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di Cristiano Lugli

 

Risulta complicato e finanche imbarazzante alle volte dover parlare di se stessi, o di ciò che avviene dalle proprie parti, poiché il rischio che si corre è legato all’incapacità di trasmettere agli altri le medesime sensazioni provate davanti a qualcosa che si conosce visceralmente. È un po’ come quando si racconta ad altre persone una forte esperienza provata sulla propria pelle, o come quando magari si tenta di descrivere a terzi una persona che essi non conoscono.

Tuttavia, nonostante i lettori non riusciranno mai a provare lo sdegno riversatosi sul sottoscritto davanti al boom mediatico che ha fatto da cornice ad una rimpatriata tutta reggiana delle Brigate Rosse, capiranno certamente che anche dalle “piccole” cose si può dedurre lo sfascio in cui versa la nostra Italia: priva di ogni contatto sensato con la realtà, e addirittura reduce da un pensiero politico che non è mai radicalmente mutato, ma produttore –  in particolar modo nel triangolo rosso in cui rientra ovviamente la città di Reggio Emilia – di tutto ciò che è conseguito ai quei maledetti anni di piombo.
Qualcuno suole dire che le Br siano acqua passata, che tutto ciò che è passato dopo Curcio, Fiore e Battaglia sia finzione e non abbia nulla a che vedere con i fondamentalismi di quei dissidenti politici. Forse questo qualcuno lo dice pure con ragione, ma dimentica che l’idea delle Brigate Rosse è ancora viva, e non solo: si ritrova negli stessi ristoranti in cui venne partorita, per cantare insieme, appassionatamente, l’ “Internazionale” a pugno chiuso.

Veniamo dunque al dunque, parlando di quanto accaduto venerdì scorso nel Ristorante “Da Gianni”, in una piccola frazione del Comune di Casina, provincia di Reggio-Emilia.
Lì, 50 anni fa,  si formava il primo covo di brigatisti, molti dei quali originari di Casina o comunque zone limitrofe ma pur sempre facenti parte del territorio reggiano, e sempre lì si sono ritrovati dopo tanti anni, per una rimpatriata fra ex-terroristi – alcuni dei quali avrebbero dovuto scontare ad occhio e croce quattro ergastoli.
Nessuno probabilmente avrebbe saputo nulla, se non fosse che la notizia è arrivata – probabilmente in modo voluto – a tutte le testate locali, suscitando forte interesse ed anche, per fortuna, un certo grado di indignazione fra i cittadini.

Molti dei presenti alla rimpatriata brigatista hanno nel frattempo scontato anni di carcere, ma pochi o forse nessuno ha mai rinnegato le proprie idee, men che meno le proprie azioni e gli omicidi commessi. Primo fra tutti Raffaele Fiore, ritenuto responsabile dell’assassinio dell’avvocato Fulvio Croce in veste di “autista” e partecipante all’omicidio di Carlo Casalengo, il primo fra i giornalisti ad essere assassinato negli anni di piombo.
Fra i celebri volti noti alla cena “fra amici” spiccano quelli di Lauro Azzolini, appartenente al c.d. “gruppo reggiano” e facente parte del piano esecutivo per il sequestro e la conseguente uccisione di Aldo Moro; condannato all’ergastolo in seguito all’arresto avvenuto nell’inverno del 1978, ha poi goduto dei benefici previsti dalla legge e sta “scontando” le sue colpe con lavori socialmente utili presso una cooperativa.
E ancora Roberto Ognibene, membro storico e fondatore delle Br, figlio politico di Prospero Gallinari ( deceduto nel gennaio 2013 ) arrestato nel 1974 in seguito ad una trappola tesa dalle forze dell’ordine al terrorista: prima della resa e della cattura vi fu un enorme scontro a fuoco dove lo stesso Ognibene rimase ferito, a sua volta ferendo mortalmente Felice Maritano, maresciallo del nucleo speciale occupatosi del controllo di una base brigatista a Robbiano, frequentata da Ognibene.

Non mancava nemmeno Loris Tonino Paroli, reggiano doc come i compagni Azzolini e Ognibene, oggi pittore e cantastorie. il soggetto in questione ha scontato 16 anni di carcere, vantandosi di non aver mai sparato a nessuno. Allo stesso tempo prese parte allo storico gruppo di “quelli dell’appartamento“, cloaca brigatista animata da Gallinari e Franceschini.
Altri nomi come Nadia Mantovani, ex compagna di Renato Curcio e attuale partner di Roberto Ognibene dal quale ha avuto una figlia; Giuseppe Battaglia, facente parte del “Gruppo XXII Ottobre” capeggiato da Mario Rossi, costituitosi a Genova fra la fine degli anni ’60 e gli inizi del ’70, con impostazione ultra marxista sfociante poi nel terrorismo più radicale; Antonio Savino, Pietro Bortolazzi, Bianca Amelia Sivieri, l’avv. Vainer Burani, celebre difensore dei brigatisti nonché amico di Gallinari e di tutta la compagine estremista di quegli anni. E tanti, tanti altri giovani vicini ideologicamente al totale estremismo di sinistra, stimatori dei moti che hanno dato vita alle Brigate – questa forse la cosa più preoccupante -, alcuni dei quali inseriti nella cooperativa bolognese “Verso casa” di cui si occupa la stesa Nadia Mantovani, con lo scopo di reinserire nella società i detenuti: vista l’efficienza della giustizia italiana possiamo tranquillamente sostenere che siano più gli anni di “reinserimento” con stato di semi-libertà, che quelli purgati in carcere.

