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di Cristiano e Davide Lugli

 

Che si possa parlare di un fallimento europeista a trecentosessanta gradi, è un dato di fatto che ormai non può più essere messo in dubbio. Persino l’uomo comune anestetizzato dall’illusione di una vita ordinaria, priva di valori e principii degni di tali definizioni, persino lui inizia a rendersi conto, in modo sempre meno vago e confuso, che stiamo attraversando un periodo storico critico e che il pericolo di saltare tutti per aria (anche letteralmente parlando!) si fa via via più concreto. E ad ogni crisi di governo, ad ogni crollo delle borse, ad ogni strage terroristica di matrice islamica, il malcontento popolare cresce.

Mario Consoli aveva a dire che “La crisi si abbatterà su una massa impreparata, attonita, indifesa, smarrita: una massa priva di ogni riferimento morale, disabituata da ogni comportamento solidale, educata esclusivamente a smodato egoismo e contingente benessere. Una massa incapace di progettare e di costruire. Sarà un fenomeno senza precedenti, perché mai nel passato si era manifestata una tale prevalenza degli interessi materiali sui valori spirituali. Crollati il dio-denaro, tutte le strutture in suo nome edificate, è svanito l’attuale benessere, si aprirà, improvvisamente, un periodo di caos, violenza e sopraffazioni” [1] .
Ora, Mario Consoli a parte, su cui abbiamo tutte le riserve del caso, bisogna avere l’onestà intellettuale di ammettere che non vi è niente di più attuale in queste parole.

Lo si constata ancor più soffermandosi sui recenti fatti di Bruxelles; essi dimostrano una volta di più che la possibilità d’integrazione e convivenza pacifica con il mondo musulmano è un falso mito che si sta sgretolando sotto il peso stesso degli avvenimenti. Non raccontiamoci frottole, il nemico l’abbiamo dentro casa, punto e basta! Lo abbiamo accolto grazie alle scellerate politiche immigratorie di governanti incapaci, lo abbiamo coltivato concedendogli Moschee e scuole coraniche all’interno delle quali si predica la jihad quale forma fondamentalista di martirio per punire l’infedele e islamizzare il mondo, gli abbiamo concesso tutto quanto potevamo concedergli arrivando a rinnegare la nostra stessa identità, le nostre radici, le nostre tradizioni e adesso le tragiche conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Pochi terroristi sono in grado di tenere sotto scacco metropoli quali Parigi, Londra, Bruxelles e per estensione l’intera Europa. Ci sono voluti mesi per catturare Salah Abdeslam e la ritorsione è stata immediata e micidiale. Applicando la strategia della guerriglia urbana, i kamikaze jihadisti possono colpire ovunque e in qualsiasi momento, disposti a sacrificare le loro stesse vite per la causa. E in questo dobbiamo riconoscer loro, attirandoci inevitabilmente le antipatie di molti, una determinazione e una coerenza che l’uomo europeo ha perso da tempo.

Va detto che cresce l’adesione a questi gruppi estremisti da parte di giovani, per la maggior parte con regolare cittadinanza europea. “Conversioni” via internet di tanti neo-maggiorenni che, annichiliti da un’Europa senza valori e senza radici, cercano di colmare il proprio vuoto interiore verso qualcosa che secondo la loro irrazionale percezione crei tensione interiore, dia un senso sociale all’esistenza. Si può tranquillamente fare riferimento non solo ad adolescenti con famiglie perlomeno di estrazione musulmana, ma anche tanti europei, precedentemente atei o agnostici che di punto in bianco sono partiti per la Siria,senza nessun preavviso. Il nichilismo sfacciatamente europeista ha eccome le sue responsabilità, avendo creato giovani generazioni incapaci di governare la propria anima. Preceduti da uomini mendaci, di false promesse, perdenti e già privi di fede, essi hanno assorbito tutte le sovrastrutture socio-patologiche dei loro padri. Vuoti di ogni senso, vengono allora facilmente raggiunti dall’inganno che si nasconde nell’Islam, procurando a questi giovani un’adesione estrema, fugace. Fra un cinismo sfrenato, gratificatore, ed un sentimentalismo puerile, incapace ormai di sovvenire ai bisogni mascolinizzati delle femminucce, il giovane moderno si rifugia nella prima scelta tentando di superare quel solo modello borghese che una civiltà macchinista e tecnicista sa proporre.

