Riproduciamo per i nostri lettori il Capo XII del Libro I del volume del teologo e mistico tedesco M. J. Scheeben intitolato “LE MERAVIGLIE DELLA GRAZIA DIVINA”. Il testo è stato tradotto e pubblicato in Italia nel 1943 per i tipi della SEI. Sottolineature e grassettature nostre [RS]
1. Le meraviglie della grazia che fin qui abbiamo descritto, sono così grandi e divine da sembrarci forse che all’infuori di Dio non potesse darsi niente di più sublime in cielo ed in terra. E difatti essendo esse in certo modo infinite, eccetto che per una particolare rivelazione di Dio, non potremmo immaginarci niente di più sublime. Dio ci ha però rivelato due misteri che sono ancora più grandi e magnifici della grazia: il mistero della Incarnazione del Verbo e quello della maternità di Maria (2). Più noi meditiamo questi due ineffabili misteri e più penetreremo come la grazia, benché sia né più grande, né anzi da mettersi nemmeno a livello con essi, pure, appunto per mezzo di questi, viene ad essere collocata nella sua piena luce e ne riceve uno splendore ed una sublimità tutta particolare. Per l’Incarnazione la natura umana di Cristo si unì nella stessa Persona col Verbo Divino, di modo che da quell’unione risultò un Dio vero uomo ed un uomo vero Dio. La natura umana di Cristo non si cambiò in quella divina, ma perdette la sua indipendenza, e per la seconda Persona della SS. Trinità venne piantata ed incorporata in modo così meraviglioso nella divinità, che a questa assolutamente appartiene, e ne riceve una vera e propria dignità divina. Per la grazia noi non diveniamo già Dio; noi conserviamo la nostra natura e la nostra personalità e veniamo solo divinizzati nel senso che diveniamo simili alla natura divina per la partecipazione della sua divinità. L’elevazione dell’umana natura di Cristo alla dignità di vero Dio è quindi infinitamente più eccelsa della nostra unione con Dio per mezzo della grazia.
2. Ma se ci facciamo a considerare la cosa più da vicino, vedremo che questa elevazione della natura umana di Cristo non è un onore che viene reso ad una persona creata, poiché tale non si trova in Cristo. È piuttosto un infinito abbassamento di Dio che scende dalla sua eccelsa altezza per fare di se stesso una natura creata. Non diciamo perciò che un uomo è divenuto Dio, ma che un Dio è divenuto uomo. Per la grazia, al contrario, una persona creata – l’uomo – senza divenire Dio, diviene almeno partecipe della natura divina, ed è appunto per questo che la grazia non ci cagiona minore meraviglia dell’Incarnazione. «Cosa reca più stupore», dice S. Pietro Crisologo, «che Dio si sia dato alla terra o che Egli vi doni il cielo; che Egli stesso abbia associato a sé la nostra carne o che:Egli associ noi alla sua divinità; ch’egli sia nato nella nostra condizione di servi, o che Egli vi generi come figli liberi; che Egli adotti (per sé) la nostra povertà o che Egli vi elegga a suoi eredi o coeredi col suo Unigenito? Sì davvero, è cosa meravigliosa che la terra sia cambiata in cielo, che l’uomo sia trasformato dalla divinità al punto che lo stato di schiavitù riceve il diritto di dominio (1). Ed in altro punto dice ancora lo stesso Santo: «L’abbassamento della divinità verso di noi è così grande che la creatura non sa di cosa debba più meravigliarsi: che Dio si sia abbassato al nostro stato di servi, o che Egli, con un tratto della sua infinita potenza, abbia sollevato noi alla dignità della sua medesima divinità» (2).