Insomma, una cinquantina di persone a ridere, mangiare e bere alla faccia del sangue innocente che hanno versato in tutta Italia. Nel medesimo posto in cui nacquero, per rievocare gli anni e i momenti in cui, dopo l’abbondante pasto in trattoria e dopo aver deciso lo stemma della stella a cinque punte ( si dice che sia stato delineato e poi confermato fra le mura della trattoria “Da Gianni” ) , si dirigevano verso i campi e i prati-base in cui si esercitavano a sparare.

Un quotidiano locale, sfacciatamente e senza pudore, ha così commentato descrivendo la serata-rimpatrio BR:
“Appuntamento alle 19:00, come per un moderno aperitivo. Poi la cena, a base di sapori forti e decisi, gli stessi che prediligevano allora. Tortelli, lasagne, cannelloni e cappelletti. Poi cinghiale con polenta e cotechino, più torte casalinghe. Il tutto innaffiato, appunto, dal Lambrusco. Rosso che più rosso non si può.”
Dopo aver descritto le prelibatezze culinarie, i ricchi premi e i cotillon, una sana vena di sarcasmo non gusta mai, tanto per rammentare il colore che faceva da cornice a quel fanatismo politico. In compenso è stata intervistata anche la titolare del ristorante, la medesima che cucinava 50 anni fa le stesse leccornie, e che ha visto crescere sotto il suo tetto le Brigate Rosse:
Ma anni dopo che impressione si prova nel ritrovarsi davanti quei volti?” – domanda la giornalista.
A me va bene: quando hanno pagato… Io li conosco, sono gente come noi. Certo, hanno avuto un brutto passato: sa, quando ci sono dei morti…” – Risponde la ristoratrice.
Poche parole si possono esprimere sui commenti totalmente privi di percezione dell’oggetto trattato, ma in questo caso si può scusare la cuoca nonché gestrice ultra ottuagenaria. Ciò che non si comprende è il clamore mediatico suscitato da questa notizia, proprio per tornare a quanto detto inizialmente. 
La notizia è stata ripresa da tutti i giornali e persino dalla principale Tv locale, TeleReggio, facendola passare come una normale notizia di cronaca. Senza elogi né critiche, senz’infamia né gloria: fatti di normale ed ordinaria amministrazione. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere, cari amici.
Badate bene che in queste zone e nello stesso ristorante vengono portate le scolaresche reggiane per vedere dove sono nate le Br, per fare memoria di quegli anni… e non pensiate che sia senz’ombra di dubbio una memoria votata a riflettere sulla malvagità di quei tempi e di quei movimenti. Vainer Burani, amico e legale come poc’anzi detto di tanti ex-terroristi, insegna tranquillamente in una scuola superiore, da circa vent’anni. Fate vobis.
Per chiudere ritorno all’origine di questo sfogo, ovvero all’imbarazzo nel parlare dei fatti che appartengono ai luoghi da noi conosciuti meglio, pretendendo di far sì che anche gli altri li comprendano allo stesso modo. Sono cresciuto in questi posti, scorrazzando fra i prati dell’Appennino reggiano insozzati dalla cultura di Resistenza partigiana, inculcata fin dalle scuole medie e poi alimentata in modo spregevole alle superiori. Ho camminato fin dalla più tenera età nei luoghi in cui questi terroristi si preparavano a saziare i propri malcontenti da figli di papà, anarchici di ieri per diventare comunisti del domani. Non senza imbarazzo e disgusto ho incrociato più volte lo sguardo di Lauro Azzolini per le vie del mio paese. Grazie a Dio i miei genitori hanno sempre retto la controparte educandomi ed insegnandomi a non credere a tutte quelle fandonie. Non è stato facile, perché il modo di vivere e di pensare qui è tutto unilaterale, impregnato di carnivoro comunismo.
Eppure, nonostante tutte queste premesse, non c’è limite al peggio: in una civiltà di normodotati una simile notizia avrebbe creato uno sciame di reazioni perlomeno urtante, da ogni angolo della città. Tutto invece tace dai piani alti, resta solo l’indignazione di qualche povero cittadino allibito, come il sottoscritto, che vede depauperato sempre più il grado d’intelligenza minima richiesto per vivere nella collettività. Più che “crisi del buon senso” – come la definiva il saggio De Corte – siamo dinanzi alla totale “eclissi del buon senso”.
Lo scopo di questo scritto aveva solo carattere informativo, giacché sarebbe stato troppo complesso e fuori tema entrare nei dettagli che hanno caratterizzato il panorama geo-politico degli anni ’70-’80. Ognuno in questa sede penso non necessiti di avvisaglie o descrizioni sulla visione animalesca e proletaria alimentata dalle BR; un perverso ed ostentato tentativo di demolire sempre più il concetto gerarchico, sotto l’ideale radicalmente comunista suggerito come controparte antitetica da riversare contro il capitalismo: due facce della medesima medaglia, raffigurante il mondo detritico in cui sono state unite tutte le forze apparentemente contrastanti per l’unico e letale fine: la demolizione dell’Europa Cristiana e l’estinzione lenta ed obnubilata del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo.