a cura di Luca Fumagalli

“Arancia meccanica”, già recensito sul nostro sito, è un romanzo dell’inglese Anthony Burgess, noto grazie all’omonima pellicola cinematografica di Kubrick (che attinge a piene mani dal libro, pur apportando sostanziali modifiche). Il volume racconta la vicenda dolorosa di Alex e dei suoi amici che, in uno squallido scenario distopico, trascorrono le nottate tra furti e violenze di ogni genere, alla ricerca di un senso esistenziale che continuamente sfugge, allontanato dalla droga.

Nel brano proposto, P. R. Deltoid, consigliere post-correzionale, fa visita ad Alex che ha saltato nuovamente la scuola fingendo un lancinante mal di testa. Deltoid ha il compito di accompagnare il ragazzo nel processo di reintegro nella società dopo l’esperienza in riformatorio. Il dialogo tra i due – qui opportunamente semplificato e tagliato a scopo di sintesi – è uno dei passaggi più terribili e brillanti della narrativa contemporanea sul tema del peccato originale.

«Ma che avete, tutti quanti? Non facciamo che studiare il problema ed è quasi un secolo che lo studiamo, accidenti, ma i nostri studi non vanno molto avanti. Qui tu hai una bella casa, dei buoni genitori che ti vogliono bene, ed hai anche un cervello che funziona. Cos’hai che ti rode dentro, il diavolo?» […]
Quando lui se ne andò mi misi a ridere pensando a quello di cui si preoccupavano Deltoid e i suoi compagni. […] Ma, fratelli, questo mordersi le unghie dei piedi su qual è la causa della cattiveria mi fa solo venir voglia di gridare. Non si chiedono mica qual è la causa della bontà, e allora perché il contrario? Se i bigotti sono buoni è perché così gli piace, e io non interferirei mai con i loro gusti, e così dovrebbe essere per l’altra parte. E io patrocinavo l’altra parte. In più, la cattiveria viene dall’io, dal te o dal me e da quel che siamo, e quel che siamo è stato fatto da Dio ed è il suo grande orgoglio e consolazione. Ma i non-io non vogliono avere il male, e cioè quelli del governo e i giudici e le scuole non possono ammettere il male perché non possono ammettere l’io. E la nostra storia moderna, fratelli, non è la storia di piccoli io coraggiosi che combattono queste grandi macchine? Parlo sul serio, fratelli, quando dico questo. Ma quello che faccio lo faccio perché mi piace farlo.