6] Ibidem.

[7] L’opposizione magisteriale a fascismo, nazionalsocialismo, liberalismo e comunismo: le encicliche “Non Abbiamo Bisogno”, “Mit brennender Sorge”, “Quadragesimo Anno”, “Divini Redemptoris”, Edizioni Radio Spada, 2015; saggi introduttivi di P. Ferrari e A. Giacobazzi.

[8] S. Magister, Quando Bergoglio era peronista. E lo è ancora, 26 agosto 2015, http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351119.

[9] A. Virga, Il PaPeron. Un’indagine sull’anima politica di Jorge M. Bergoglio, tra cattolicesimo e peronismo, PapalePapale.com, 11 agosto 2013.