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Ermanno von Reichenau (1013-1054) 

Il 18 luglio dell’anno 1013 Eltrude, sposa di Goffredo, conte di Altshausen di Svevia, diede alla luce un figlio maschio. Gli sposi appartenevano entrambi a nobilissime famiglie e nomi di gentiluomini e di alti prelati si ripetono continuamente nei loro alberi genealogici.

Eppure di nessuno di costoro si è serbata durevole memoria, salvo che del piccolo essere che venne al mondo orribilmente deforme. Fu soprannominato il Rattrappito, tanto era storto e contratto: non poteva star ritto, tanto meno camminare; stentava perfino a star seduto nella sedia che era stata fatta appositamente per lui; le sue dita stesse erano troppo deboli e rattratte per scrivere; le labbra e il palato erano deformati al punto che le sue parole uscivano stentate e difficili a intendersi. In un mondo pagano egli sarebbe stato, senza esitazione di sorta, lasciato morire all’atto stesso della sua nascita, soprattutto considerando che il piccolo Ermanno era uno dei quindici figli e che i competenti di novecento anni fa lo dichiararono anche deficiente.

Che cosa fecero quei poveretti ancor sommersi in quelle che abbiamo la faccia tosta di chiamare le tenebre del medioevo? Lo mandarono in un monastero e pregarono per lui.

Reichenau sorgeva in una deliziosa isoletta nel lago di Costanza dove il Reno corre impetuoso verso le sue cateratte. Il monastero era stato fondato prima di Carlo Magno – esisteva cioè da più di duecento anni. Sulla strada maestra, sulla riva di fronte, transitavano continuamente viaggiatori italiani, greci, irlandesi e islandesi. Le sue mura ospitavano dotti famosi e una scuola di pittura.

Qui il ragazzo crebbe. Qui il ragazzo che poteva a mala pena biascicare poche parole con la sua lingua inceppata trovò, chissà in virtù di quale psicoterapia religiosa, che la sua mente si apriva. Neppure per un solo istante, durante tutta la sua vita, egli può essersi sentito comodo o, per lo meno, liberato da ogni dolore: quali sono tuttavia gli aggettivi che vediamo affollarsi intorno a lui nelle pagine degli antichi cronisti?

Li traduco dalla biografia in latino: “piacevole, amichevole, conversevole; sempre ridente; tollerante; gaio; sforzandosi in ogni occasione di essere galantuomo con tutti”. Con il risultato che tutti gli volevano bene. E frattanto quel coraggioso giovinetto – che, ricordate, non era mai comodo, né seduto su una sedia, né sdraiato in un letto – imparò la matematica, il greco, il latino, l’arabo, l’astronomia e la musica. Scrisse un intero trattato sugli astrolabi e nella prefazione scrisse: “Ermanno, l’infimo dei poveretti di Cristo e dei filosofi dilettanti, seguace più lento di un ciuco, anzi, di una lumaca… è stato indotto dalle preghiere di molti amici (già, “tutti” gli volevano bene!) a scrivere questo trattato scientifico”.

E, lo credereste, con quelle sue dita tutte rattrappite, l’indomabile giovane riuscì a fare astrolabi, e orologi e strumenti musicali. Mai vinto, mai ozioso! In quanto alla musica, è quasi certo che egli fu il compositore dello stupendo inno Salve Regina, dell’Alma Redemptoris, e di alcuni altri. Ma oltre a questo Ermanno, dotato di un cervello straordinariamente attivo e vigoroso, e che era a conoscenza di tutte le tradizioni delle più importanti famiglie del suo tempo, ed aveva accesso a molti libri antichi che noi non conosciamo a causa delle distruzioni che in anni successivi dispersero e rovinarono le biblioteche degli antichi monasteri, scrisse un Chronicon di storia del mondo, dalla nascita di Cristo al tempo suo. Si sa che l’opera si meritò le lodi dei competenti del tempo, che la giudicarono straordinariamente accurata, fondata naturalmente sulle tradizioni, ma tuttavia obbiettiva e originale. Eccovi dunque il monachello storpio, chiuso nella sua cella, ma desto, vivo, con gli occhi spalancati a seguire la scena del mondo esterno eppure non mai cinico, non mai crudele (è così frequente il caso che la sofferenza generi crudeltà) e capace di tracciare un quadro completo delle correnti della vita in Europa.

Venne il momento di morire. Egli fu assalito dalla pleurite e trascorse quasi dieci giorni in continue e forti tribolazioni. D’altra parte, il mondo futuro, che non avrà termine, e quella vita eterna, erano divenuti per lui indicibilmente desiderabili e cari, così che egli considerava tutte queste cose passeggere non più che la impalpabile lanugine del cardo.

Disse al suo amico Bertoldo di prender le tavolette per scrivere, onde annotare alcune ultime cose: “Ricordando ogni giorno che anche tu dovrai morire, preparati con ogni  energia per intraprendere lo stesso viaggio, poiché, in un giorno e in un’ora che tu non sai, verrai con me – con me, il tuo caro, caro amico”.

E furono queste le sue ultime parole. In questo povero, contorto ometto del medioevo, brilla il trionfo della fede che ispirò l’amore e dell’amore che fu leale alla fede professata. Ermanno ci dà la prova che il dolore non significa infelicità, né il piacere la felicità.

 (Brano tratto da Cyril Martindale, Santi)

a cura di Luca Fumagalli