Le idee si possono cambiare, per carità, ma poi bisogna rispondere alle domande determinate da tanta instabilità. Noi ai fondatori del PdF (Adinolfi&Amato) ne abbiamo poste 4, ma, al momento, i due si sottraggono. Alla banale obiezione: “e allora cosa avreste chiesto al convertito San Paolo?”, rispondiamo che Paolo era Santo, rispondeva alle domande col sìsìnono evangelico e che non cambiava posizione posizione tanto spesso, inoltre non ci pare facesse pubblicità (chiudiamo pure un occhio sull’aspetto privato) a “matrimoni” a Las Vegas.
Adinolfi è stato tutto e il contrario di tutto: democristiano, democratico, per la democrazia diretta, “cattolico” profamily. Tanti cambi d’impostazione rendono ineludibile la richiesta di chiarezza.
Pochi lo ricordano ma nel 2007, si candidò con la lista “Generazione U” alla guida del PD. Ebbe un risultato fallimentare: 0,17%. In verità quello fu il primo di una serie di boutades che si articolano dalla fondazione di un quotidiano cartaceo chiuso in breve (La Croce) fino agli inconsistenti trionfalismi post-30gennaio e al neonato partito.
In quel contesto, l’abito indossato da Adinolfi era quello della democrazia diretta. Sì diretta, quindi non mediata. Erano gli anni dei V-day grillini e lo spirito della “rete” aleggiava ovunque.
Alle pagine 56-57 del suo libro “Generazione U. Storia e idee di un blogger che vuole cambiare l’Italia” Adinolfi sosteneva (grassettature e sottolineature nostre):
Nel tempo post-ideologico, come si fa a decidere quel che è giusto e quel che è sbagliato se non affidandoci totalmente alla democrazia? Come si fa a dire “questo è legge” se non chiedendo alla democrazia diretta il livello massimo di legittimazione delle decisioni?
Voglio fare un esempio per spiegare il processo di decisione che adotterei nel Partito Democratico se fossi io a diventare segretario il 14 ottobre 2007. Prendiamo il tema spinoso, tra i più spinosi: il matrimonio gay.Io ho certamente un’opinione sul tema, ma non voglio neanche indicarla, perché nel mio PD direttista la mia opinione conta quanto quella di un altro iscritto. Nel mio Pd un numero consistente ma non esagerato di iscritti può, raccogliendo le firme (facciamo trentamila firme?) anche per via elettronica, porre una questione vincolante al gruppo dirigente chiedendo l’indizione di un referendum propositivo interno declinato in proposta di legge. A proposito, i miei avversari sempre silenziosi su questo tema, lo indirebbero un referendum del genere? Veltroni, Bindi, Letta farebbero votare il popolo del PD sul matrimonio gay?
Nel mio PD governato secondo i criteri della democrazia diretta, trentamila iscritti che vogliono assumersi la responsabilità di presentare al giudizio del partito una proposta di legge sul matrimonio gay, possono farlo ed essere certi che l’intero corpo del partito sarà chiamato a decidere su quella proposta, attraverso un referendum interno in cui si voterà anche per via elettronica e la decisione che sarà assunta dalla maggioranza dei votanti, sarà la posizione del partito.
I contenuti sono l’opposto di quelli di oggi, il metodo comunicativo è lo stesso. Con la stessa prontezza con cui chiedeva a ai suoi potenziali elettori se “Veltroni, Bindi, Letta avessero fatto votare il popolo del PD sul matrimonio gay”, oggi chiede chi tra i suoi avversari nella corsa a Sindaco di Roma sia davvero contrario al modello di famiglia (?) nel quale si riconosce ora.
Dunque, quali “cattolici” chiama a raccolta ora? Quelli direttisti, democratici, democristiani, o quelli neocrociatidivorziatirisposati? Risponda alle nostre domande e forse lo capiremo.
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