di Marco Martone
Spesso accade che le riforme imposte dai nostri governanti rivelino una certa affinità tra ideologie tra loro (apparentemente) contrapposte. Il disegno di legge sulle fantomatiche unioni civili infatti non ha un unico padre – è il caso di dirlo – ma è il risultato di un percorso che vede confluire nello stesso alveo posizioni variegate. Sembrerebbe una pura casualità dettata dalla particolare contingenza del periodo storico, ma a ben vedere non è così, dal momento che il legislatore ha ripudiato ogni riferimento ai valori immutabili del diritto naturale di ispirazione divina per cadere nel culto dell’uomo.
Nei mesi scorsi il prof. Stefano Rodotà, noto per la sua adesione al partito comunista nonché tra i più autorevoli giuristi italiani, nella presentazione del suo ultimo libro “Diritto d’Amore” ha sostanzialmente avallato l’impianto della legge sulle civili, evidenziando che il diritto deve finalmente occuparsi anche dei sentimenti. Secondo il noto giurista fino ad oggi il legislatore avrebbe sacrificato la dimensione dei bisogni affettivi e si sarebbe preoccupato solo della regolamentazione di aspetti esclusivamente patrimoniali.
In un’ottica storica questa considerazione ha un fondo di verità. Le fonti romane hanno sempre visto lo ius civile come il diritto del patrimonio per antonomasia, laddove anche i rapporti familiari erano disciplinati in funzione delle vicende economiche del pater familias. Anche il codice civile attualmente vigente ha sostanzialmente ritenuto che il diritto non debba avere a che fare, se non marginalmente, con gli aspetti legati alla dimensione affettiva, poiché le questioni afferenti la propria sfera sessuale non dovevano essere discusse innanzi ad un giudice dello Stato.
Inoltre l’impostazione sposata dal codice civile, sebbene non di stampo confessionale e nei fatti laica, era tutto sommato lontana da quella più marcatamente liberal di matrice anglosassone, ancorché la radice ideologica kantiana fosse la stessa. Infatti era ancora forte la spinta della morale cattolica nell’esperienza giuridica del tempo. Non è un caso che la cosiddetta teoretica del “diritti civili” è ha trovato la propria genesi in Europa subito dopo la Seconda Guerra Mondiale in piena colonizzazione culturale americana, favorita dal rapido decadimento morale cagionato dai drammatici eventi conciliari dei primi anni Sessanta.
Dire però che il diritto non si sia occupato mai degli aspetti più intimi della persona relativamente ai propri status personali o agli affetti, così come sostenuto dal prof. Stefano Rodotà, non è del tutto corretto. Premesso che il diritto ha come funzione essenziale quella di risolvere conflitti sociali e di tutelare i soggetti più svantaggiati, si evidenzia come la morale cattolica attraverso lo strumento del diritto canonico abbia, per certi versi, svolto proprio quella funzione di regolare i bisogni primari dell’affettività umana eticamente fondata. La disciplina dell’istituto matrimoniale sacramentale e delle relative nullità ne sono mirabili esempi.
Il discorso però è un altro. Il pensiero che sembra evincersi dall’intervista al prof. Stefano Rodotà è che si debba ritenere giuridicamente rilevante qualsivoglia aspetto emozionale della persona umana in base ad un mero soggettivismo senza alcuna giustificazione eticamente fondata. Ciò che ne sembra scaturire è una visione nichilistica e post-umana del diritto, figlia di una visione questa volta sì liberal e priva di riferimenti al bene trascendente. Si prospetta quindi un totale asservimento del diritto alla soddisfazione dei piaceri personali.
