children for sale bambini venduti

 

di Massimo Micaletti

 

E’ del 30 settembre 2016, distinta dal n. 19599, la sentenza che, a sentire i media, avrebbe permesso ad un bambino di avere “due mamme”. Cercherò di parlarne affrontando i profili tecnici della questione, sperando di non annoiare, profili che in questo caso non possono non implicare anche valutazioni di natura morale.

La vicenda è la seguente: due donne in Spagna chiedono che venga praticata la fivet ad una con l’ovulo dell’altra ed un donatore esterno. In soldoni: il bambino è figlio biologicamente di colei che ha dato l’ovulo e di un padre ignoto che mai conoscerà, ma è stato portato in grembo dalla compagna di quella che ha messo il gamete. Peraltro, nel frattempo le due si sono pure lasciate. In Spagna la legge consente simili obbrobri ed anche la normativa anagrafica si adegua: è così possibile essere figli di “Madre A” e “Madre B”. Una delle due è cittadina italiana, quindi il bambino avrebbe (anche) la cittadinanza italiana e dovrebbe perciò essere iscritto anche all’anagrafe del Comune di riferimento, che è Torino: ma l’ordinamento italiano non conosce un atto di nascita con due madri.

La questione è stata affrontata dalla Cassazione portando una soluzione che solo apparentemente è tecnica.

La Corte enuncia in primis il principio (consolidato) per cui in Italia deve valere l’accertamento della filiazione formato dall’anagrafe straniera, ossia, nel caso di specie, se esiste un certificato anagrafico e/o atto di nascita valido per il diritto spagnolo, esso deve valere anche da noi quindi al momento della iscrizione nei registri italiani non si può stare a sindacare sulle condizioni in base alle quali le norme iberiche attestano la maternità.

La Corte è consapevole che al recepimento degli atti amministrativi stranieri osta un generale limite che è quello dell’ordine pubblico: ad esempio, se ci fosse la possibilità di acquistare bambini all’estero ed in quel Paese ciò consentisse la formazione di un atto di nascita valido per quel Paese, in tal caso, essendo la compravendita di bambini illecita in Italia (ci dispiace per Vendola ma è ancora così, non sappiamo però ancora per quanto), l’ordine pubblico impedirebbe l’iscrizione all’anagrafe italiana di quel bambino come figlio degli acquirenti pur a fronte di un atto di nascita che nel Paese dove il bambino è stato comprato è perfettamente regolare. Quindi, l’atto di stato civile formato all’estero validamente secondo la legge straniera ma, in ipotesi, contrario all’ordine pubblico non produrrebbe effetti in Italia, da ciò conseguendo l’impossibilità di trascriverlo.

La Cassazione deve quindi superare questo limite e lo fa dilatando ed “aggiornando” il concetto stesso di “ordine pubblico”: e come fa?

Dapprima propone una visione molto restrittiva di “ordine pubblico”, riscontrandone una lesione solo in caso di attacco ai “principi supremi dell’ordinamento costituzionale”: chiaramente, non dà nessuna indicazione di quali siano questi principi supremi.

Incamminatasi lungo questa strada inedita e nebulosa, traccia una interpretazione evolutiva del concetto (non priva di forzature) e si produce nel seguente e molto inquietante passaggio: “Il giudice, al quale è affidato il compito di verificare preventivamente la compatibilità della norma straniera con tali principi, dovrà negare il contrasto con l’ordine pubblico in presenza di una mera incompatibilità (temporanea) della norma straniera con la legislazione nazionale vigente, quando questa rappresenti una delle possibili modalità di espressione della discrezionalità del legislatore ordinario in un determinato momento storico (…) Si tratta di un giudizio (o di un test) simile a quello di costituzionalità, ma preventivo e virtuale, dovendosi ammettere il contrasto con l’ordine pubblico soltanto nel caso in cui il giudice possa motivatamente ritenere che al legislatore ordinario sarebbe ipoteticamente precluso di introdurre, nell’ordinamento interno, una norma analoga a quella straniera, in quanto incompatibile con valori costituzionali primari”.

Attenzione: qui la Corte compie due preoccupanti passi falsi.

Innanzitutto (sebbene nel passo che ho riportato sia in coda) si ritene investita di un giudizio “di costituzionalità preventivo”: quindi non solo si considera in potere di giudicare la compatibilità delle norme con la Costituzione (prerogativa che come ben sappiamo è propria della Corte costituzionale) ma di farlo addirittura preventivamente, ossia prima che la norma esista! La Corte ragiona così: non esiste la norma che consente quel che si vuol fare, ma siccome prima o poi esisterà e se esisterà sarà compatibile colla Costituzione, allora il giudice può applicarla. Esatto: il giudice può applicare norme inesistenti perché ove esistessero – dice la Cassazione – sarebbero costituzionalmente legittime. Ciliegina sulla torta: questo vaglio ipotetico può essere condotto da qualsiasi “giudice” il quale – ecco il secondo guaio – dovrebbe esercitarlo ricostruendo “una delle possibili modalità di espressione della discrezionalità del legislatore in un dato momento storico”. In base a quali criteri il giudice debba e possa delineare queste possibili modalità di espressione della discrezionalità del legislatore non è dato sapere.

