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Riproduciamo per i nostri lettori il Capo VI del Libro I del volume del teologo e mistico tedesco M. J. Scheeben intitolato “LE MERAVIGLIE DELLA GRAZIA DIVINA”. Il testo è stato tradotto e pubblicato in Italia nel 1943 per i tipi della SEI. Sottolineature e grassettature nostre [RS]

1. La partecipazione alla natura divina è un mistero così sublime che ci crediamo in dovere di chiarire più da vicino il modo e la maniera in cui esso si compie.
Una certa partecipazione alle divine perfezioni la troviamo in tutte le cose che Dio ha creato.
Tutte sono più o meno somiglianti a Dio, nel loro essere, nella loro vita, nella loro forza e attività.
In tutte Egli manifesta la sua magnificenza, tanto che noi, secondo la dottrina dell’Apostolo, possiamo scorgere attraverso le cose create la invisibile splendidezza di Dio.
Ma questa rassomiglianza si presenta in maniere assai diverse (1).
Nelle cose materiali non scorgiamo che una lieve impronta di Dio, appena una impronta del suo piede come lascia il piede dell’uomo quando è passato sopra un terreno morbido. L’impronta  tradisce l’uomo quando egli è stato in qualche luogo: essa non è che un’immagine del suo piede, ma non la sua intera figura, e meno ancora la sua natura. Ma essendo Dio puro spirito, le cose sensibili  si presentano allora come l’opera delle sue mani e manifestano la sua sapienza ed onnipotenza, ma  non espongono in alcun modo la sua natura.
La nostra anima, all’incontro, e tutti i puri spiriti, sono già per loro natura una certa immagine della natura divina; ed anche l’anima – come Dio – è spirituale, ragionevole, ed ha una  volontà libera (2). Ma al tempo stesso la sua natura è finita e però del tutto diversa da quella divina.
Essa è somigliante a Dio come un uomo rassomiglia ad un’immagine che un artista ha dipinto su di una tela. Questa immagine ci espone, è vero, la statura, le fattezze, le caratteristiche della persona  che vuole rappresentare, ma essa è assai al disotto dell’immagine che riproduce uno specchio, poiché in esso la persona si presenta nelle sue proporzioni naturali e nella propria naturale bellezza.
Allo stesso modo la creatura ragionevole rassomiglia più perfettamente a Dio quando essa è  divenuta un terso specchio della divinità, tanto che questa rimanda i raggi della sua bellezza  sull’anima che la riflette: o quando essa, penetrata e rischiarata dall’ardore della luce divina, viene come a trasformarsi in Dio, come sarebbe una palla di cristallo che, raccogliendo in sé i raggi del  sole, sembra essa stessa un sole.
2. La partecipazione alla natura divina per mezzo della grazia consiste dunque in questo, che la nostra natura riceve, non precisamente l’essenza di Dio – che ciò è impossibile – ma tutte quelle  proprietà che scaturiscono dalla natura divina e che possono parteciparsi alle creature; per esempio, quelle disposizioni che tra gli uomini si chiamano virtù e il cui compendio forma la santità (1).
Con questo l’anima viene a rassomigliarsi tanto alla divinità, che possiamo a ragione dire coi  Santi Padri che è divenuta «diviniforme» ed ha raggiunto quella divinizzazione che San Dionisio (2)  chiama la massima possibile rassomiglianza e unione con Dio, e S. Basilio (3) la più sublime che uno possa mai bramare e desiderare.
Non si tratta però affatto di un dissolvimento dell’anima nostra nell’essenza di Dio, come hanno preteso alcuni eretici (4), o anche di una congiunzione personale della nostra natura con  quella divina, come si trova in Cristo, ma unicamente di una trasfigurazione dell’anima nostra secondo l’immagine della natura divina. Non dobbiamo nemmeno essere dei nuovi dèi indipendenti, non sottomessi a Dio ed alla sua legge, come talvolta ha osato insegnare una falsa filosofia ed una pietà erronea. Ma benché semplicemente per partecipazione, noi diveniamo tuttavia in piena verità  – per la forza e la grazia di Dio – qualcosa come Dio in se stesso e secondo la sua natura; noi
diveniamo le sue immagini soprannaturali, e la nostra anima, per la partecipazione alla sua santità, riceve uno splendore di meravigliosa bellezza che in Lui è propria.
3. Se vogliamo conoscere più esattamente questa rassomiglianza con Dio dobbiamo esaminare per ordine la serie delle singole prerogative che distinguono la divinità dalle nature create.