Il malcontento cresce, si diceva, ma le reazioni che ne scaturiscono, siamo onesti, sono veramente penose. Mentre nei palazzi del potere, politicanti burocrati si riempono la bocca con le consuete frasi di circostanza sulla cui pochezza è meglio sorvolare, mentre i servizi segreti d’intelligence dei vari Stati fanno a gara a rimpallarsi vicendevolmente ogni responsabilità, e mentre l’intellighenzia radical chic nostrana spara idiozie insostenibili (ogni riferimento a Saviano è puramente casuale), i comuni cittadini cosa fanno? Si radunano in piazza, improvvisano marce e fiaccolate per la pace, commossi intonano noti motivetti pop e lanciano sul web stucchevoli hashtag che, diciamolo una volta per tutte, non servono a nulla se non a coprirsi di ridicolo. Nel frattempo, le numerose cellule jihadiste presenti sul territorio europeo si riorganizzano pianificando nuovi attentati.
Non vi è niente di più penoso in tutte le vicende che abbiamo visto abbattersi negli ultimi due anni su Francia e Belgio in particolare, che pensare al tipo di reazione applicata dall’uomo moderno: esso, non curante delle cause dissolutrici che hanno portato ad un sincope bella e buona del continente europeo, continua a rispondere agli attacchi usando gli stessi mezzi che lo hanno dissolto.
Continua imperterrito nel proprio ateismo, nel proprio agnosticismo.
Ricordando le orribili stragi dello scorso novembre, avvenute in vari luoghi della Francia tra cui all’interno del”le Bataclan”, potrà venire alla mente la lunga processione fatta dal volgo parigino verso Place de la Republique, per prostrarsi al Molekh laicista rappresentato dalla Marianna. Questo simbolo muto e sordo, inequivocabilmente massonico, questa rappresentazione delle istituzioni francesi, illuministe e antitetiche verso il diritto positivo ed il bene comune che una società dovrebbe garantire, rimane e rimarrà sempre un idolo pagano, che crollerà come tutti gli altri, crollati nel passaggio del Bambin Gesù dall’Egitto.
Per ora però, intanto, esso si erge in modo agghiacciante quale baluardo di un’anti-cristiana idea di Stato, porgendo fianco a tutto quello che sta accadendo: dove non vi è Dio a regnare, non può che regnare la morte e la carestia, la fame e la sete, il sangue e la pestilenza. Non esistono vie intermedie.
I sonetti suonati davanti al locale in cui si stava invocando a polmoni gonfi Satana, sono il ritratto di una civiltà smielosa quanto subdola, invertebrata quanto maligna, incapace di reagire a qualsiasi tipo di affronto se non con la netta affermazione della propria bassezza perversa. Nelle note di quel pianoforte, con a fianco marchiato il tridente del Demonio nelle sembianze di apparente simbolo di “pace e amore”, riecheggiavano le parole con cui la civiltà moderna ha deciso di vivere: “And no religion too”. Questa la risposta ad una strage efferata, non un raduno fra le mura di Notre- Dame, non un pellegrinaggio al Sacro Cuore, non una pubblica penitenza a Saint-Sulpice: solo una squallida rappresentazione profana, che nel giro di 2 ore ha fatto il giro del mondo, provocando pecorose lacrime, infinite condivisioni e i più svariati e molteplici commenti dei cultori del nulla assoluto, compresi ovviamente i vari nefasti politici.

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Nel caso di Bruxelles si verificano appunto le stesse reazioni, gessetti colorati, contrabbassi che musicano riff pacifisti, e così via: qualcuno poco tempo fa scriveva appunto che il tizio con il gessetto in mano è quello che muore se si trova davanti al maomettano col fucile, ma pare proprio che questo semplice concetto non entri in testa, o forse è proprio questo che si vorrebbe: creare nuovi “martiri” del laicismo imperante.