Oggi le forze parlamentari “progressiste” non fanno altro che aderire a posizioni che nulla hanno a che vedere con la tradizionali battaglie in difesa dei lavoratori e delle classi sociali più disagiate. Le lotte per i diritti sociali degli anni Settanta – si pensi alla legge Giugni relativa allo Statuto dei lavoratori – sono state del tutto dimenticate in favore di quelle più appetibili dei diritti civili funzionali a una società vittima del più becero consumismo anche affettivo. Non è un caso infatti che SEL, pur non sostenendo il Governo Renzi, sulle unioni civili si sia dimostrato un alleato fidato. D’altronde è notizia recente che Nichi Vendola starebbe per divenire “padre” – usiamo il prudente condizionale –attraverso la barbara pratica dell’utero in affitto commissionato negli Stati Uniti, la patria del capitalismo . Paradossi ideologici.
Questo cortocircuito è stato evidenziato con un certo coraggio da Marco Rizzo, Segretario del Partito Comunista, il quale in un’intervista rilasciata pochi giorni fa in rete ha attaccato duramente non solo il ddl Cirinnà ma anche la strada intrapresa dalle sinistre europee, colpevoli, a suo dire, di non difendere (più) gli interessi dei proletari e di fare il gioco del capitalisti .
Ora da un punto di vista cattolico sia la deriva liberal sia l’impostazione marxista non sono in alcun modo accettabili, poiché in entrambi i casi si auspica una società laica e pragmaticamente anticristiana. Inoltre le esperienze del passato hanno rivelato che, laddove vi siano stati governi di stampo social-marxista, il miglioramento delle condizioni sociali delle classi più deboli esso è dipeso da avvenimenti del tutto contingenti come cristallinamente affermato da papa Pio XI . Nonostante ciò, la tendenza evidenziata da Marco Rizzo è comunque da segnalare per il semplice fatto che, in assenza di principi immutabili e certi, le dottrine umane finiscono inevitabilmente per tradire le proprie premesse, sfociando nel relativismo.
D’altro canto anche le forze di centro-destra, salvo qualche voce contraria, hanno nei fatti abbracciato romanticamente i diktat dell’ideologia liberal, tradendo quei principi cattolici che, a parole, dicono di voler tutelare. Insomma la Democrazia Cristiana non è mai morta e sotto altre vesti e con altri interpreti continua nell’opera di affermazione del modernismo anche in ambito legislativo, mentre NSGC ha affermato, senza mezzi termini, che il parlare dei cristiani (e quindi dei politici che li rappresentano) deve essere SI SI NO NO e ciò che viene in più viene dal Maligno . Basterebbe solo questo per dimostrare il totale appiattimento dell’attuale classe politica di centro-destra che si appresta a votare il ddl Cirinnà dopo che il Presidente del Consiglio Renzi sembra aver stralciato la norma sulla stepchild adoption . I cattolici “adulti” cantano vittoria – non si sa per cosa- ma la convinzione forte è che in ogni caso provvederà la giurisprudenza ad ampliare il testo di legge secondo le intenzioni originarie.
Si può quindi parlare di una adesione acritica da parte delle forze politiche ad un “Manifesto del pensiero unico”, parafrasando la celebre frase di Marx ed Engels? La sensazione oggi è che la risposta sia positiva con le inevitabili ricadute sulla qualità della produzione normativa ogni qual volta che vengono in gioco argomenti eticamente sensibili.
Far ricadere però tutte le colpe sulla classe politica è operazione troppo semplicistica, poiché le responsabilità hanno radici più profonde e vanno ricercate nella mancanza di una guida morale autorevole in grado di formare politici autenticamente cattolici in grado di difendere con gli strumenti che il diritto mette a disposizione l’ordine voluto da Dio.
