di Alexander Nevskij
Il 9 febbraio 1991 quasi l’80% del corpo elettorale della Repubblica Socialista Sovietica di Lituania confermò con un referendum popolare la propria volontà di indipendenza dall’URSS, già dichiarata dal Parlamento Lituano circa un anno prima (11 marzo 1990) e prontamente rigettata come invalida dalle autorità sovietiche con conseguenti provvedimenti di isolamento economico della Lituania stessa (prima ancora che di tentativo di repressione armata, debole ma che causò comunque decine di morti). L’esempio lituano provocò, nel giro di un anno e mezzo, la dissoluzione dell’Unione Sovietica (formalmente dichiarata il 26 dicembre 1991) e la fine del regime totalitario che aveva per settant’anni imperversato su un sesto delle terre emerse del pianeta e aveva rappresentato il sol dell’avvenire per generazioni di abitanti del pianeta.
Il 23 giugno 2016, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, con un referendum popolare, dichiara la propria volontà di indipendenza dall’Unione Europea.
Le similitudini tra i due eventi sopra descritti sono molte, ma la maggior trasparenza della situazione sovietica e il diverso atteggiarsi del regime repressivo dei due sistemi fa sì che il risultato potrebbe non essere, almeno nell’immediato, la medesima liberazione dalle strette autoritarie sovranazionali.
A titolo di premessa, è bene chiarire che le continuità tra Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e Unione Europea sono molteplici ed evidenti. Già la consecuzione temporale pressoché priva di soluzioni di continuità risulta indicativa (26.12.1991 dissoluzione URSS; 7.12.1992 trattato di costituzione dell’Unione Europea a Maastricht). In realtà, come dimostrato dal fondamentale saggio di Vladimir Bukovsky, EURSS, edito in Italia nel 2007 ed. Spirali ma silenziato dal regime europeo, la creazione di una “Casa Comune” fu la merce che Gorbachev pretese e ottenne in cambio di una fine (relativamente) incruenta del blocco orientale. Ciò al fine di permettere il conseguimento degli ideali marxisti sfruttando la collaborazione dello stesso “nemico di classe”: fermi i tre grandi obiettivi del marxismo (dissoluzione del concetto di proprietà privata, di Patria e di famiglia: chiaro il titolo dell’opera di Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, 1884) e constatato che, a causa della “avidità” del cuore umano, l’inizio diretto dal primo obiettivo si era rivelato fallimentare (con il fallimento del modello economico socialista, già chiaro in URSS negli anni della stagnazione brezhneviana), il Sol dell’avvenire socialcomunista intuì che l’unica possibilità di realizzare la propria ragion d’essere era quella di aggirare inizialmente il problema principale e puntare sulla previa realizzazione degli altri due contestualmente all’apparente abiura del primo e, anzi, all’esaltazione del suo opposto (il libero mercato e la finanza). L’Atto Unico Europeo, che costituì l’embrione dell’Unione Europea di Maastricht, radicale tradimento del progetto europeo di De Gasperi, Adenauer e Schuman, fu non a caso elaborato dal comunista Altiero Spinelli e fu approvato pressoché contestualmente all’inizio di glasnost e perestrojka nell’Unione Sovietica di Gorbachev. Quanto al sistema istituzionale, “per chi abbia anche una lontana dimestichezza con il sistema sovietico, fa impressione la sua somiglianza con le strutture in via di sviluppo dell’Unione Europea, la sua filosofia di governo e il deficit democratico” (così Bukovsky).
Al netto di questa identità di presupposti, è la modalità di realizzazione degli obiettivi che rendono il sistema europeo molto più pernicioso di quello sovietico.
