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In un’intervista rilasciata il 25 aprile 2014 a Silvia Cattori, alle domanda specifica se sostenendo la “ribellione” in Siria, l’Unione europea non avesse incoraggiato migliaia di giovani a partire per combattere Bashar al-Assad e se i servizi segreti dei paesi europei avessero lasciato partire questi giovani con la piena consapevolezza delle dimensioni del fenomeno, lo scrittore belga Bahar Kimyongür rispondeva:
“Del fenomeno “euro-jihad” ne parlo costantemente dall’inizio dello scorso anno. All’epoca i media tradizionali erano relativamente silenziosi sull’argomento. Essi credevano ancora che il reclutamento di giovani fosse un fenomeno marginale e benefico per i siriani.
Se i primi belgi si sono autoinvitati nel conflitto siriano nel 2011, si trattava principalmente di belgi di origine siriana. L’internazionalizzazione del jihad in Siria ha avuto come pionieri i veterani della guerra contro Muammar Gheddafi. Erdogan ha presentato questi combattenti libici come suoi ospiti d’onore. Ufficialmente, la loro presenza in Turchia è dovuta a motivi sanitari. Ma, ben presto, i libici hanno installato dei campi di terroristi lungo il confine turco-siriano. Questo è avvenuto a fine estate 2011. La proliferazione delle reti di reclutamento dall’Europa verso la Siria si è manifestata nel 2012. All’epoca, nelle strade di Bruxelles, sono circolate voci circa la partenza di questo o quel “mujahidin”. Nel marzo 2013, al momento dell’annuncio della creazione della Task Force Siria del Ministero degli Interni belga, ho scritto ai genitori degli jihadisti una lettera di avvertimento denunciando la complicità delle autorità belghe nella partenza dei loro figli. 
Ricordo che in un’intervista a Bel-RTL del 26 aprile 2013, il ministro degli Esteri belga Didier Reynders aveva dichiarato a proposito dei jihadisti belgi: “Forse gli faremo un monumento come eroi di una rivoluzione”. La facilità con cui questi giovani sono potuti andare ad invadere la Siria e terrorizzare la sua popolazione è sconcertante.

Dopo la pubblicazione della mia lettera, diverse famiglie mi hanno contattato. Da allora, ricevo regolarmente telefonate o e-mail provenienti di famiglie disperate”.

E alla domanda specifica sulle responsabilità del Belgio, Bahar Kimyongür rispondeva:
“Sì, certamente. Non è un caso che il Belgio ospiti l’8 maggio prossimo un incontro internazionale sui combattenti stranieri in Siria. Gli esperti europei di antiterrorismo sono unanimi: il Belgio ha il maggior numero di jihadisti in Siria in rapporto al numero di abitanti. Nei quartieri popolari di Bruxelles, di Vilvoorde o di Anversa, a forte presenza musulmana, la pressione esercitata dai gruppi religiosi radicali è particolarmente sensibile. Storicamente, l’Arabia Saudita ha il monopolio della formazione religiosa dei musulmani di lingua araba in Belgio”.
Quando i primi ragazzi iniziavano a partire dalle periferie del Belgio per combattere intruppati nelle brigate islamiche contro il governo di Assad, il ministro degli Esteri belga Didier Reynders ha dichiarato: “Forse gli faremo un monumento come eroi di una rivoluzione”. Se non è chiaro, e lo ripetiamo la terza volta, il giorno dei drammatici attentati di Buxelles dove a morire non è chi si diverte a fomentare il terrorismo ma lavoratori, studenti e povera genta, il governo belga voleva fare un monumento ai terroristi che partivano per la jihad in Siria per destabilizzare il paese guidato da un presidente con un’agenda politica che non piaceva agli Stati Uniti, alla Nato e quindi all’Europa. Per raggiungere quest’obiettivo si è creato, finanziato e supportato un mostro, un Frankestein che mette a nudo il Re di tutti i suoi crimini passati.