3. L’innalzamento dell’uomo per mezzo della grazia forma il contrappeso con l’abbassamento di Dio per l’Incarnazione; quanto Dio discende, tanto Egli fa ascendere l’uomo. Tra Dio e l’uomo ha luogo uno scambio meraviglioso; mentre Egli assume la nostra natura umana per far parte a noi della sua grazia divina. Perciò la S. Chiesa nel Sacrifizio della Messa mette sulle labbra del sacerdote questa preghiera: «Signore Iddio, fai che siamo fatti partecipi alla divinità di Colui che si è degnato di partecipare alla nostra umanità». Passeremo sopra alla quistione se il Figlio di Dio si sarebbe incarnato se l’uomo non avesse peccato. È certo però – e tale è l’opinione generale dei Santi Padri – che l’Incarnazione e la vita di Gesù Cristo con tutte le sue circostanze, in breve tutto il piano della Redenzione come si svolse realmente, fu disposto dalla divina sapienza e giustizia in vista della situazione del mondo creata dal peccato. E il fine principale che ebbe Dio nell’Incarnazione del suo Divin Figlio fu appunto quello di porre con l’abbassamento di Dio e con l’innalzamento dell’uomo un equilibrio, tale e quale come se sopra un lato di una bilancia poniamo tanto di peso quanto è necessario per fare sollevar l’altro ad eguale altezza.
4. E dobbiamo pur dire, come insegnano i Santi Padri, che fu appunto per la grazia, vale a dire per ridonare a noi la grazia perduta e per sollevarci a Dio per mezzo di essa, che il Figlio di Dio si fece uomo. «Dio si è fatto uomo, affinché l’uomo divenisse Dio» (1), ci dice S. Agostino. «Il Figlio di Dio è divenuto figlio dell’uomo perché i figli degli uomini divenissero i figli di Dio. Così insegnano, con S. Agostino, molti altri Santi Padri (2) i quali infine non fanno che ripetere la parola sublime dell’Apostolo: «Dio mandò suo Figlio nato di donna affinché noi ricevessimo la grazia di adozione a figli suoi» (3Gal 4, 4-5). S. Fulgenzio spiega magistralmente il senso di questo passo: «Dio è voluto nascere dall’uomo affinché l’uomo nascesse da Dio. La prima nascita di Cristo, il Figlio di Dio, è pure da Dio; la seconda dall’uomo; viceversa la nostra prima è dall’uomo, la seconda da Dio. E perché Dio per nascere dal seno di una donna prese veramente carne, così Egli, nella nostra nuova nascita, ci ha donato nel Battesimo lo spirito di adozione a figli di Dio. Cristo è ciò che non era secondo la sua natura per la prima nascita, ma per sua grazia lo è voluto divenire con la sua seconda nascita affinché a noi, per la grazia della seconda nascita, ci fosse dato divenire ciò che non eravamo per la natura della nostra prima nascita. Dio ha portato a noi la grazia col prendere carne dall’uomo; noi riceviamo la grazia come un dono che ci viene dal Dio fatto carne, ed in tal modo siamo fatti partecipi alla natura divina.
5. Com’è vero dunque che Dio nacque dall’uomo, prendendo Cristo la nostra natura, così è vero che è stata a noi partecipata la natura divina; solo con la differenza che il Figlio di Dio prese non solo le qualità della nostra natura umana, ma ne prese l’essenza; noi al contrario non possiamo partecipare alla natura divina che per una qualità ad essa conforme. Se la condiscendenza e l’abbassamento del Verbo nella sua incarnazione è infinitamente grande, grande come la distanza infinita che passa tra Dio e la creatura, è evidente che deve mettersi allo stesso livello l’innalzamento dell’uomo sino a Dio.
