arte neocatecumenale

arte neocatecumenale

 

Nota: l’opera meritoria di P. Zoffoli, di cui riportiamo alcuni estratti con adattamenti, adotta pur sempre una prospettiva “vaticansecondista”, appigliandosi alle parti ortodosse dei documenti conciliari per confutare gli errori del Cammino Neocatecumenale. Tale dimensione è per ovvie ragioni qui tralasciata, preferendo noi concentrarci sulle affermazioni eretiche diffuse nel Cammino tramite gli Orientamenti di K. Arguello e C. Hernandez (r.i.p.). [RS]

 

Link alla prima parte

 

XI – NELL’EUCARISTIA NON C’È NESSUNA OFFERTA

È DI FEDE CHE NELLA CHIESA IL SUPREMO ATTO DI CULTO È LA CELEBRAZIONE DEL SACRIFICIO EUCARISTICO; OSSIA QUELLO STESSO DELLA CROCE RESO PRESENTE SOTTO LE SPECIE DEL PANE E DEL VINO IN VIRTÙ DELLA DISTINTA CONSACRAZIONE DELL’UNO E DELL’ALTRO, INTERAMENTE MUTATI NELLA SOSTANZA DEL CORPO E DEL SANGUE DI CRISTO PER IL PRODIGIO ASSOLUTAMENTE UNICO DELLA “TRANSUSTANZIAZIONE”.

Kiko nega che la Messa sia un vero e proprio “sacrificio”, ritenendolo “il sacramento del passaggio di Gesù dalla morte alla risurrezione” (p.305). Esso “è memoria della pasqua” (ivi). “L’Eucaristia è una proclamazione, un kerygma della Risurrezione di Gesù dalla morte” (p. 308). È “sacrificio di lode, una lode completa di comunicazione con Dio, attraverso la Pasqua del Signore” (p. 322). Ecco perché biasima quanti vedono nella Messa “Qualcuno che si sacrifica, cioè il Cristo”, il suo Calvario (p. 322). In breve: “nell’Eucaristia non c’è nessuna offerta” (p. 328). La Messa sembrerebbe un residuo del culto prestato dai pagani ai loro dèi (pp. 59-60).

[…] Ma la Messa, se è il sacramento del Sacrificio (cf. S. TOMMASO, S. th., III, q. 73, a. 3, 3um; q. 79, a. 7, c.), per se stessa richiama l’immolazione di Cristo, ossia il suo passaggio dalla vita alla morte, non già la risurrezione, che è passaggio dalla morte alla vita…

Egli […] ride delle preoccupazioni della Chiesa come delle ricerche e controversie dei teologi: “Immaginate – esclama col piglio dottorale – che ora con i problemi della filosofia cominci ad esserci un’ossessione sul fatto se Cristo è presente nel pane e nel vino e come. Vi potrei mostrare discussioni teologiche su questo problema che fanno ridere (…). La Chiesa cattolica diventa ossessionata riguardo alla presenza reale, tanto che per essa è tutto presenza reale…”; “Se a S. Pietro fosse stato chiesto se Gesù Cristo sia presente nell’Eucaristia, si sarebbe meravigliato, perché per lui non si pone il problema…” (p. 329).

“Da Trento in poi – egli lamenta, a dispetto di tutta la storia del culto in parola – si celebrerà la Messa per consacrare ed avere presente Gesù Cristo e metterlo nel tabernacolo” (p. 329). […] «Abbiamo trasformato l’Eucaristia — incalza il nostro maestro — nel divino Prigioniero del tabernacolo…» (p. 330). Segue la blasfema tiritera: “Cominciano le grandi esposizioni del Santissimo (prima mai esistite)”. “Il pane e il vino non sono fatti per essere esposti, perché vanno a male [???]. Il pane e il vino sono fatti per essere mangiati e bevuti. Io sempre dico ai Sacramentini che hanno costruito un tabernacolo immenso: se Gesù Cristo avesse voluto l’Eucaristia per stare lì, si sarebbe fatto presente in una pietra che non va a male” (p. 329). Grossolana e imperdonabile l’incomprensione del dono infinito di una presenza, fonte d’ineffabile conforto per degli esuli infelici, anche se condizionata ad elementi corruttibili (pane e vino), che possono sempre rinnovarsi ad ogni celebrazione del Sacrificio Eucaristico… “In questa epoca comincia il Corpus Christi, le esposizioni solennissime del Santissimo, le processioni col Santissimo, le Messe sempre più private, le visite al Santissimo e tutte le devozioni eucaristiche…” (p. 330). “Come una cosa separata dalla celebrazione [è falso!] cominciano le famose devozioni eucaristiche: l’adorazione, le genuflessioni durante la Messa ad ogni momento, l’elevazione perché tutti adorino. Nel Medioevo all’elevazione si suonava la campana e quelli che erano in campagna adoravano il Santissimo…” (p. 331). Tutte pratiche che egli ricorda con malcelata commiserazione, come se centinaia di grandi Santi, che ne furono promotori zelantissimi, fossero stati degli sprovveduti… — “Nel secolo XVII con l’industrializzazione [sic] ormai non c’è più festa e la gente, che è molto religiosa, partecipa a modo suo con ore sante, Via crucis, ecc.” (p. 331). “Il rinnovamento del Concilio Vaticano che porterà la Chiesa ad una gloria indescrivibile e riempirà di stupore e ammirazione gli Orientali e i Protestanti. Tutti insieme ci siederemo sulla pietra angolare, sulla roccia dove non esistono divisioni. Il Concilio è ecumenico” (p. 333).

