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Riproduciamo per i nostri lettori il Capo X del Libro I del volume del teologo e mistico tedesco M. J. Scheeben intitolato “LE MERAVIGLIE DELLA GRAZIA DIVINA”. Il testo è stato tradotto e pubblicato in Italia nel 1943 per i tipi della SEI. Sottolineature e grassettature nostre [RS]
1. Tu hai veduto, o cristiano, a quale alto grado la grazia elevi la tua natura. Per la grazia questa ascende fin nel seno di Dio per partecipare alla sua natura divina, vale a dire alle prerogative  che gli sono proprie, cioè alle cognizioni, alla bontà, alla santità di Dio per quanto delle creature possano essere capaci di parteciparvi.
Ma quando tu partecipi alla natura divina, assumi tu stesso una nuova natura e deponi quella  che avevi; tu sei formato e «trasformato», come dice l’Apostolo, «di chiarezza in chiarezza  nell’immagine del Signore» (2Cor 3, 18); tu sarai creato di nuovo perché tu possa ricevere in te una nuova esistenza della quale la tua natura primitiva non aveva nemmeno il germe.
Tale dottrina ce la insegna S. Cirillo Alessandrino (3) con queste parole: «Una volta che noi abbiamo abbandonato la vita sensuale e ci siamo sottomessi alla legge dello Spirito Santo, veniamo  ad essere trasformati in un’immagine celeste, in certo modo cambiati in altra natura e perciò  chiamati giustamente figli di Dio e uomini celesti, poiché siamo stati fatti partecipi della natura  divina».
2. Se qui parliamo di un cambiamento della nostra natura non intendiamo dire con questo che la nostra sostanza naturale passi in quella divina, ciò che è stato più di una volta l’empio errore di alcune eresie (4); noi parliamo solo di una trasformazione o trasfigurazione. Queste parole  esprimerebbero alla loro volta troppo poco se con esse si volesse intendere che per la grazia noi ci  trasformiamo solo nel senso – come si usa dire talvolta – di divenire altri uomini per la trasmutazione delle nostre idee o per l’accettazione di nuove abitudini.
La trasformazione operata dalla grazia viene in primo luogo immediatamente da Dio e non  dal volere e dalla forza della creatura. Naturalmente deve anche l’uomo fare la sua parte, ma tutto ciò che egli può fare si limita al fatto che egli, a guisa del giardiniere, ha una cura dei semi e delle piante che Dio ha creato ed a cui ha provveduto le forze vegetative. Il seme per quell’uomo nuovo di cui parla spesso l’Apostolo (Ef 4, 22; Col 3, 10), il Signore stesso l’ha collocato nell’anima nostra per mezzo della grazia. Questo rinnovamento è quindi un vero miracolo della onnipotenza divina, rinnovamento che, secondo la dottrina dei Santi Padri, ci strappa dai confini della natura e ci eleva così in alto che noi non solo diveniamo altri uomini, ma più che uomini, poiché compariamo  come essenze di specie divina e di razza deificata.
3. Certamente noi riteniamo la nostra naturale sostanza e restiamo nella ereditaria debolezza della nostra natura. Perciò i Santi Padri usano spesso quel paragone – già da noi accennato più volte  – del fuoco che infuoca e penetra il ferro con l’intensità del suo ardore. Il ferro arroventato non  cessa di esser ferro e da ciò ne consegue che, ritirando il fuoco, esso appare di nuovo come era prima. Ma nello stato rovente il ferro non ha più la sua naturale durezza, non malleabilità, freddezza e colore nerastro; esso prende invece lo splendore, il calore e la forza del fuoco e riceve in conseguenza una qualità che non è ad esso naturale, ma al fuoco. E quando diciamo che il fuoco consuma il ferro non alludiamo ad un annientamento del ferro medesimo, ma intendiamo dire che il fuoco distrugge i difetti e le imperfezioni del ferro.
Della stessa guisa, spiega S. Cirillo, è la trasformazione che si compie in noi per mezzo della grazia. Essa non consiste, secondo lui, nel cambiamento della sostanza della nostra natura per opera della grazia, ma consiste invece nell’allontanare da noi le bassezze e le imperfezioni della natura stessa «È evidente», dice egli, «che Cristo ha preso la forma di servo, non per guadagnare qualcosa per sé, ma per farne dono a noi e, per la nostra rassomiglianza con Lui, innalzarci con Lui a quella bontà che ad Esso è naturale e tutta propria; è perché noi in tal modo, divenissimo, per la fede, dèi e figli di Dio (2).