6. Ma noi possiamo contemplare l’umanità di Cristo, non solo nella sua congiunzione personale col Figlio di Dio, ma anche nelle doti e prerogative con le quali fu adornata per la sua divina dignità. E qui ci si mostra di nuovo la inconcepibile grandezza della grazia. Dio volle dare all’anima, naturalmente, la massima perfezione che le competeva: malgrado però tutta la sua infinita sapienza e potenza, Egli non poteva darle doti e qualità diverse da quelle che la nostra anima riceve per la grazia (1). Egli poteva e doveva adornare l’anima di Cristo di grazie più copiose e perfette di quelle che accorda ad una semplice creatura. Difatti Dio versò nell’anima del suo Unigenito la massima pienezza di grazia (2), ma non poté conferirgli alcuna grazia che nella sua essenza differisse dalla nostra grazia, poiché tale cosa non esiste (3). Dio non può ideare, né dare qualcosa di più elevato di quel dono per il quale Egli divinizza la sua creatura, vale a dire la trasfigura con la sua santità, che è il più sublime ornamento della natura divina.
7. Tra l’anima di Cristo e la nostra passa indubbiamente una differenza che consta di quattro parti. La prima è quella che l’anima del Figlio naturale di Dio meritò la grazia con pieno diritto e non la ricevette per puro e libero dono. La seconda è che essa ricevette la grazia di prima mano, e la terza, che essa la ricevette nella sua massima pienezza. Poiché all’Unigenito Figlio di Dio compete, secondo ogni diritto, la grazia, prima ancora che tutti i figli adottivi, nella misura massima e nella massima purità, senza riguardo al fatto che la grazia, secondo i decreti di Dio, dovesse essere guadagnata originariamente per noi e che noi avremmo dovuto per i primi attingere alla sua pienezza. Finalmente l’anima di Cristo ha anche il privilegio che essa non può in alcun modo perdere la grazia.
8. In tutti questi punti la nostra anima trovasi molto al disotto di quella di Cristo, poiché essa ha ricevuto la grazia solo come dono gratuito, solo per Cristo; essa le viene donata in misura limitata e può facilmente perderla per il peccato. Queste però sono tutte quistioni di ordine secondario. La cosa principale si è che la grazia che noi riceviamo non è, a riguardo della sua essenza, altra grazia di quella che venne compartita all’anima di Cristo, e questo non può che eccitare in noi uno stupore ed una gratitudine senza confini. Non può in alcun modo negarsi che l’Incarnazione, in tutte le sue varie fasi, non sia un mistero infinitamente più elevato e più grande che non lo sia la grazia. Ma poiché tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e la grazia passa una somiglianza ed una parentela sommamente intima, la grazia non viene per niente ad esserne oscurata, anzi risalta in una luce purissima ed in tutto il suo inconcepibile valore. 9. Ma ciò non basta. È appunto l’Incarnazione quella che conferisce alla grazia una dignità tutta nuova e inconcepibile e che le dà nuovo e sfolgorante splendore. La divina dignità che ha ricevuto l’umanità di Cristo per l’unione personale col Verbo Eterno si riflette su tutti i membri della razza umana. Come l’umanità presa nel seno della Vergine divenne il vero corpo del Verbo, così anche l’intero genere umano, rinato a nuova vita, è divenuto il corpo mistico dell’umanato Figlio di Dio (2). L’umanità è invero un insieme vivente, ed è su questa verità che poggia il mistero del peccato originale, come quello della Redenzione. Chi è fatto partecipe dell’umana natura appartiene all’intiera umanità ed assume doveri a suo riguardo, ed ambedue esercitano l’una su l’altra un’influenza scambievole. Più in alto uno trovasi collocato nella scala dell’umanità e più assume importanza tale verità, ma ciò naturalmente vale sopra tutto per il capo stipite, per il padre comune del genere umano, Adamo. Ora l’umanità non ha solo un padre comune nell’ordine naturale, dal quale deriva tutta la sua rovina, ma ne ha anche un altro nell’ordine soprannaturale, il quale è la causa della sua salvezza. Come tutti muoiono in Adamo così in Cristo tutti saranno vivificati (1Cor 15, 22). Cristo è veramente, al pari di Adamo ed anche più, il capo dell’umanità, e noi siamo sue membra in modo così reale come è reale la nostra discendenza da Adamo (1).
