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Riproduciamo per i nostri lettori il Capo XI del Libro I del volume del teologo e mistico tedesco M. J. Scheeben intitolato “LE MERAVIGLIE DELLA GRAZIA DIVINA”. Il testo è stato tradotto e pubblicato in Italia nel 1943 per i tipi della SEI. Sottolineature e grassettature nostre [RS]

1. La nuova natura che abbiamo ricevuta con la grazia ha sopra tutte le altre nature create, l’eccellente prerogativa che per partecipazione alla natura divina e infinita, è essa stessa sotto un certo aspetto, infinita. Tutte le creature hanno una cerchia di perfezione determinata e ben definita nei suoi confini, al di là dei quali non possono inoltrarsi senza cambiare la loro stessa natura. Quando l’oro è purificato da tutte le sue scorie, benché oro purissimo, non potrà però divenire più oro di quel che è. Ogni specie di piante non può raggiungere che quella data altezza e sviluppo, e al disopra di quei dati limiti non è capace di sollevarsi. Le varie specie di animali crescono in proporzione ed in forza fino al grado stabilito, e quando l’hanno raggiunto terminano il corso della vita e declinano inevitabilmente verso il loro finale dissolvimento. Anche le creature ragionevoli non possono perfezionarsi all’infinito; il loro progresso dura tanto quanto lo svolgersi delle loro forze naturali, e poiché queste sono limitate perciò anche il loro sviluppo non può avere che una misura determinata ed un fine circoscritto. Per quanto grande possa essere la facoltà dello spirito umano di aiutare il proprio sviluppo con assimilare cognizioni e conquistando nuove abilità, vien però l’ora in cui difficoltà maggiori si addensano attorno a esso e presto cade in preda alla stanchezza. Sopravviene allora la ripugnanza per ciò che prima era gradevole, e finalmente cessa la facoltà d’intraprendere nuove cose. L’uomo tira avanti ancora un altro poco la sua vecchiaia, poi il suo corpo si raggrinza, l’intelletto rimbambisce e poi si estingue come un lume che si spegne da sé per mancanza d’alimento. La grazia non conosce tale limitazione; essa sola non è circoscritta da confine alcuno. Essendo un raggio della natura divina che viene a rischiarare l’anima nostra, così essa non ha la sua misura ed il suo fine che nell’infinità di Dio; essa può crescere in ogni giorno e ad ogni ora e divenire incessantemente più ricca, più grande, più elevata. Essa non varca mai i confini prescritti perché non ne ha alcuno; essa resta sempre la grazia, sempre la partecipazione alla natura divina; anzi appunto per questa, essa diverrà sempre di più ciò che deve essere.

2. Lo vediamo accadere ogni giorno, per l’esempio che ci danno uomini veramente pii. Il corpo potrà divenire debole e stanco, ma l’anima restar sempre giovane: lo spirito può essere incapace per ogni applicazione più importante, ma il cuore che si è abituato al rinnegamento e alla preghiera è appunto allora che compie i suoi più grandi progressi, poiché esso può esercitarsi nella pazienza e mostrare a Dio il suo amore con la totale rassegnazione di sé alla volontà divina. Perciò lo Spirito Santo ci dice: «Chi è giusto si giustifichi ancora, chi è santo diventi ancora più santo» (Ap 22, 11). Cosa mai potrebbe mettere limiti all’amore soprannaturale, ci dice S. Tommaso (3), avendo esso origine nell’eterna, infinita potenza di Dio e non essendo in se stesso altro che una partecipazione all’infinita santità di Dio! Lo stesso vale per la grazia poiché anch’essa cresce nelle stesse circostanze di questa.

3. Senza dubbio il vaso della nostra natura, che deve accogliere la grazia, è in se stesso stretto e limitato. Ma la grazia medesima che dovrà contenere renderà più ampia la sua capacità. Ogni misura di grazia che viene accolta in esso lo rende atto a riceverne una maggiore. Ogni grado di grazia forma un gradino per ascendere ad un altro più elevato, cosicché, più alto uno può salire, e più avrà fatto cammino. Un grado di grazia è per se stesso infinitamente prezioso, più prezioso di tutte le cose naturali in cielo e in terra; un tesoro per il quale noi, con l’apostolo Paolo, dobbiamo tenere a vile tutto il resto per guadagnare solo Cristo e la sua grazia. Ma il tesoro è ancora mille volte più prezioso per il fatto che esso costituisce già un capitale che con poca fatica possiamo aumentare all’infinito, se però sappiamo bene amministrarlo. Ogni azione soprannaturale, ogni mortificazione, ogni esercizio di pietà da noi compiuto in stato di grazia, ogni istante in cui facciamo uso della grazia ricevuta e ne ricaviamo frutto, meritiamo da Dio un aumento della grazia stessa. Sta perciò a noi il raddoppiarla in breve tempo. Più grande dunque è questo aumento di grazia, più grande sarà il merito delle nostre opere, più facile, più copioso diverrà un nuovo aumento, e così le nostre rendite moltiplicheranno a vista d’occhio.