Forse non sarebbe male fare invece qualche riflessione sulla genesi di questi attentati, non tanto considerando le questioni geo-politiche che hanno portato ad allevare una serpe in seno, appoggiandola e costruendola con i favoretti del… cioccolatino schiarito che siede alla Blanche Maison, ma riflettendo invece sulle tempistiche con cui hanno colpito. Uno dei tanti mantra mediatici che hanno pervaso le testate per le prime 24 ore dall’attentato di Bruxelles, suonava così: “Colpito il cuore dell’Europa”; ecco, per una volta forse è stata detta una cosa solennemente giusta, con una piccola ma rilevante dimenticanza: Il Belgio – e nello specifico la sua capitale – è il cuore marcio che pulsa sangue sieropositivo a tutta l’Europa, è quel cuore marcio da cui parte ogni modello di perversione che dev’essere obtorto collo applicato. Stiamo parlando di uno stato che propaga la pedofilia, il transessualismo scellerato, l’eutanasia minorile e ogni genere ( in tutti i sensi ) di legge/modello per l’UE, purché essa sia finalizzata alla profanazione empia delle Leggi dell’Altissimo.

Il Belgio, la Francia e tanti altri stati, tra cui recentemente pure l’Italia, hanno legalizzato il peccato impuro contro natura che grida vendetta al cospetto di Dio. Non si tratta qui di peccati dei singoli, a cui ognuno risponderà personalmente, si tratta invece di avere trascinato intere nazioni verso un peccato pubblico e gravissimo. Sarà un caso che da quando queste aberranti scelte siano state promulgate come leggi giuridiche, il sangue di queste nazioni inizi ad essere sparso in modo così continuo? L’Italia, al passo con i tempi, rischia di fare la stessa fine, e non è da escludere che presto la faccia. Nessuno, nel vero senso della parola si preoccupa di questo, nessuno pensa a come poter riparare, nessuno si pone verosimilmente il problema, men che meno i governanti, assortiti invece in patetiche parate.

“Siete tenuti ad attribuire al Signore tanto onore fra il popolo a voi affidato, che ogni sera si annunci, mediante un banditore o qualche altro segno, che siano rese lodi e grazie all’onnipotente Signore Iddio da tutto il popolo. E se non farete questo, sappiate che dovrete renderne ragione (cf. Mt. 12,36) a Dio davanti al Signore vostro Gesù Cristo nel giorno del giudizio”.

Così parlava ai governanti il Santo di Assisi: se pur tutto non può che far ritornare ad un rattristato sorriso, non vi può essere in alcun modo anacronismo in queste parole, valevano, valgono e varranno finché il Signore non sgancerà il Suo braccio su questi ultimi ed indegni tempi di vita umana. Chi non si conforma a queste esortazioni non può che essere destinato a perire, insieme a tutto il popolo che è convinto di governare, e che pur lamentandosi rimane imperterrito sulla stessa linea dei padroni di turno: l’assenza di Dio dalla vita privata e dalla vita pubblica.