10. Essendo noi una cosa sola con Cristo, abbiamo noi pure una dignità soprannaturale, ed otteniamo così un diritto a tutte le grazie da Lui meritate. Per Lui la grazia diventa proprietà del genere umano, ed esso la possiede come una cosa che, per il suo capo divino, gli è dovuta (Col 1, 17; 2, 10). Cristo è quella vita celeste che tutta è pervasa dalla pienezza della vita divina; e noi siamo i tralci in cui questa vita deve riversarsi (Gv 15, 5). Per conseguenza la grazia che noi riceviamo non è altro che la grazia di Cristo stesso (Gv 1, 6). Questo fu appunto, secondo i santi Padri, uno dei fini principali dell’Incarnazione, che cioè l’umanità, il cui capo era guasto e tutto il corpo aveva infetto, ricevesse un nuovo Capo che potesse riversare la propria santità sull’intero genere umano (5). «O cristiano», esclama qui S. Leone, «riconosci la tua nobiltà»; riconosci che tu sorpassi gli angeli stessi in dignità! Poiché questi sono in un solo modo congiunti con Dio, mentre essi sono fatti partecipi della natura divina; ma tu lo sei in doppia guisa poiché Dio ha assunto anche la tua natura. Se a quegli spiriti beati fosse possibile l’invidia, essi c’invidierebbero perché Dio «non ha voluto prendere la natura dell’angelo o dell’arcangelo, ma ha preso il seme di Adamo (Eb 2, 16) affinché noi – ciò che a loro non è stato accordato – potessimo riguardar Dio come uno dei nostri e ci fosse dato chiamarlo fratello». Sono veramente stolti, osserva il venerabile monaco Giobbe, coloro che vorrebbero essere angeli invece che uomini. Poiché sebbene gli angeli non siano sottoposti né ai dolori né alla morte, essi non hanno però Dio loro fratello; e se noi siamo oppressi da tante pene ci possiamo consolare pensando al grande onore che ci ha fatto Dio prendendo Egli stesso questa natura tanto tribolata, e vedendo come Egli ha voluto dividere con noi tutte le nostre pene. Ma se tu, o cristiano, sai apprezzare un tale onore, ti stia dunque immensamente a cuore il non disonorare questa dignità tutta divina con una condotta indegna. Sii invece sollecito di onorare coi tuoi portamenti quel Signore che ti ha sollevato sino alla sua dignità, e così mostrerai che tu non appartieni ad alcun altro se non a Colui che entrando nella nostra natura ha sollevato noi alla sua. «Consideriamo il nostro Capo», ci grida il Crisostomo (1), «e riflettiamo di quale adorabile Capo noi siamo membra. Conviene, senza dubbio, che noi sorpassiamo in virtù gli Angeli ed Arcangeli poiché Dio ha messo tutto ai piedi dell’umanità che Egli ha assunto». «Ed è mai possibile», conclude il Santo, «che il corpo di un tale capo sia gettato al demonio per essere da esso danneggiato o calpestato, senza che noi restiamo inorriditi dall’enormità di un tale delitto?».