4. Il mondo pone tutta la sua intelligenza e tutte le sue aspirazioni nell’ammassare denaro, e spesso facciamo meraviglie al vedere come uomini poverissimi divengono in breve tempo ricchi come regnanti. Se dunque i figli del mondo sono a loro modo così accorti nell’acquisto di beni fugaci che non rendono felici chi li possiede, e nel moltiplicare fogli di banca che la più piccola scintilla può ridurre in cenere; e come non dovrebbero vergognarsi i figli di Dio di essere, non solo meno accorti, ma in loro confronto, stolti addirittura? Con tutta facilità e ben poca fatica potrebbero acquistare veri tesori celesti ed eterni, polizze di debiti da soddisfare che nessun banchiere, nessun re della terra, ma l’Onnipotente Dio con la pienezza delle sue immense ricchezze e della sua eterna bellezza e beatitudine può saldare! La grazia apre avanti a noi un campo smisurato per le nostre aspirazioni e per i nostri sforzi affinché lasciamo che essa ci guidi. Essa ci concede a sua volta e con sollecitudine quei vantaggi e quei tesori che noi non abbiamo che a desiderare per ottenerli, e solo dobbiamo amare il loro padrone, por riceverli da Lui a profusione. È proprio per il fervente desiderio della grazia e della gloria celeste e per l’intenso amore verso il Padre datore di ogni bene, che questi tesori ci vengono elargiti in proporzione maggiore, a misura del nostro desiderio e della purezza del nostro amore. E perché dunque non ne mostriamo una santa fame, una continua sollecitudine? Noi dovremmo misurare i nostri guadagni ed i nostri vantaggi, non da quelli acquistati, ma dai tesori che ancora abbiamo da conquistare. Perciò, come ci dice S. Paolo (Fil 3, 13), pur non dimenticando ciò che già abbiamo acquistato, volgiamoci alla conquista di ciò che ancora ci manca. L’Apostolo (Fil 3, 12) percorse con passo rapido la via della perfezione. Tu però, non solo non ti affretti, ma ti arresti nella corsa e rallenti i tuoi sforzi come se ti bastasse la minima parte dei beni eccelsi ed eterni. L’Apostolo non si riguardava già come perfetto, nonostante che per le tante sue opere e grandi fatiche, per le sue innumerevoli sofferenze e strepitosi miracoli, desse la migliore garanzia di esser giunto ad una straordinaria perfezione. Egli si studiava, al contrario, di compiere opere sempre più perfette. Ciò che a te manca è incalcolabile, ciò che ora possiedi è ben poca cosa. Ma il tuo benignissimo Iddio non cesserà dall’aumentare il tuo piccolo peculio se non quando tu stesso sarai stanco di progredire e di unire al suo il tuo amore pieno di gratitudine. Perché farai questo torto a Dio, a te stesso ed alla grazia divina? Ricordati della moglie di Lot (1), che volle voltarsi indietro invece di fissare innanzi il suo sguardo e venne perciò cambiata in una statua di sale. Questo esempio sia a te stesso un vero sale che sparga nel tuo cuore la saggezza, che infiammi il tuo spirito e gl’infonda un santo fervore. L’avaro non si diletta tanto in ciò che ha, quanto si cruccia e si agita anche per la minima cosa che ancora non possiede; di quello è contento o lo dimentica, questo però egli lo perseguita senza posa con penosa e instancabile energia. «È strano», dice S. Isidoro (2), «come tutte le passioni hanno il periodo di fioritura e poi quello della morte; ma il terribile amore al denaro non conosce fine, sdegna ogni sazietà, non si permette alcun sollievo; esso vive sempre, o per dir meglio, vive giorno per giorno, vive con sempre maggiore intensità e si sforza d’ingigantire e di crescere ognora in violenza». Oh, se noi almeno con questa stessa ansia andassimo dietro ai celesti tesori della grazia, quanti ne otterremmo anche quaggiù! Come scusare la nostra pigrizia? Che forse dopo tanti sforzi resteremmo anche noi vuoti ed infelici come gli avari? Questi per la loro avidità irrequieta non possono essere mai felici perché mai possono godere di ciò che hanno ammassato, e di più li cruccia il pensiero che dovranno lasciare tutto per sempre. Al contrario il santo desiderio della grazia ci porta all’eterno riposo in Dio, di quel Dio che più ci riempirà di se stesso quanto più grande sarà stata la nostra fame e sete di Lui. La grazia non c’impedisce di rallegrarci per via sui guadagni già fatti. I nostri desideri devono anzi per questo crescere senza fine poiché con ogni passo che noi facciamo innanzi veniamo a conoscere e gustare sempre più quanto sia dolce e benigno il Signore per coloro che lo servono con fedeltà.