Appaiono quindi assolutamente incomprensibili nell’ottica cattolica o meglio, si spiegano perfettamente con la linea indifferentista e pragmaticamente agnostica introdotta dalla dottrina vaticanosecondista, le dichiarazioni di Jorge Mario Bergoglio, di non voler intromettersi nella politica italiana , dimenticando forse quale sia la missione del papato romano. Ecco perché è più comodo scagliarsi contro il Donald Trump di turno e ricevere i facili applausi dell’opinione pubblica allineata, piuttosto che ribadire quale sia la verità in ambito sociale e politico. Cristo viene ricondotto a una pura dimensione metafisica, priva di riscontro reale nell’ordinamento sociale e politico, relegato nel proprio vivere privato nell’indifferentismo etico generalizzato. Insomma l’ideologia liberal applicata al cattolicesimo, operazione questa espressamente condannata dal Magistero infallibile.
Da questa disamina si può agevolmente evidenziare come, allo stato, le forze politiche parlamentari sia di centro-destra sia di centro-sinistra abbiano sostanzialmente aderito supinamente alla medesima ideologia laicista e materialista senza grosse differenze. Non vi è dunque una vera opposizione ideologicamente capace di opporsi alle tendenze dissolutrici imposte dai poteri più o meno occulti. La conferma di questa affermazione è data anche dalla posizione del Movimento Cinque Stelle che, da presunta forza anti-sistema, non ha fatto altro che avallare una proposta di legge – quella sulle unioni civili – sostenuta da tutti i poteri forti internazionali.
Questa deriva ideologica, che non riconosce la centralità della Regalità Sociale di Cristo, non può non avere ricadute drammatiche sulla dimensione del diritto italiano, piegato a mezzo di prevaricazione sui più deboli in funzione dell’asservimento alle bieche logiche edonistiche, incarnate oggi dalle battaglie delle lobbies lgbt. Guai però a perdersi d’animo, perché, come affermato da papa Leone XIII, i cattolici sono fatti per combattere . Spetta quindi agli operatori del diritto e a tutti gli uomini di buona volontà denunciare tutto ciò e segnalare le storture del sistema, nell’attesa che vengano formati politici autenticamente cattolici in grado di tradurre in norme giuridiche quelle che sono le posizioni del Magistero della Chiesa sui temi eticamente sensibili.
Riflessione interessante. Quanto alla conclusione: in democrazia, politici “autenticamente cattolici” servono a poco se non sono sostenuti da folle di elettori altrettanto “autenticamente cattolici”. I politici cattolici “tiepidi”, “a buffet”, sono uno specchio abbastanza fedele dei loro elettori. I cattolici integrali sono certamente coscienti della diffusissima ignoranza dei precetti della Dottrina della Chiesa tra chi si definisce “cattolico”. In democrazia, questo genera un problema di “massa critica”: questa “massa critica” andrebbe persuasa ed educata. Le gerarchie ecclesiastiche sono certamente responsabili, almeno in parte, dell’ignoranza diffusa tra i fedeli, e hanno il dovere di elaborare strategie più efficaci di catechesi delle masse. La perdita prima del monopolio e poi della supremazia cattolica nell’educazione è questione spinosa. Il crocefisso in aula non serve a nulla, se Cristo viene “costretto” ad assistere a lezioni contrarie alla Dottrina; o meglio, è una vittoria di Pirro in una guerra seriamente compromessa. Al contempo, però, in uno Stato democratico moderno, non c’è la possibilità di limitare la libertà di insegnamento di chi non è cattolico. Non resta che una ri-evangelizzazione. Non si tratta di fare i maestrini dalla penna rossa e di richiamare tutti alla dovuta obbedienza, ma di convincere le persone che sbagliano che possono essere persone migliori e più felici se seguono i precetti della Chiesa. È anche questione di marketing, baby: non nel senso di propinare fregnacce populiste, ma di usare legittimi, sacrosanti strumenti retorici di persuasione. Non è un compito da delegare soltanto alle gerarchie (“È tutta colpa di Francy che non sa fare il suo lavoro!”): ogni cattolico integrale deve essere un piccolo apostolo in sedicesimo, con la parola e con l’esempio, ed è per la sua piccola parte responsabile dei destini dell’intera Chiesa cui appartiene.