Jose Javier Esparza
In collaborazione con Gabriele Oliviero, siamo orgogliosi di poter offrire al pubblico italiano un’intervista al dott. Jose Javier Esparza, giornalista televisivo e scrittore; autore di una trilogia sulla Reconquista e di una “Storia del Jihad” [RS]
Gent. dott. Esparza,
voglio ringraziarla sentitamente per aver accettato di rilasciare questa intervista a Storia di al-Andalus che è ancora una realtà giovane ma in rapida crescita nel panorama dei blog italiani che si occupano di storia.
L’obiettivo è quello di far conoscere meglio al pubblico italiano vicende e personaggi appartenenti ad un periodo storico da noi poco compreso e conosciuto come quello della Spagna sotto la dominazione musulmana.
La sua trilogia sulla “Reconquista” è un’opera monumentale, ricca di approfondimenti e nella quale si nota una grande passione per gli argomenti trattati oltre ad una ammirabile capacità scrittoria. Volevo farle i miei complimenti.
Come mai ha sentito il bisogno di dedicarsi ad un tema complesso e vasto come questo? Che cosa non la convinceva o riteneva mancasse, nelle opere già pubblicate sull’argomento?
Trenta o quaranta anni fa, tutti gli studenti spagnoli conoscevano più o meno che cosa è stata la Reconquista: era parte del programma di studio della storia nazionale. Al contrario, oggi quasi non viene insegnata o ancora peggio, quando lo si fa solitamente si deforma la storia mostrando un islam pacifico e avanzato di fronte ad una cristianità violenta a arretrata.
Era necessario sistemare un po’ le cose e raccontare semplicemente, la verità. Tra le altre ragioni perché, senza di questa, non si capisce perché esiste la Spagna. I secoli della Reconquista sono cruciali per capire l’affermazione storica della Spagna in lotta contro l’islam e anche il processo della progressiva unificazione dei regni cristiani peninsulari.
Dimenticarlo o ignorarlo sarebbe come aprire la porta alla dissoluzione della nostra comunità storica.
In Italia arrivano solo alcune notizie frammentarie sul dibattito che sta avvenendo tra gli studiosi spagnoli in merito al tema di al-Andalus e alla presunta e pacifica convivenza fra le tre culture, ma dalle sue conferenze e video (che i lettori possono trovare su youtube) si capisce che è personalmente molto scettico sulla questione. Può spiegarci il perché?
Non ci fu mai una “convivenza” fra le tre culture: questo è un mito moderno. Ci fu certamente “coesistenza” con differenti gradi di asprezza a seconda delle circostanze. Nel mondo musulmano, i cristiani (e gli ebrei) rimasero sempre sotto lo statuto di subalternità di “dhimmi” (protetti) che in pratica equivaleva a poter coltivare la propria fede a cambio di sospendere totalmente il proselitismo (era proibito), non costruire nessun nuovo edificio di culto né riparare quelli esistenti e, soprattutto, pagare una quantità straordinaria di imposte. Questo statuto si fece via via sempre più oppressivo, fino al punto che la fuga dei mozarabi (cristiani sotto il giogo andalusì) verso il nord fu costante durante tutto il medioevo. E nel mondo cristiano, i musulmani che rimasero nel territorio riconquistato non avevano una sorte migliore: generalmente erano contadini legati alla terra, quelli che chiamiamo “moriscos”, che a causa della loro impossibile integrazione furono definitivamente espulsi tra i secoli XVI e XVII.
Quando si parla di “tre culture” di solito si pone come esempio la denominata “scuola di traduttori” di Toledo, che tradusse al latino i testi classici arabi, molti dei quali erano copie siriache di testi classici greci e latini; però questa fu una iniziativa del potere cristiano una volta riconquistata Toledo e non un pacifico interscambio di conoscenze.
Le chiedo di analizzare l’islam di al-Andalus e di confrontarlo con quello odierno. Quali sono secondo lei le similitudini e le differenze tra la società musulmana di allora e quella di oggi? Che cosa è cambiato o non è cambiato?
Nei principi dottrinali l’islam di oggi è lo stesso di 1400 anni fa e questo è chiaramente il suo problema. Cambiano le strutture materiali e a volte, le forme politiche, pero rimangono vigenti le tre grandi contraddizioni strutturali dell’islam: 1) l’inesistenza di un clero autorizzato che possa far evolvere la dottrina e imporre questa evoluzione come una verità giusta e riconosciuta; 2) la piena confusione tra ordine politico e religioso, che rende così difficile per il fedele vivere sotto un regime legale lontano e estraneo alla legge islamica; 3) la giustificazione religiosa della violenza, che con tanta frequenza si ritorce contro gli stessi musulmani. E’ stupefacente leggere la storia di al-Andalus e constatare che molte cose che succedevano allora continuano a succedere ancora oggi; per esempio, le due invasioni successive che soffrì l’islam peninsulare, quella degli Almoravidi (1086) e degli Almohadi (1145), sono movimenti jihadisti che non cercano soltanto una guerra contro i cristiani ma, soprattutto, distruggere i regni andalusì che giudicavano troppo rilassati e poco ortodossi dal punto di vista islamico.
Oggi esistono, davvero, nel mondo musulmano strutture statali che possono servire da contenitore per neutralizzare questa terribile contraddizione strutturale, dal Marocco fino al Pakistan; anche l’Iraq, la Libia o la Siria lo erano prima che Washington decidesse di “democratizzarli”.
Leggendo i comunicati di alcuni gruppi terroristici di matrice islamica si evince che la memoria di al-Andalus, di un passato glorioso e di un paradiso perduto, non è ancora stata dimenticata o metabolizzata da larga parte del mondo musulmano. Crede si tratti solo di propaganda o c’è davvero in atto un tentativo di riprendersi quello che molti musulmani considerano ancora parte del dar al islam?
Nella mentalità salafita, che è come dire, integralista, il mondo si divide in Dar al-Islam, casa dell’islam e Dar al-Harb, casa della guerra, terre che devono essere islamizzate. Le terre che in passato furono Dar al-Islam devono continuare ad esserlo per sempre; al contrario incorrerebbero nell’apostasia. Questo è il caso della Spagna, paese che fu musulmano e smise di esserlo.
Non è solo un sogno folcloristico.
Qual è, secondo lei, la percezione che i cittadini spagnoli hanno del passato islamico del loro paese?
In generale, positiva, però non chiara, costituita in parti uguali dall’ignoranza e dalla pubblicità: saprebbero spiegare poco di quello che avvenne realmente qui. In regioni come l’Andalusia si è cercato di costruire un’identità locale sulla base della supposta eredità mora, però questa è una stupidaggine storica: questa eredità sparì con le grandi ritirate dei secoli XIII e XV e dopo con la citata espulsione dei moriscos. Un esempio: uno dei grandi assassini di massa della storia fu Almansur, una specie di dittatore che governò il califfato andalusì durante la seconda metà del secolo X utilizzando il jihad per il suo personale profitto e coprendo di sangue l’intero paese; però un comune (quello di Algesiras) gli ha dedicato una statua in omaggio alle sue spedizioni. Non hanno capito che Almansur avrebbe iniziato proprio decapitando i consiglieri della giunta di Algesiras!
Se il passato lo giudicano con un misto di ignoranza e frivolezza, il presente lo giudicano in modo molto più severo. Il jihadismo contemporaneo ha portato molti spagnoli a interessarsi a ciò che successe qui mille anni fa. Episodi come quello dei martiri cristiani di Cordova (IX secolo) per esempio, che erano quasi completamente dimenticati e adesso sono tornati di attualità.
Forse quello che manca ancora è capire la cosa veramente importante: che il punto decisivo non è rifiutare il nemico, ma sapere chi siamo noi stessi.
La ringrazio nuovamente per la sua amabile disponibilità e spero di poter avere ancora il piacere di pubblicare altre sue interviste. Mi auguro che le sue opere vengano al più presto tradotte anche in italiano perché gli appassionati di storia credo sentano l’esigenza di poter avere a disposizione opere complete e godibili come le sue.
“Nei principi dottrinali l’islam di oggi è lo stesso di 1400 anni fa e questo è chiaramente il suo problema.” Più che problema direi che è la loro ‘forza’; come diceva mesi fa un politologo ai tempi irriso:”in Italia basta che si facciano esplodere tre camicaze in tre chiese di provincia in paesi misconosciuti così la gente penserà che non colpiscono più solo le zone centrali e non andranno a messa e poi da lì inizieranno a convertirci”. Ed adesso vediamo che hanno sgozzato un prete in una chiesa di un piccolo paese….reagiamo ragazzi!
E questo era pur un prete islamizzato….aveva regalato un terreno della parrocchia donato da Santi parrocchiani per le necessità della parrocchia all’imam del luogo per costruire una moschea. I responsabili islamici francesi hanno chiesto come segnale di solidarietà agli islamici di andare domenica a messa; un buon cattolico vedendo una massa di apostati entrare in chiesa dovrebbe uscire immediatamente!
anche per quanto riguarda l’invasione islamica del nostro sud, penso proprio che in Italia non se ne conosca bene la storia, bisognerebbe sentire qualche studioso SERIO, per quanto mi riguarda ho frequentato la scuola negli anni 70 e vi potete immaginare le caz….politicamente corrette di cui ci hanno infarcito i cervelli…