[…] Non si rivela meno sprovveduto e irriverente quando, del tutto a sproposito, parla anche del S. Cuore: “Attenti con certi concetti di Dio buono, che è tutto misericordia… Perché la vita è molto più seria. Venite con me, voi che avete certi concetti di Dio tipo Sacro Cuore, con la manina così e la faccia ritoccata, tutto zucchero e miele, tutto soavino e tenerino…” (p. 115. Cf. p. 139).

[…] L’Eucaristia non è “in alcun modo un rito individuale (…). Perché il sacramento non è solo il pane e il vino, ma anche l’assemblea: la Chiesa intera che proclama l’eucaristia. Non ci può essere una eucaristia senza l’assemblea che la proclama… Non c’è eucaristia senza assemblea. È un’assemblea intera quella che celebra la festa e l’eucaristia; perché l’Eucaristia è l’esultazione dell’assemblea umana in comunione… È da questa assemblea che sgorga l’eucaristia…” (p. 317).

 

XII – PER TUTTI, IL VERDETTO DI DIO È SOLO IL PERDONO E LA MISERICORDIA

SECONDO LA FEDE CATTOLICA, DOBBIAMO CREDERE CHE LE ANIME DI TUTTI COLORO CHE MUOIONO NELLA GRAZIA DI CRISTO, SIA CHE DEBBANO ANCORA ESSER PURIFICATE NEL PURGATORIO, SIA CHE DAL MOMENTO IN CUI LASCIANO IL PROPRIO CORPO, SIANO ACCOLTE DA GESÙ IN PARADISO; MENTRE LE ALTRE CHE IN PUNTO DI MORTE SI OSTINANO NEL RIFIUTO DI DIO, RESTANO PER SEMPRE PRIVE DELLA VITA ETERNA.

Secondo Kiko invece, “Il cristianesimo dice che tutti siamo già giudicati, e che il giudizio sopra tutti i peccati è stato fatto nella Croce di Gesù Cristo, che ci ha tutti perdonati”. Insomma, “il verdetto di Dio” per tutti è solo “il perdono e la misericordia…” (p. 66). Ora, se realmente Cristo ha fatto tutto e la misericordia di Dio perdona tutti, segue che: non c’è alcun bisogno di purificazione, né in questa né nell’altra vita, per cui il purgatorio non ha senso, essendo un supplemento di sofferenza umana che non fa onore (!) all’opera compiuta dalla morte di Cristo, che tutto ha in sé consumato, distrutto: peccato e reliquie del peccato…; se tutti siamo stati già giudicati in base ad una sentenza di assoluzione universale, non c’è nessuno che possa temere l’inferno per la ragione poc’anzi indicata … quanto al paradiso il discorso si complica, perché esso dovrebbe essere possibile senza alcun merito personale, una volta che: α) la volontà non è libera, non potendo fare alcun bene (pp. 130, 135); e β) che ciascuno resta assorbito e come perduto nel Cristo risorto: “Se io sono Cristo stesso e Cristo è risuscitato, io sono risuscitato…” (p. 66). “… In lui puoi essere ricreato veramente ricuperando l’immagine di Dio, divenendo Dio stesso, figlio di Dio, avere la natura di Dio…” (p. 143). E, allora, resta da chiedersi: come posso godermi una vita eterna che non è “mia”, perché non scelta da me, non meritata da me: il bene è “mio” solo a condizione che io l’abbia voluto… Penso che Kiko non abbia afferrato tutta la portata di espressioni del genere: esse sanno di panteismo, pancristismo, quietismo… (Cf. Pio XII, Mystici Corporis, nn. 85s). Infine, lascia penosamente perplessi il fatto che egli non parli mai — almeno esplicitamente — della vita soprannaturale, coltivata con l’esercizio delle virtù teologali, agevolata potentemente dai doni dello Spirito Santo e confortata dalla gioia dell’intimità con Dio vivente nella preghiera che raggiunge la contemplazione infusa… Sintomatico del resto il suo silenzio sul dogma della beatitudine eterna, consistente nella partecipazione alla vita trinitaria, che in definitiva spiega tutto.