La Tradizione Cattolica ha sempre affermato, certamente con maggior rilievo sino al XVI secolo, la Verità di cui solo Essa poteva e può essere depositaria, poiché non di ordine umano, ma divino. Gli uomini hanno sempre avuto nel corso dei secoli libertà di scelta in merito, il libero arbitrio che Dio concesse già ai progenitori, per il quale sono messe in rilevo più possibilità: accettare ed integrare questa Verità che la Chiesa sempre ha proposto, falsare per incomprensione godendo di una responsabilità più lieve rispetto a chi falsa con coscienza ( secondo quanto dice San Tommaso circa i diversi gradi di colpa ). La terza opzione, quella più convenevole ai nostri tempi di ombre scure, è quella che cerca addirittura di sradicare o intercambiare con velleità di potenza individuale e profana questo deposito divino. A questo riguardo è innegabile che la superiorità del Medioevo, non si constata dall’assenza del peccato ma nella ben definita presenza di un quadro tradizionale, in un alveo comune che non conosceva eccezioni! L’umanità scorreva fra due sponde ben contenute, se pur alle volte minacciose di inondazioni tumultuose, essa aderiva completamente alla legge Divina; persino il più omicida dei peccatori credeva in Dio, sapeva che per lui sarebbe arrivata la Morte, il Giudizio. L’Inferno od il Paradiso.
Proprio qui sta il nodo di confronto fra questi due tipi di uomini così lontani, così diversi, che quasi non si direbbe siano della stessa natura: gli avvenimenti sono la prova di questa diversità di atteggiamento dell’essere umano, il tipo di reazione a quanto accade nella sfera privata quanto collettiva, l’atteggiamento che essi mostrano di fronte alla Verità, ovvero alla Tradizione Cattolica, essi non sono altro che il riflesso della loro aderenza al divino.
La dignificazione religiosa è sempre stato il monito essenziale di quella civitas che fu cristiana, e che consacrando pubblicamente sé stessa alla santa religione si è guadagnata secoli di divino consenso.

Queste brevi considerazioni introduttive dovrebbero essere sufficienti per dimostrare l’assoluta fragilità di un’unità europea basata esclusivamente su di un piano materiale e pragmatico, laddove sarebbe indispensabile porsi ad un livello più alto, facendo intervenire prima di tutto valori spirituali e tradizionali. Rinnegare le radici cristiane dell’Europa, producendo una vera e propria discontinutà col passato, non è altro che l’ultimo atto di un percorso sovversivo che ha portato il “vecchio continente” sul baratro di una crisi irreversibile. Ultimo atto di un piano che non riguarda solo l’Europa ma tutto il mondo moderno. Infatti, da qualsiasi punto di vista ci si voglia porre, è quanto mai evidente che la società moderna soffre di una vera e propria mancanza di principii, e ne soffre in ogni ambito, tanto a livello individuale quanto a livello di collettività sociale. Nella prospettiva dell’uomo contemporaneo e delle istituzioni nazionali ed internazionali che governano il mondo, le uniche cose ad essere considerate sono quelle contingenti. I rapporti tra individuo e “autorità” sono stati invertiti in un caos inestricabile, ogni gerarchia è stata abolita in nome di una chimerica uguaglianza e ciò che avrebbe dovuto subordinarsi ha affermato la propria autonomia.
Persino i buoni propositi sono stati intaccati da quella mentalità “plebea” che fa da padrona su ogni fronte: gli uomini che oggi governano il mondo sarebbero stati ritenuti servi della gleba nei secoli in cui vigeva un vero ordine gerarchico, soggetto a riconoscere le inclinazioni naturali di ogni uomo, messe a disposizione in un determinato ambito per conseguire un bene comune. Così infatti funzionava l’Europa in cui al primo posto regnava sicuramente l’autorità di tipo spirituale. Sarebbe interessante vedere le suddivisioni nelle varie classi, senza nessuna teoria egualitaria, ma per cognizione di causa, sapendo che, soddisfacendo alla predisposizione che Dio elargisce ad ogni uomo perché compia ciò che è a lui più consono, si garantisce un effettivo regolare e metafisico svolgimento di ogni attività umana volta a render lode a Dio, principio fondamento della vita privata e finanche collettiva.

L’autorità spirituale era ben conscia del ruolo che ricopriva, sapeva che il sacerdozio era il ministero più alto, responsabile della condotta di tutto il genere umano perché conoscitore di quella scienza sacra che solo può risiedere nel votato a Cristo – “Tu es sacerdos in aeternum”.

