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Nota di Radio Spada: continua la rubrica apologetico-polemica il “Tiragraffi” a cura dell’amico Augusto Maria De Gattis. Questa rubrica si inserisce a pieno titolo e con vivacità polemica nel diuturno dibattito su crisi della Chiesa e problema dell’Autorità che da circa tre anni si sviluppa su questo blog.

E’ vero che la portata di un movimento come la Fraternità San Pio X non va confusa con le suggestioni, più o meno personali, di questo o quel membro – e questo vale tanto per il resistente che contesta il ‘traditore’ l’accordista, ma anche per l’accordista che contesta il ‘traditore’ resistente. Eppur è anche vero che vi sono membri, nella galassia lefebvrista, che non possono essere considerati come l’ultimo priore arrivato o portatori di opinioni individuali.

Uno di questi è don Schmidberger (d’ora in poi don S.), tanto influente oggi, quanto ieri. Primo successore di mons. Lefebvre e, oggi, braccio destro di mons. Fellay, possiamo tranquillamente affermare che l’iper-accordista don S. non ha mai abbandonato la cabina di pilotaggio della Fraternità San Pio X.

Il rettore del seminario di Zaitzkofen era già stato notato dalla zampa felina di chi scrive, non più tardi di qualche mese fa, quando organizzò, nel seminario da egli stesso retto, una giornata di confessioni (ora valide e legittime grazie al “Santo Padre”, va da sé) in occasione del “Giubileo” tanto bistrattato e contestato a parole, ma, nei fatti, devotamente celebrato. Un evento del tutto coerente con la sottomissione verso l’“autorità” con la quale ci si professa in comunione.

Ebbene, nei giorni scorsi vari blog tradizionalisti hanno pubblicato una circolare interna alla Fraternità San Pio X nella quale don S. – il quale, ricordiamolo una volta di più, è uno dei principali reggenti della Fraternità stessa – preparava i confratelli e i destinatari della lettera alla nuova (nuova?) aria filo-romana e li incoraggiava a salutare con entusiasmo la ventilata proposta di accordo. Il testo è, dunque, interessante per vari spunti rivelatori della reale vocazione «una cum», non solo nella Messa, della Fraternità.

Sorvolo sul presentare la Chiesa quasi esclusivamente come istituzione umana e, per la Fraternità, abitualmente fallibile – ho già graffiato, su questo. Interessante, invece, dato il pragmatismo, è la parte nella quale don S. offre gli argomenti per i quali sarebbe auspicabile l’accettazione di un’eventuale proposta di accordo.

«Sembra – scrive don S.  – che il momento di una normalizzazione della Fraternità sia arrivato». E questo per diverse ragioni. Innanzitutto, spiega don S., perché ogni situazione anormale va normalizzata: c’è, quindi, una presa di coscienza del fatto che non è normale vivere come se quella che si riconosce essere la legittima autorità e con la quale si è in comunione non esistesse.

Da qui, emerge il secondo problema evidenziato dalla lettera: non bisogna perdere di vista il danno per il quale i fedeli possano abituarsi a una situazione anormale vedendola come normale. Verissimo: l’«una cum», non solo nella Messa, porta necessariamente alle corrette (dal suo punto di vista) conclusioni di don S. Se i fedeli o i membri della Fraternità – scrive – trovano confortabile questa situazione di libertà di dipendenza dalla gerarchia, allora questo comporta una perdita graduale del «sensus ecclesiae». I resistenti sono serviti.

C’è poi la questione dei sacerdoti e vescovi «simpatizzanti» che potrebbero aiutare la Fraternità, ma, a causa della situazione irregolare, non lo possono fare: pronto e servito anche il minestrone conciliare.

Notevole anche la questione dei nuovi vescovi: «Negli anni a venire, noi avremo un bisogno urgente di nuovi vescovi», annuncia don S. precisando che sarebbe meglio farlo con «il permesso di Roma». Infine, per don S., la normalizzazione della Fraternità San Pio X permetterà la conversione delle “autorità” romane: l’eterno ritorno del topos per il quale Econe convertirà Roma. Don S. si illude sapendo di illudersi. Spero.

Allora, questa prelatura personale è chiaro che per don S. s’abbia da fare. E chi si oppone? Chi si oppone, i resistenti, hanno «perso il senso della Chiesa e l’amore per la Chiesa nella sua forma concreta». «Se Dio vuole aiutare la Sua Chiesa – conclude don S. – ha numerosi mezzi. Uno di questi è il riconoscimento della FSSPX da parte delle autorità romane». Ottimo e coerente.

Detto tutto ciò, per riprendere un articolo pubblicato qualche giorno qui su RS, chi davvero potrebbe fidarsi ulteriormente della Fraternità?

Augusto Maria De Gattis