 

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E ANCORA

I catechisti

[…] Alla radice dell’atteggiamento paternalistico e insindacabile della classe-catechisti c’e la convinzione fermissima che il «cammino neocatecumenale» rappresenta il metodo ideale, unico, di una rievangelizzazione del mondo, di una riforma veramente radicale della Chiesa: la vecchia Chiesa gerarchica, col suo “sacerdozio ministeriale”; quella di un Cristianesimo che per Kiko «era uno schifo» (p. 283). «Crediamo – egli spiega – che tutti siamo figli di Dio, che tutti siamo cristiani perché siamo stati battezzati e abbiamo fatto la prima Comunione, andiamo a Messa la domenica, non rubiamo e non ammazziamo, per cui tutto va bene. Grazie a Dio che per fortuna oggi le case cambiano: c’è gente marxista che non si confessa cristiana perché con questo Cristianesimo non si è ottenuto nulla di buono… Noi non eravamo cristiani, non conoscevamo niente di Cristianesimo, siamo precristiani…» (p. 283). È purtroppo vero che molti si dicono cristiani, e non lo sono affatto. Ma al loro Cristianesimo Kiko non deve contrapporre il “suo”, profondamente diverso da quello insegnato dalla Chiesa, onorato da migliaia di Santi canonizzati, vissuto da milioni e milioni di fedeli d’ogni categoria sociale, convintissimi di essere dei grandi peccatori e perciò animati dall’ansia di progredire nell’amore di Dio e del prossimo.

 

La confessione pubblica

[…] La Chiesa Cattolica non solo non impone a nessuno, ma neanche tollera che i fedeli si accusino pubblicamente dei propri peccati gravi e occulti: per custodire il più geloso dei segreti, ha sempre imposto ai confessori il “sigillo sacramentale”, il più inviolabile di tutti. Ma il Movimento, parallelo e superiore (!) alla Chiesa gerarchica, non se ne cura, impegnato a seguire indirizzi di più alta perfezione (!). Il fatto è risaputo e deplorato. Un parroco di Roma mi ha narrato di aver partecipato — quasi costretto — ad una “convivenza” di Arcinazzo a cui erano presenti centinaia di persone e decine di sacerdoti. Fu tratto a sorte un nome, appunto quello di una malcapitata ragazza, obbligata a rispondere alla presenza di tutti, dicendo il proprio nome, l’età, la condizione di fidanzata. Il catechista osò chiedere inoltre se avesse avuto rapporti completi col fidanzato. Ma a questo punto essa crollò, scoppiando a piangere. Il sacerdote, che mi ha riferito tutto, restò sbalordito e terribilmente irritato, giurando che mai nella sua parrocchia avrebbe permesso scenate del genere. Il catechista crea “un clima da inquisizione”. “Ti dicono che sei davanti alla Croce; devi parlare di te, di quello che eri, dei tuoi idoli, di come e se li hai domati. E tu cominci a parlare. È una pena assistere a queste scene. L’umiliazione di chi parla e dice le sue miserie. Ma non basta. L’interlocutore mette il dito sempre più a fondo, vuole sapere le cose più profonde…”. Si resta allibiti. Un alto funzionario della Polizia udì la confessione pubblica di un sacerdote, restando nauseato per le turpitudini di cui quell’infelice si era reso colpevole. Una moglie apprese dalla confessione di suo marito di essere stata tradita. Immaginabile l’amarezza della sua sorpresa… Di tali gravissimi inconvenienti ho potuto parlarne con alcuni neocatecumeni, che non se ne sono preoccupati affatto, giustificando la “confessione pubblica” come un lodevolissimo atto di umiltà, quasi che la pratica dell’umiltà non debba regolarsi secondo la prudenza che rende sensibili a valori molto più alti, a doveri assai più gravi ed urgenti… 

 

La segretezza degli Orientamenti?

[…] Così, dopo aver avvertito che il neocatecumeno deve vendere i suoi beni, si preoccupa di aggiungere: “Questo non ditelo alla gente, perché se ne andrebbero tutti di corsa” (p. 50). […] Dopo aver notato che le “confessioni di direzione spirituale” e i “piccoli consigli” sono destinati ad essere sostituiti dalla “Parola di Dio che risolve tutti i problemi di direzione e aiuta a riconoscersi peccatori” — pur “facendo ancora la confessione privata che è tuttora in uso” -, raccomanda: «Alla gente non dire nulla di tutte queste cose …” (p. 177). Contro “la confessione individuale privata” Kiko è irriducibile (p. 184). “Niente confessioni al confessionale o in un angolo, altrimenti si perde il segno” (p. 194). Egli quindi non ammette che il sacerdote, operante “nella persona di Cristo”, è “segno sensibile” del Cristo medesimo e, quindi, della Chiesa di cui è il Capo e che Egli rappresenta davanti al Padre… Se è giusto biasimare certe confessioni fatte per abitudine e con la superficialità che impedisce la «conversione» quale radicale cambiamento di rotta, fa malissimo Kiko quando vieta di avvisare i fedeli: “Non imbarcatevi per nulla in questo discorso parlando con la gente, perché creereste un mucchio di problemi…” (p. 185). Ora, chi possiede la verità, non teme i problemi, ma ama affrontarli e risolverli per il bene delle anime. «La gente non capirà nulla, ma non preoccupatevi assolutamente. Non cercate di convincerli dicendo loro le cose che abbiamo detto prima sulla penitenza…» (p. 191).