I sacerdoti, oltre ad essere le massime espressioni di fede per cui si rinunzia al mondo per servire Dio, erano ( e dovrebbero essere ) i chiamati ad una conoscenza attiva del sacrificio che ogni giorno si compie sugli altari con un gesto di benedizione, con una voce che diventa quella di Dio stesso, sull’Altare che diventa il trono del Rex tremendae maiestatis.
Non vi è possibilità di soffermarci molto su quest’interessante aspetto riguardante il sacerdozio che ha subito notevoli mutamenti nel corso dei secoli, in special modo dal Medioevo in poi, per finire poi ad essere completamente distrutto e disintegrato con il Concilio Vaticano II, epperò creando una nuova e mai vista prima immagine del sacerdote, persino dal punto di vista esteriore.
Il frastuono progressista della civiltà moderna ha di fatto inghiottito e deviato tutto, ha portato ad essere propagatori del chiasso coloro che dovevano essere estimatori del silenzio, esteriore ed interiore. I preti oggi non conoscono più il silenzio, non conoscono più la preghiera, la solitudine. A questo riguardo è curioso rievocare il primo momento in cui Sant’Agostino incontrò Sant’Ambrogio a Milano: il Vescovo sempre assorto nella Sua lettura endofasica colpisce profondamente il giovane Agostino, che nella Sue confessioni dedica anche una nota all’intensità interiore di Sant’Ambrogio: « Nel leggere, i suoi occhi correvano sulle pagine e la mente ne penetrava il concetto, mentre la voce e la lingua riposavano. Sovente, entrando, poiché a nessuno era vietato l’ingresso e non si usava preannunziargli l’arrivo di chicchessia, lo vedemmo leggere tacito, e mai diversamente.»

Se anche solo volessimo pensare all’enormità dei quattro Padri latini rispetto alla pochezza con cui oggi ci si applica allo studio, alla conoscenza, alla teologia… Capiremmo quanto l’aver allontanato l’idea di silenzio e di chiusura interiore fra i ministri di Dio sia stato a poco a poco un processo di auto-demolizione. Se un tempo furono scritte opere quali la Somma Teologica, l’Adeversus Iovinianum, De diligendo Deo – e potremmo andare avanti all’infinito – , oggi ci ritroviamo davanti a centinai di cinguettii postati via Twitter su cui vengono sparate “perle di saggezza” sul cui contenuto è calorosamente consigliato di sorvolare: questo è il silenzio che le autorità spirituali di oggi sanno fare. Chi allora azzarda a dire che non vi è stato cambiamento nella Chiesa e che la storia si ripete abitudinariamente, non può far altro che auto-includersi nella prestigiosa cerchia dei pressappochisti cialtroni.

Possiamo dunque tranquillamente dire che un misfatto creato dalla democrazia imperante ha portato con sé l’amara conseguenza di poter sperare in segni di rottura e cambiamento proliferati dal “basso”, dalle piazze e dal volgo che con l’intento ( in alcuni punti giusto ) di contrastare la modernità di una società paralizzata in una spuria borghesia, fa il gioco stesso di quel processo che possiamo definire sovversivo. Questo “basso” a cui ci riferiamo è quello da cui parte l’idea di risanare i conti tramite un’azione che non solo è mossa da strati sociali inferiori, ma altresì partendo da valori inferiori e questo lo si può percepire principalmente sul piano politico-sociale, fenomeno in cui ciò che viene esaltata è la cosiddetta giustizia sociale, che non ha nulla a che vedere con un vero senso di Giustizia. Come termine moderno essa è intravista su di un piano meramente ugualitario, partigiano potremmo dire, che si prostra al servizio del ceto basso, operaio e che non ha avuto, dal marxismo in poi, altro intento se non quello di innalzare lo Stato ad unico modello dominante. Con questo presupposto il comunismo ha presentato un alternativo e sovverso concetto di “bontà” e “giustizia”, indottrinando tutti a credere che l’uomo giusto sia quello del quinto stato. In questi termini si è attuata la lotta contro la borghesia, che più ha rappresentato il secolo scorso, e sempre in questi termini si è contratto un danno ancor più maggiore di quello che già vigeva, determinando l’ultimo stato di decomposizione della nostra attuale ed invertebrata Europa.
La forze della Sovversione avevano capito che un tipo di uomo borghese così economicamente elevato ( unico monito con cui si è venuti a pesare la grandezza dell’uomo ) e distante sempre in termini economici dal proletario, iniziava a dare fastidio, così si sono mossi verso le masse istigandole ad una guerra contro il capitalismo, non però partendo da valori ( prettamente interiori ) qualitativi, aristocratici, spirituali, ma sotto la bandiera dei “valori sociali”, “proletari”. Con questa rivoluzione partita e comandata dal “basso” e non dall'”alto” si è arrivati a partorire un tipo di uomo unilateralmente borghese, senza più eccezione di classe economica, se non minima: tutti si sono sempre potuti permettere la vacanzina in riviera, per intenderci.

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Anche i cattolici molto spesso sono vittime di questo tranello, ispirati da quell’ente collettivo sinistroide che ha tessuto tele ovunque, facendoci avanzare personalismi liberali ed aprendo ad implicite simpatie verso il “basso”. La domanda fondamentale è: saremmo noi in grado, nel caso in cui veramente si presentasse un’Autorità degna di tal nome, di essere subordinati ad Essa? Obbediremmo noi a quel Re temporale di cui parla Sant’Ignazio nei Suoi Esercizi? Oppure siamo solo figli della contestazione fine a se stessa? Per nostro conto questo è un punto di vitale importanza, su cui riflessioni ed oneste introspezioni non devono avere scadenza.
L’uomo cattolico integralmente non deve essere forte solo nel polemicismo, ma anzitutto capire quanto sarebbe forte e saldo nell’azione concreta, i tiepidi infatti hanno reso osceno il nostro continente, i tiepidi una volta messi di fronte alla “Verità che tanto ci sublima” sono sempre elementi di corruzione e dissolvimento: Democrazia Cristiana docet.

Il rischio in cui si incorre è quello di non rendersi conto che la mentalità rivoluzionaria e marxista non ha anzitutto ucciso i fondamenti esteriori della società, ma ha agito su quelli interiori: il rivoluzionario infatti distrugge prima di ogni cosa la gerarchia intrinseca, disprezzando un fondamento interiore di ordine, ripercuotendo questa demolizione sulla società esteriore. Ciò che questo germe è riuscito ad insidiare nei cuori e nelle menti, è molto peggio che una mentalità propensa a distruggere tutto ciò che di esterno viene riconosciuto come obsoleto e retrogrado, l’azione in questo caso parte dalle interiora. Ecco perché risulta semplicemente assurdo considerare le più svariate rivoluzioni dei tre secoli che ci precedono come puri fenomeni irrazionali, o tuttalpiù legati a contesti di natura materiale o meramente sociale. Se non si fosse attuata all’origine una preliminare rivoluzione interiore, che scardinasse il senso di subordinazione a cui normalmente si assoggetta l’uomo per congiunzioni sancite preternaturalmente, non sarebbe passata nessuna rivoluzione.