La nostra natura non viene per questo menomamente cambiata o mutata in un’altra, e non veniamo a perdere ciò che abbiamo, poiché, se da un lato le nostra imperfezioni vengono purificate, dall’altro conseguiamo ciò che ancora non abbiamo, come con bella espressione ci dice l’Apostolo: «Io non voglio essere spogliato, ma aver altro vestito sopra, affinché ciò che è mortale sia assorbito da quel che è vita» (2Cor 5, 4).
4. Questa veste della grazia, l’anima non l’indossa esternamente come la veste del corpo(2); essa riveste l’anima come il metallo liquefatto ammollisce la cera della forma in cui vien fatto cadere e l’assimila a sé, anzi essa la penetra ancora più, come fa l’ardore del fuoco rispetto al ferro. Questa veste della grazia comunica all’anima, non solo nuove forze, ma anche una qualità nuova, più solida  ed elevata per la quale essa viene mutata nell’immagine di Dio, e questa qualità è appunto ciò che chiamiamo la natura nuova e più elevata dell’anima.
5. La natura di una cosa non è che la radice ed il compendio delle qualità contenute in se  stessa e per le quali si distingue dalle altre cose, ed in mezzo a tutti gli altri esseri possiede le sue speciali prerogative, le sue proprie forze e attività. Così diciamo che le piante hanno una natura diversa dai minerali, che quella dell’animale differisce da quella della pianta, e che l’uomo, a sua volta, è di tutt’altra natura dell’animale, poiché egli si distingue da quello per l’intelligenza e  spiritualità della sua anima.
Ora per la grazia l’anima riceve una qualità nuova, celestiale, divina, la quale è così diversa da quelle che le sono naturali, e di un ordine così superiore ed elevato, come la natura dell’uomo lo è riguardo a quella dell’animale. Se l’uomo è per se stesso un servo di Dio, per la grazia egli diviene un figlio di Dio; se per se stesso è solo al di sopra della natura degli animali, egli si eleva ora al di sopra della propria natura, anzi più in alto ancora dell’angelo; se prima aveva solo il lume dell’intelletto, riceve ora il lume di Dio, per ora nella fede, un giorno nella gloria; se per se stesso è una buona creatura, per la grazia diverrà una creatura santa. Egli ascende un nuovo gradino nella scala degli esseri creati, guadagna una posizione nuova rispetto a Dio, ai suoi simili e alle cose
sensibili, ed entra finalmente in un tenore di vita nuovo e più celeste che terreno.
6. La nuova condizione della sua natura è dunque in lui anche germe e radice di una vita superiore. Anche un piccolo albero dell’infima specie per l’innesto di un ramoscello di natura più nobile porta esso stesso fiori e frutti come il ramo innestato; così l’anima nostra per la partecipazione della grazia – che dalla Sacra Scrittura (1Gv 3, 9) viene chiamata il seme di Dio – viene ad essere sovrumanamente nobilitata e ripiena della forza di Dio, ed assume una natura divina. Secondo l’espressione del grande Apostolo dei gentili ed anche dello stesso Divin Salvatore, sei stato – come olivo per natura selvatico – innestato nell’olivo buono (Rm 11, 24); sei come un tralcio della vite divina (Gv 15, 1) che è lo stesso Figlio di Dio umanato; e ciò perché tu possa aver parte alla sua vita divina.
7. Ma se così è, se noi, per la grazia riceviamo una natura nuova e tutta celestiale, ci sarà facile comprendere quali doveri noi assumeremo insieme ad essa.
Quanto ci costa, qual massa di sacrifici dobbiamo imporci per mantenere per pochi anni questa miserabile esistenza che abbiamo ricevuta dai nostri genitori! Quale severa disciplina imponiamo ai fanciulli a noi affidati per piegare un poco la loro natura, selvaggia e caparbia, e per togliere da loro più di una tendenza sinistra! Ma quantunque tutto questo insieme ci sia gravoso e difficile, lo troviamo giusto e diciamo a noi stessi che vi siamo obbligati per rispetto alla dignità umana.
Se al contrario vediamo un uomo che calpesta l’onore della natura per rozzezza e mancanza di educazione e più ancora uno che stimi così poco la nobiltà dell’umana natura da comportarsi come fosse un animale e abbandonarsi ad appetiti ed a piaceri animaleschi, mentre per l’ubriachezza o per sensualità si riduce in uno stato che lo rende più simile a un animale che ad un uomo, noi inorridiamo e gridiamo allo scandalo per tali eccessi contro natura.
Quanto più dovremmo inorridire di fronte al peccato mortale, mentre questo viene ad oscurare la natura celestiale dell’anima nostra, non solo per breve tempo – come l’ubriachezza l’uso della ragione – ma la spegne addirittura e la cancella in eterno!
Niuna rinunzia di noi stessi, niuna fatica dovrebbe sembrarci troppo gravosa quando trattasi di perfezionare questa nuova natura creata secondo quella di Dio e di rendere il nostro contegno degno dell’eterno soggiorno nella casa dell’Altissimo!
