amoris-laetitia-bis

 

di Gianluca Di Pietro

«Ed egli sul patibolo tre volte rispose con tre affabili “no!”. Poi rivolgendosi verso la folla che assisteva disse a gran voce: “Popolo Cristiano, io muoio per la fede nella Santa Chiesa Cattolica di Cristo”. Perdonò prima il suo boia e cadendo in ginocchio recitò il Te Deum e il salmo XXX con le parole: In Te Domine speravi, non confundar in Aeternum».

 

Questi furono gli ultimi drammatici e commuoventi momenti di John Fisher, il cardinale martire che decise di voltare le spalle al proprio re, piuttosto che voltare le spalle al proprio Signore, perdere la vita piuttosto che perdere la fede.

E tutto questo per quale motivo? Testimoniare la bellezza di un amore sincero, stabile, puro quale è quello matrimoniale predicato da Cristo e, dopo di Lui, dalla Chiesa.

“Che sciocco trionfalismo, che plateale recita!”: sono queste le uniche e logiche conclusioni che possiamo trarre a posteriori, dopo aver letto la recente Esortazione Apostolica.

Nessun aggettivo se non sconcertante potrebbe descrivere in maniera così appropriata l’Amoris Laetitia pubblicata al termine del biennale “cammino sinodale” che “ha permesso di porre sul tappeto la situazione delle famiglie nel mondo attuale”.

Il cardinal viennese Schömborn ha spacciato per successi quelli che per me sono i motivi di cotanto sconcerto durante la conferenza stampa di presentazione del documento: in quest’ultimo, si mette in cantina l’artificiosa, esteriore e netta distinzione tra “regolare” e “irregolare” , quella attitudine a categorizzare le situazioni. Il prelato cerca poi di tranquillizzare i normalisti: “La dottrina non è intaccata; si tratta di uno sviluppo organico della dottrina”, frase che in altri tempi sarebbe senz’altro ricaduta nelle sanzioni ecclesiastiche della Pascendi e della Lamentabili Sane Exitu.

In altre parole, il cardinale ammette come il relativismo sia, in ultima analisi, la parola chiave del documento, sebbene mascherata sotto il termine tipicamente ignaziano e gesuitico di “discernimento”.  Proprio in virtù di giochi di parole come questo che investono tutto il documento, il testo risulta essere estremamente subdolo: le decisioni papali sono quelle scritte tra le righe o nelle postille e non sopra le righe. Per comprenderle è necessario studiare a fondo il documento, come suggerisce lo stesso Francesco: “Non consiglio una lettura affrettata. [L’Esortazione]Potrà essere valorizzata sia dalle famiglie sia dagli operatori pastorali se la approfondiranno una parte dopo l’altra o se vi cercheranno quello di cui avranno bisogno in ogni circostanza”.

Eppure, il potenziale dell’esortazione va ben oltre: possiamo intendere il testo come una summa, un compendio dell’ecclesiologia di Francesco. Azzardo di più, un manifesto di fondazione di un’altra Chiesa. L’AL non solo dissolve –ahimè- il sacramento del matrimonio, ma manda in pensione tutta la nostra fede che come cattolici confessiamo una, santa, cattolica apostolica e romana.

  

  • La fede non è più romana: Il Papa non è più “iudex omnium temporalium atque spiritualium”.

 «La complessità delle tematiche proposte ci ha mostrato la necessità di continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali». Di fronte alla complessità della realtà, Francesco non vuole o non sa porre la parola “fine” come un Clemente Romano alle dispute sorte tra i Corinzi. Egli preferisce essere la voce del Corpo dei Vescovi e per questo “raccoglie i contributi dei due sinodi”. Tra il “desiderio sfrenato di cambiare tutto senza riflessione” e “l’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali” Francesco ribadisce il principio della superiorità del tempo sullo spazio, già teorizzato nella LF e nella EG: non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del Magistero.

 Ecco che la Chiesa è abbandonata all’anarchia e la Verità decisa dalla democrazia!

 

  • La fede non è “una” perché variamente “inculturata”.

Francesco auspica che questo documento possa orientare la riflessione, il dialogo e la prassi pastorale in vista di una inculturazione della dottrina. Quest’ultima, infatti, pur essendo “una” può essere diversamente e lecitamente interpretata a seconda delle culture e delle tradizioni. Non ha invece Cristo predicato unus baptisma e una fides affinchè fossimo tutti sotto lo stesso unus Dominus? Nulla di strano alle nostre orecchie: siamo abituati a questa strana e eterodossa ecclesiologia di Francesco per cui la Chiesa è un poliedro con tante facce, tutte diversamente distanti dal centro, ma tutte con la propria identità.

 

  • La fede non è più “santa”, ovvero “sciolta dal mondo delle passioni e della materialità”: la Chiesa ha indottrinato il Vangelo.

 Il secondo capitolo si apre con l’enunciazione del secondo assioma della teologia di Francesco: se il tempo è superiore allo spazio, la realtà è superiore all’idea. Mentre del primo non viene data alcuna spiegazione, rimandando il lettore ai suoi precedenti scritti, il secondo assioma viene motivato: secondo una sorta di Hegelismo, si afferma che gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia e solo in questo modo la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero della famiglia e del matrimonio. Se da un lato la crisi del matrimonio risiede nelle imperanti spinte del secolarismo e dell’individualismo – da lui giustamente condannate-  non meno colpevole è la Chiesa la quale è chiamata ad una autocritica. Dobbiamo essere umili e realisti per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le nostre convinzioni cristiane e di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo, scrive Francesco. La Chiesa ha presentato un ideale di famiglia troppo astratto e questa idealizzazione ha reso il matrimonio meno attraente. Un’altra colpa della Chiesa è di aver apprezzato poco la coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti. La Chiesa prima di lui ha perso quella compassionevole vicinanza che Gesù ha mostrato nei confronti dell’adultera e della samaritana.

 

  • La fede non è più “cattolica e apostolica”: il fedele è contemporaneamente et peccator et iustus.

In ben otto capitoli Francesco si sforza di descrivere quanto è complesso il “reale”,  ma con l’unico scopo di avvalorare la sua tesi di fondo. E’ meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Le norme generali ­–  ossia la Legge di Dio-  non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Perciò, Francesco percorre l’unica strada percorribile: la Chiesa ha una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti, di cui è bene tenere conto. Queste sono le esigenze del Vangelo nei tempi attuali! In virtù di questo, non è più possibile dire che chi vive in oggettivo contrasto con il volere di Dio non possiede la grazia santificante. Qualcosa di aberrante e contrario alla dottrina: come recita il Catechismo, il peccato ci sottrae la Grazia Santificante. Non è altrettanto meschino rinvenire in queste parole di Francesco una somiglianza con la dottrina protestante che Lutero compendiò nella frase pecca fortiter, sed crede fortius. Per Lutero, infatti, il fedele è et peccator et iustus: la Grazia di Cristo non agirebbe così a fondo da “convertire” il peccato, ma si fermerebbe superficialmente solo a ricoprirlo. Solo così l’uomo sarebbe giustificato.

 

Questa è la nuova e stramba regula fidei, il filo conduttore di tutta l’opera sovvertitrice di Francesco, lo spirito che muove i suoi passi e la rotta suicida che tutta la Chiesa sta seguendo.

Noi non abbiamo la stessa tempra e la stessa santità del Cardinal Fisher, neppure lo stesso coraggio a chinare la testa sotto la falce.

Non ci resta che piangere.

Suonate a morto le campane, dunque, e gridate: “è morta la vera fede e con lei noi tutti!”