Se è vero che il più non può derivare dal meno, si può dunque spiegare solo in questi termini il processo involutivo che ha ridotto l’Europa in questo stato; certo è che con argomentazioni naturalistiche si potrebbe constatare che ogni organismo è predisposto per avere un punto di splendore ed un consequenziale sviluppo inverso di indebolimento ed infine di morte, questo però diventa difficle crederlo quando si sta parlando di organizzazioni politico-sociali e di determinate civitas.
Oswald Spengler tentò di spiegare la sincope dissolutiva dell’Occidente tramite la teoria analoga della fattualità organica; ogni civiltà secondo lo Spengler, vanta una fase aurorale, una fase di totale inclinamento, un invecchiamento autunnale, un artrosi del composto societario, infine una morte ed una polverizzazione. Questo processo partirebbe dalle prime originarie forme organiche, di tipo spirituale ed eroico, a quelle forme più inermi, materializzate e disanimate da ogni tipo di retta spiritualità.
Purtroppo però in questa visione incompleta del filosofo, dovuta all’influenza anti-cristiana e nichilista di Nietzsche, non vi si trova soluzione attiva, essa si auto-depaupera, non riuscendo a ritrovare un contraccolpo degno di una civiltà che invece fu cattolica e ha sempre saputo reagire. Evidenziare questi stati di decomposizione è certamente giusto, e sinanco innegabile se si guarda onestamente il corso della storia, ha però una parte fondamentale la fede in questa analisi, che allo Splenger di base manca: la soluzione esiste ed ammette che l’Europa si salverà solo tornando alla purezza spirituale cattolica!
Solo così potrebbe restaurarsi un tipo di civiltà saldamente tradizionale, in cui i valori spirituali costituiscono il punto di partenza supremo su cui muovere tutta l’organizzazione generale, abbattendo finalmente la civiltà moderna anti-tradizionale che si appella a fattori meschinamente umani, individualistici e collettivistici, ritratto di una profondità oscena e tumultuante, parassitismo subdolo verso la sola vita terrena, che non mirano ad un’idea di super vita,ovvero protesa verso l’eterno, ma solo alla finale dissoluzione materiale.

Ricostituire allora una struttura gerarchica, che riprenda confidenza con il principio dell’autorità, affinché si instauri un assetto metapolitico nel suolo sociale, non per imposizione o per dominio violento, ma per un tipo di instaurazione spirituale.
Tutto un sottoculturame di destra fa ancora riferimento a modelli impositivi quali fascismo e nazismo, laddove la tirannia si è imposta sul sottosviluppo culturale della popolazione, con quattro slogan di propaganda puerile quanto insidiosa: nessuno rammenta di dire che a questi due grandi blocchi è mancata proprio l’autorità, degna di tal nome. Se pur le intenzioni – soprattutto per quel che concerne il fascismo romano – fossero buone, esse hanno avuto ai vertici dei plebei dell’intelligenza, incapaci di ricoprire il loro ruolo, poiché hanno volontariamente rifiutato ogni collegamento con il Cielo.
In una visione veramente tradizionale non c’è spazio per imposizioni di natura tirannica, l’autorità afferma la propria sovranità in modo diretto, con la sola presenza, come un magnete che attira a se ciò che è a lui subordinato.
Alla storiografia deviata sta molto a cuore la concezione di ordine gerarchico imposto per forza, falsando secoli di storia che hanno visto invece una spontanea adesione dell’ inferiore al superiore, non come irrazionale sottomissione ma come bisogno effettivo: non è il capo ad aver bisogno dei sudditi, e non è il più ad aver bisogno del meno.

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Questo falso modello di ombrosa e maligna politica sinistra, è lo stesso che ha creato il mito femminista della donna sottomessa e schiavizzata alle prepotenze del capo famiglia, affermazione priva di onestà storica, e sopratutto garante assoluta di un livellamento culturale tipico della modernità ipocrita e rinnegatrice.
Così, l’Occidente ha snaturato la donna dal suo ruolo, l’ha messa dove non era naturale stare, la prostituisce pubblicamente alla luce del giorno depotenziando questa sua immensa forza unitiva rappresentata dal suo essere madre, creatrice della vita. Da segno di unione quale era si attua su di lei una metamorfosi in nome dei diritti, creando appunto il mito della “Femina”, libera ed autodeterminata.