Per il momento mettiamo innanzi al nostro sguardo l’eterna vita ed esistenza di Dio.
4. Dio solo esiste di per sé stesso, eternamente ed immutabile; Egli non dipende da alcuno.
Le creature, al contrario, sono di per se stesse un niente; esistono solo perché Dio le lascia esistere e perché Lui stesso le ha create dal niente. Per tale ragione, anche dopo che Dio le ha create, sono un  nulla a confronto di Dio. «Io sono Colui che è», dice il Signore. «Tutte le genti dinanzi a Lui sono  come se non fossero: una cosa che non conta affatto, un niente di niente» (Is 40, 17). Poiché tutte le creature, anche gli spiriti immortali, per la loro natura ricadrebbero nel nulla se la benignità di Dio non conservasse loro di continuo l’esistenza (Sap 11, 26; Eb 1, 3).
Ora la grazia, secondo l’insegnamento dell’Apostolo, è una nuova creazione (Ef 2, 10), nuova in duplice guisa. In primo luogo perché essa ci trasporta in un ordine assai più elevato,  secondariamente perché essa ci unisce più intimamente con Dio di quello che fa la semplice volontà creatrice di Lui. Mediante questa intima unione noi veniamo ad essere accolti nella famiglia di Dio,  privilegiati allo stesso modo del Figlio – coeterno con Lui – per virtù del quale il Padre ha creato tutte le cose, e siamo chiamati alla vita eterna di cui parteciperemo insieme a Lui ed allo stesso
Padre. Perciò l’Apostolo ci dice che noi per la grazia abbiamo ricevuto un regno che non può crollare (Eb 12, 28; Sap 5, 16-17).
5. Dunque fino a tanto che noi stessi ci separiamo da Dio non abbiamo niente a temere per la nostra vita spirituale, né per questo mondo, né per l’altro. Potranno toglierci la vita del corpo, ma
nessuna potenza può toglierci quella dell’anima che ci è stata concessa dalla grazia; nessuna potenza, eccetto il peccato, ma anche questo quando solo con piena conoscenza e libera volontà ci
abbandoniamo ad esso. Si potrà maledire la nostra memoria anche dopo la nostra morte, ed in un certo senso condannarci fin da questa terra alla morte eterna; niuno però ha il potere di annientare la  nostra vita nell’eternità, e nemmeno l’eterno onore che ci è riservato in cielo. Se Siamo uniti a Dio per la grazia la nostra esistenza eterna è così sicura come quella di Dio stesso. Se perseveriamo a
starcene con Dio non abbiamo da temere né rovina, né morte, anche se perisse il cielo e la terra, se le stelle cadessero dal firmamento e la terra fosse scossa fin dalle sue fondamenta.
Nel libro della Sapienza ci viene detto che: «I giusti vivranno in eterno e la loro ricompensa è nelle mani del Signore. Perciò riceveranno il regno della magnificenza e il diadema della bellezza
dalla mano del Signore. Perché con la destra li proteggerà, e col braccio suo santo li difenderà».
6. Se noi dunque vogliamo esistere veramente, di una esistenza eterna, e se vogliamo essere qualcosa di grande, perché non andiamo alla sorgente di ogni esistenza? Perché ci accomodiamo al nostro nulla e corriamo dietro a cose non meno futili e passeggere, Perché vogliamo farci grandi  sotto vane apparenze? Perché vogliamo immortalarci nella bocca di uomini che passano e non in noi stessi e molto più nel seno di Dio?
Il peccatore brama, come il primo uomo e come lo stesso demonio «di essere come Dio».
Ora egli vuole essere tale da sé stesso, senza Dio, anzi in opposizione a Dio, sorgente di vita, sostegno della sua esistenza. Perciò tutti i suoi sforzi disordinati e insani lo conducono alla separazione dalla vita, alla morte eterna.
Dio ci vuole simili a Lui, Egli non vuole che facciamo di noi stessi tanti falsi dèi per adorarci e ricevere adorazione da altri. Dio ci vuole simili a Lui, ma solo nel suo seno paterno,  accosto al suo cuore, in unione con Lui che è l’Essere immutabile, che è la vera vita. Egli vuole che per Lui ed in unione con Lui noi siamo come il suo Figlio Unigenito, il quale non è un altro Dio, ma un unico e medesimo Dio col Padre. Come è dunque grande la stoltezza e la colpa del peccatore che invece di voler starsene con Dio, come suo figliuolino, rigetta da sé questo amore infinito di Dio, e come suo nemico vuol rendersi indipendente da Lui!