8. Ciò richiede certamente non piccolo sforzo. Anche l’uomo naturale ha in sé due nature affatto opposte tra loro, una carnale e l’altra spirituale; in lui si trovano pure due uomini, l’uno esteriore e l’altro interiore, come dice l’Apostolo (Rm 7, 15), l’uno immortale, l’altro mortale. E non potendo noi servire le due nature allo stesso tempo, così noi dobbiamo mettere quella carnale a servizio di quella spirituale. Con questo, anche il compito che abbiamo dal punto di vista naturale, è difficile e complicato. Non dobbiamo perciò meravigliarci o menar lamento se il conseguire il nostro destino cristiano ci costa fatica.
Come per la legge di natura la carne serve allo spirito, così per la legge della vita soprannaturale il nostro spirito deve servire a Dio secondo gl’impulsi della grazia, poiché, come lo spirito ha sotto di sé la carne, così esso ha sopra di sé la grazia. Ma anche l’uomo naturale deve servire a Dio. Egli adempie il suo compito quando fa ciò che gli dettano la sua ragione e la propria coscienza. Ma l’uomo elevato allo stato di grazia soprannaturale deve porre talmente il suo spirito, il suo cuore e la sua attività in servizio di Dio, come solo si conviene ad un figlio di Dio, illuminato e mosso internamente dallo Spirito Santo, ed al quale è stato innestato il nobile ramoscello della natura divina.
9. Cristo ha perciò lasciato a noi la scelta fra i due estremi che sono separati tra loro da un abisso incommensurabile. Se incliniamo verso la carne, ci sentiremo trasportati dalle sue bassezze e  diverremo noi stessi carnali; se ci diamo invece alla grazia e ci lasciamo penetrare e muovere da essa, questa ci porterà fino a Dio e farà noi stessi divini. «Chi ama la terra», dice S. Agostino (2), «è  terra, chi ama Dio – che devo dirti fratello? non io, ma la parola di Dio deve parlarti: – chi ama Dio, diverrà Dio, perché sta scritto «Chi ama Dio, diverrà come un Dio, perché ci vien detto, voi siete dèi e figli dell’Altissimo» (3).
10. Non ci lagniamo però dei pericoli di questa nostra situazione e non sospiriamo per la ripugnanza che troviamo in noi stessi.
È penoso il constatare come nello stesso momento in cui la grazia sensibile ci ha staccati dalla terra, sentiamo in noi, come S. Paolo, il pungolo del male e tutta la debolezza della nostra  miseria. Ma per noi è bene che sia così. Con quale facilità potremmo essere vinti dall’orgoglio o dalla pigrizia se noi, sicuri della grazia, non avessimo più niente a temere dalla fragilità della nostra  natura! Poiché quale giubilo non deve circondare il nostro cuore se riflettiamo quale razza celeste è mai la nostra!
Se ciò non è che pura verità, è vero altresì che la natura elevata che noi possediamo non appartiene al nostro esser – non essendo noi della casata della stirpe divina – ma ci è stata donata  dalla grazia venutaci da Dio. Lucifero dimenticò questa verità quando riguardò con compiacenza lo splendore della sua celeste bellezza, e la dimenticò pure Eva nel paradiso, quando si lasciò ingannare da esso.
È appunto perché anche noi la dimentichiamo, che Dio, insieme alla grazia santificante, non ci ha voluto ridonare allo stesso tempo quei doni per i quali i nostri progenitori nel Paradiso  potevano vivere nella loro carne in modo così felice e pacifico come se non avessero avuto una natura carnale. Noi sentiamo troppo bene che siamo fatti del fango della terra e così non avremo l’ardire d’invanirci di alcuna cosa. Perché noi per la grazia siamo elevati come l’Apostolo al terzo cielo, così anche a noi è stato dato quel pungolo della carne che ci deve mantenere più onesti, pieni di rossore e di confusione e deve bene stabilirci nella santa umiltà.
Ma questa confusione non deve però toglierci l’alta stima della nostra celeste dignità. Più siamo internamente compresi della nostra debolezza, più dobbiamo riconoscere che il buono che agisce in noi non viene da noi, ma bensì da una forza superiore, dalla grazia di Dio. E poiché questa ci ricerca sempre di nuovo, nonostante le nostre lotte e le nostre infedeltà, deve essere questo per parte nostra il potente impulso a sperare che essa non ci abbandonerà, ma che anzi, non facendo conto di tutti gli ostacoli che noi vi mettiamo, riuscirà in fine vittoriosa. Anche noi possiamo dunque dire con lo stesso Apostolo: «Io mi glorio nelle mie infermità, poiché quando io sono debole sono potente» (2Cor 12, 9-10).