11. È per mezzo del santo Battesimo che noi veniamo incorporati nel mistico Corpo di Cristo. Come segnale e pegno di tale unione riceviamo il carattere sacramentale, cioè la somiglianza con Cristo. Il carattere che ci è impresso nel santo Battesimo non è altro che il carattere di Cristo stesso (2). E perché noi portiamo legittimamente il nome di cristiano o possiamo essere membri del suo corpo, Egli ci dà una tale impronta, cosicché noi possiamo divenire a Lui somiglianti. Noi conserviamo tale impronta anche quando ci stacchiamo da Lui. Quel carattere impresso nell’anima nostra è indelebile (3). Questo carattere ci dà un diritto alla grazia. Chi è simile a Cristo deve anche possedere la sua grazia. Questo avviene naturalmente solo finché ci conduciamo come lo esige la nostra dignità, vale a dire finché stimiamo ed onoriamo la somiglianza con Cristo stesso. Se è già un delitto il demeritare la grazia, essendo essa un bene così grande, qual male gravissimo sarà il peccato che strappa un membro del corpo di Cristo, gli rapisce la sua vita celeste e lo getta in preda alle fiere selvagge! E se è già irriflessione degna di castigo il 1asciarsi sottrarre la grazia, quanto più meriterà castigo il farne getto con tanta leggerezza, e con vile tradimento consegnarla al nemico di Dio! Poiché ben sappiamo che per il carattere impresso nell’anima nostra, Cristo stesso ne è il padrone e la fortezza, e nessun potere del cielo della terra può strapparci la grazia! Udite come S. Gregorio Nazianzeno c’insegna a far fronte agli assalti del demonio: «Quando egli ti assale con l’avarizia ed in un istante fa passare dinanzi al tuo sguardo tutte le ricchezze della terra come sue proprie, e te le offre come ricompensa all’adorazione che egli esige da te, disprezzale come offerta di un povero mendicante, e, con la sicurezza che ispira sacro sigillo impresso nell’anima tua, rispondi così: Anch’io son un’immagine di Dio come lo eri tu, ma non sono caduto come te dalle altezze dei cieli per la superbia. Io mi sono rivestito di Cristo, perciò sta più a te l’adorare me che io te! Con queste parole stai certo che lo vincerai, ed egli dovrà, pieno di vergogna, ritirarsi nei suoi antri tenebrosi».
12. Rifletti finalmente, o cristiano, che quantunque la dignità che tu possiedi come membro del corpo di Cristo sia così eccelsa e sublime, essa non ti è però di alcun vantaggio senza la grazia. È appunto per la grazia che essa diviene per te veramente preziosa. Senza di questa non potrebbe recarti che danno e rovina. L’essere uno dei membri del corpo di Cristo in forza del sigillo impresso nell’anima tua dal Battesimo ti giova solo in quanto tu prendi parte al suo spirito e alla sua vita (2). L’essere membro di Cristo è certo un altissimo onore, ma ben più grande è il disonore di divenire un membro morto di questo stesso corpo. Un tal membro verrà addirittura reciso dal resto del corpo. Ma anche in tal caso quel membro non perde il segno indelebile della sua pertinenza a Cristo, segno che gli è stato impresso nel Battesimo; ma ciò non riuscirà per esso segno di benedizione, ma di maledizione e di eterna condanna. Il carattere impresso a noi dal Battesimo ci fa dunque membri di Cristo e la grazia ci fa suoi membri viventi, come il soffio di Dio infuse l’anima nel corpo esanime di Adamo. Il carattere ci fornisce la figura, la grazia la vita di Cristo. La grazia fa sì che il cristiano, non solo prenda parte, nel tempo, ai dolori e alla morte di Cristo, ma che anche nell’altra vita egli sia glorificato con Lui, ed a Lui unito per tutta l’eternità, attinga da Cristo la vita beata del cielo. Dimmi, o cristiano: cosa non faresti, cosa non saresti pronto a soffrire, di cosa non ti priveresti per impedire che Cristo, l’Uomo-Dio, il re, il padre, il fratello, il capo, la corona, la delizia del genere umano fosse tolto al mondo? Ebbene, tutto questo è perduto per noi, quando perdiamo la grazia. Il nostro unico timore sia dunque quello di essere separati da Cristo, e la nostra unica brama sia di essere uniti a Cristo per la grazia. In questo dobbiamo imitare i Santi, i quali aderirono a Cristo con un amore così ardente, e tanto si studiarono d’imitarlo in tutto da mostrare chiaramente come senza di Lui non avrebbero potuto vivere. «Anche noi», dice S. Gregorio Nisseno, «dobbiamo ben considerare che tutte queste ombre che passano, questi giuochi, questi sogni, messi a confronto con Cristo e la sua grazia, sono un puro nulla!».
Straordinarie queste “Meraviglie della Grazia Divina.Meditiamo..
Grazie!