C’è da restare basiti: se non c’è la norma, la possono fare i giudici attraverso le sentenze e la possono fare immaginando come si muoverebbe il legislatore e giudicando da sé se i principi che vanno enunciano siano o no compatibili colla Costituzione.

Spero di aver reso il concetto.

Aggirato così l’ostacolo dell’ordine pubblico e dopo l’invenzione fantasmagorica del vaglio preventivo di costituzionalità rispetto a norme ipotetiche, la Corte si ritaglia il via libera per dire che è nell’interesse del minore avere lo status di figlio anche per il diritto italiano e che quindi nulla osta a che l’atto di nascita da due donne sia trascritto all’anagrafe di Torino. Però come fa la Corte ad arrivarci? Coraggio, un ultimo sforzo: so che è pesante, ma non possiamo leggere una sentenza come farebbe un Fabio Fazio qualunque.

La Corte dice che l’interesse del minore ad essere considerato anche per la legge italiana attiene addirittura ai suoi diritti umani, rispetto ai quali una eventuale normativa che riconoscesse espressamente la possibilità di un atto di nascita da due donne sarebbe perfettamente conforme (ergo sarebbe conforme anche alla Costituzione, che tutela i diritti dell’Uomo: ecco il giudizio di costituzionalità rispetto a norme che non esistono ma che potrebbero esistere). Però, se adottiamo questo criterio, ossia che l’interesse del minore ad essere considerato figlio anche in Italia e non solo in Spagna è addirittura afferente ai suoi diritti umani, allora non ha neppure senso preoccuparsi che l’atto di nascita sia valido o no nel Paese di origine: se un bambino “in nome del suo interesse superiore” deve essere considerato comunque sia figlio di chi lo rivendica, allora basta chiarire le rispettive identità e il gioco è fatto. E resta molto da dire, sul concetto di “interesse del minore” parlando di una pratica, quale quella attuata dalle due donne, che lo ha privato di un padre e che è certamente costata la vita di diversi esseri umani concepiti.

Che conclusioni possiamo trarre? Che andiamo male, molto molto male.

Una sentenza mostruosa come questa è il prodotto (quantomeno) di due fenomeni ugualmente patologici.

Il primo, più  generale, è il sempre più evidente ed invadente ruolo di “supplenza” di cui certa magistratura si autoinveste, decidendo che in un dato momento storico il legislatore potrebbe emanare certe norme ed applicandone i principi prima ancora che esse vengano ad esistenza: qui si va ben oltre l’azione suppletiva, qui la Cassazione ha deciso da sé sia l’an che il quomodo. Se tale linea fosse riproposta con riferimento ad altri settori dell’ordinamento, sarebbe la fine del Parlamento, chiamato a ratificare gli indirizzi giurisprudenziali impressi da magistrati in potere di immaginare (ed applicare) “una delle possibili modalità di espressione della discrezionalità del legislatore in un dato momento storico”: e pensare che una volta erano i giudici a dover tenere conto della volontà del legislatore, e non viceversa! In questo caso, poi, la Cassazione ha attribuito ai magistrati addirittura un potere di vaglio di costituzionalità: ma ogni volta che la Cassazione ha giocato a far la Costituzionale, non è andata affatto bene. Pensiamo alla pronuncia sul caso Englaro, talmente vaga e fumosa da restare un caso unico, un indirizzo poi non seguito sebbene a suo tempo ebbe molto clamore. In merito a quest’ultimo provvedimento, come non ricordare l’entusiasmo di molti tecnicucci del settore che lo salutarono come “il testamento biologico varato dalla Cassazione” (ricordo benissimo la copertina del Corriere Giuridico della IPSOA/WKI, o le notazioni compostamente entusiastiche di “Diritto di Famiglia e delle Persone”, solo per citarne un paio: andate in una qualsiasi biblioteca giuridica e fatevi due risate).

Il secondo fenomeno è l’ambiente di violenza al vero e all’ordine naturale delle cose che permea tutto il mondo della “genitorialità omosessuale”: la forzatura nei confronti della natura porta ad una serie di mostruosità ed incongruenze che si riflettono poi anche sul piano giuridico. Per legittimare la pratica aberrante compiuta dalle due tizie in questione si è dovuto violentare il concetto di “ordine pubblico” ed inventare il vaglio preventivo di costituzionalità del giudice rispetto a norme ipotetiche ricostruite secondo il possibile intento del legislatore, per giunta evocando l’interesse del minore in un contesto che lo vede arbitrariamente privato della figura paterna e prodotto in laboratorio: una follia.

Finirà tutto questo? Ma certo. Ci vorrà tempo ma finirà. Il biglietto per queste giostre ha un prezzo troppo alto in termini di coerenza dell’ordinamento: nel tentativo di risolvere un problema, se ne creano altri e si squassa il sistema inventando (o sovvertendo) categorie e poteri che tengono insieme non solo il Diritto ma la stessa comunità.