Il processo rivoluzionario porta i principali fondamenti nel metodo sovversivo della Rivoluzione Francese: non ha interesse nel disintegrare una Verità, trova piuttosto propizio capovolgerla, scimmiottarla. Essendo Satana identificato come “la scimmia di Dio”, sconvolge le verità, le capovolge. Tale presupposto è riscontrabile in ogni rivoluzione, dove “l’astuzia della ragione” di cui parlò Hegel, fa da porta bandiera; il termine stesso “rivoluzione” è stato perverso dal suo significato originario: significando un ritorno al punto di partenza e al moto ordinario che ruota intorno ad un centro, ad una forza centripeta che lo tiene legato a realtà superiori, metafisiche.
La rivoluzione intesa in senso moderno è poi sempre accompagnata dal colore rosso, massima rappresentanza del processo dissolutivo esecrato dalla mentalità comunista. Ora, nessuno può negare che suddetto colore sia stato in origine e nel corso dei secoli in stretto collegamento con la funzione regale ed imperiale della civiltà: nella stessa Chiesa infatti i cosiddetti “porporati” sono meglio conosciuti come principi della Chiesa.
È ben facile capire come il gioco delle forze anti-tradizionali ed anti-cristiche usurpi il vero senso dei simboli, salvo poi inventare perniciose idee di “rinnovamento” – parola anche questa molto in uso – su più svariati fronti, per indurre l’uomo a concepire il corso della storia come qualcosa che debba rinnovarsi per garantire una migliore interiorità ( “rinnovamento dello spirito”), mentre che – sappiamo bene – non vi dev’essere nessun rinnovamento verso ciò che è immutabile per sua necessità d’essere. La Tradizione Cattolica si prefissa l’assoluta normazione metafisica della vita, non implicando nessun tipo di innovazioni.

Questa presunzione di sovvertire, di creare nuovi idoli ragionevoli, e di dare il diritto ad ogni individuo di esporre la propria visione, è stato determinato dall’ultimo tassello dissolutivo del post-fascismo, ovvero la democrazia, tutta propensa a livellare, ad eguagliare. Ma siccome l’uguaglianza, nonostante tutto, è sostanzialmente impossibile, sono sorte delle false gerarchie, all’interno delle quali l’uno invade l’altro e tutto si mescola e si confonde ponendo al primo posto non importa cosa: scienza, tecnologia, industria, sesso, finanza e politica, si sovrappongono producendo a loro volta ideologie d’ogni genere, comprese quelle più aberranti; il tutto per aver perso di vista ciò a cui normalmente dovrebbe spettare la supremazia, vale a dire i veri principii.

Noi ci riferiamo unicamente a quei principii che il Cristianesimo sin dalle sue origini ha diffuso e difeso in tutto il mondo, anche a costo del sangue di tanti Martiri, e che a nostro parere hanno trovato la loro massima espressione in età medievale. Il primato dell’Autorità Spirituale, l’Impero, la pratica religiosa, la famiglia, l’etica e l’autentica libertà della persona, questi sono i pilastri su cui si fonda una civiltà tradizionale, guardacaso i medesimi che la società moderna tenta sistematicamente e con ogni mezzo di distruggere (e in larga parte vi è innegabilmente riuscita).
Venendo a mancare l’assoluto senso del Sacro, quello che si oppone a liquescenze, vanità, femminilità di pensiero e di azione, l’Europa si è trascinata fra le proprie macerie: il Sacro deve essere il perno su cui ruota l’intero corpo collettivo, certa conquista di una condizione di totale atarassia. Il Sacro è ciò che deifica l’uomo, trascendendolo al sovrumano, è ciò che lo conduce alla dimora eterna.

Il totale sforzo deve essere ora quello di riaffermare la sacralità della vita, affermare che la Croce è l’unico apporto salvifico verso cui l’uomo può e deve immolarsi, per garantire il suo stesso sviluppo qui sulla terra che avverrà solo una volta affermata la sovranità del punto di vista sacro su quello umano.
Quest’ultimo va annientato, affinché si radicalizzi la centralità divina: unico vero fondamento per restaurare in Europa la Tradizione Cattolica, integralmente romana.

Se tutte queste proposizioni appaiono utopistiche pazienza, il Male va estirpato e sradicato alla radice, la fortezza ricostruita dalle fondamenta marce.
Così fece San Giorgio – convertendo un’ intera città – nel momento in cui abbatté il tempio di Apollo, udendo i gemiti dei demoni che gridavano a gran voce: “Gesù Cristo vince, Gesù Cristo trionfa su di noi!”.

 

 


[1] M. Consoli, “Domani, nel tempo delle vacche magre”, in “L’Uomo Libero”, n.13. Gennaio 1983, Milano