Infatti, mentre il sistema sovietico individuava chiaramente i propri obiettivi, non faceva mistero del proprio carattere autoritario e repressivo e si poneva apertamente in contrasto con i valori avversi, il sistema europeo nasconde il proprio reale obiettivo autoritario celandolo dietro target apparentemente opposti (il liberismo e il mercatismo), reprime tramite il subdolo sistema del politically correct anziché tramite l’utilizzo della forza fisica (manipolando così le menti piuttosto che i corpi), non contrappone valori a valori ma inculca il modello dell’assenza di valori (creando così debosciati facilmente manipolabili anziché fieri oppositori). Ciò fa sì che l’opposizione al regime, pur avendo formali spazi di manifestazione esteriore, sia sterilizzata alla radice, mentre nel sistema sovietico l’aperta repressione faceva sì che, pur essendo precluse manifestazioni esteriori, allignassero in profondità solide radici. Ciò fa sì che la rinuncia all’identità e alla proprietà privata non sia vissuta come una spoliazione contronatura come in URSS, ma come una spontanea rinuncia e abiura in nome, per un verso (la rinuncia all’identità), di un acritico egalitarismo iconoclasta e, per altro verso (la rinuncia alla proprietà), dell’affidamento a realtà (banche, mercati finanziari e simili) che vengono fatte percepire come latrici di interessi comuni anziché del tutto opposti com’è in realtà. Ciò fa sì che la negazione della democrazia popolare sia vissuta, non già come una tirannia staliniana, ma come la vittoria della scienza (tecnocrazia) sul possibile errore umano. Esempio emblematico, la sottrazione del sistema monetario al circuito di legittimazione democratico e, adesso, anche nazionale (come noto, tale sottrazione è avvenuta originariamente tramite un semplice scambio di lettere del 12 febbraio 1981 e del 6 marzo 1981 tra il Ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta, e il Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi: è lo stesso Andreatta, in un articolo comparso dieci anni più tardi sul Sole 24 Ore del 26 luglio 1991, Un divorzio per tutte le stagioni, ad ammettere, non senza un certo compiacimento, che il divorzio nasce come “congiura aperta” tra i due personaggi, nel presupposto, rilevato da Mario Draghi, Una scelta coraggiosa che guardava avanti, in Aa.Vv., L’autonomia della politica monetaria, 2011, che “a cose fatte sia poi troppo costoso tornare indietro“).
A questo si aggiunga che il panorama politico internazionale è molto diverso rispetto a quello che si agitava intorno all’Unione Sovietica. Mentre l’URSS aveva catalizzato l’opposizione di buona parte dei restanti Stati del Pianeta per varie ragioni di cui non è necessario dar conto in questa sede, per l’Unione Europea è vero il contrario e non è difficile comprenderne le ragioni, che hanno spinto ad esempio gli USA e – incredibilmente – la Cina a schierarsi apertamente contro Brexit. Infatti lo svuotamento delle ricchezze europee che l’Unione Europea ha volontariamente causato con la propria scelerata politica antiprotezionistica è stato la fonte principale della contrapposta espansione delle altre economie, che dallo scioglimento della UE non potrebbero che trovare maggiori resistenze alla colonizzazione. Non è un caso che gli USA, vista la brutta aria che tira in Europa dove alcuni iniziano ad accorgersi che il re è nudo, cerchino di accelerare la stretta mortale mettendosi al riparto con il TTIP; e non è un caso che la Cina, che grazie al liberismo dell’Unione Europea ha potuto acquistare mezza Europa, veda di cattivo occhio il risveglio di alcuni Stati.
Il referendum inglese ha dimostrato che anche in Europa è possibile dire: “il re è nudo”. A differenza di quanto è avvenuto in URSS, dove tutti lo sapevano anche prima che la Lituania lo certificasse e dove tutto il mondo lo affermava apertamente, in Europa ancora la maggior parte delle popolazioni continua a non credere a tale realtà, assuefatta com’è alla propaganda di regime e votata com’è all’autolesionismo, e il resto del mondo nega tale realtà più che mai, preoccupato di sfruttare dall’esterno le ricchezze del “re nudo” a proprio piacimento.
Non sarà, quindi, facile liberarsi del “re nudo” europeo come lo è stato dal “re nudo” sovietico.
Ma il primo, e finora incredibile, passo è stato ormai compiuto. Servirà anzitutto a dimostrare che il “fantasma della povertà” (così, giustamente e ante litteram, Tremonti, 1995), agitato in Europa – come in URSS nei confronti della Lituania – come un rischio collegato alla fine del regime, è in realtà un mostro creato dal regime stesso e destinato a scomparire con la dissoluzione di esso: il Regno Unito fuori dall’UE sopravvivrà benissimo e, anzi, riacquisirà la salute persa con la soggezione al regime europeo.
Un suddito ha fatto notare che il “re è nudo” e lo ha salutato. Chissà che anche gli altri inizino, davvero, a tornare alla realtà e a riprendere possesso della propria sovranità ponendo termine allo sciagurato sabba dell’Unione Sovietica Europea.
La maggior parte delle popolazioni vuole ancora L’UE ? Forse in Itaglia (l’ho scritta così apposta ). I paesi dell’Est e quelli Scandinavi non credo proprio ! L’ Olanda idem ( a meno di altri brogli stile Austria). Anche i tedeschi stessi non sono più favorevoli come lo erano una volta. Io spero sia cominciato un processo irreversibile di disgregazione di questa maledetta UE.
Speriamo, carissimo Giacomo, speriamo!
Comunque rispetto ai nordici ed in particolare agli Olandesi sempre meglio gl’ “Itagliani”.