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(tratta dalla raccolta poetica “Antiverismo: liriche italiane”, Francesco Napoli editore, Caltagirone, 1899, recensito positivamente in “Civiltà cattolica”, anno L, serie XVII, volume V, 1899)

Tra l’aure fredde e infeste,
che la stagion precedono
ricca di nevi e di gel,

d’in su la glebe meste
cinta di spinei pampini
t’ergi, o purpurea rosa, o grato fior.

Sopra i diserti colli
spargi il profumo etereo
che t’accarezza il piè,

e il passegger le valli,
mirando solitarie
goda de le tue frondi e del tuo odor.

Tu pria che l’erbe il vento
inaridisse e il tenero
seme sfiorasse un dì,

sul sen materno lento
cullavi il crin, più rapido,
mentre l’inverno t’appresta il duol.

Rosa solinga e pura,
vivi al presente i debili
giorni del tuo campar,

chè la stagion ventura
te fra la polve vernea
trarrà, perendo al gelido squallor.

Ahi, sul cadente stelo
morrai, chinando il pallido
volto tra il freddo umor,

come chi l’uman velo
rimosso, ansante e trepido,
l’estremo spirto esala e poi sen muor.

(testo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso)