bergylutherking

Nota di Radio Spada: riportiamo qui l’articolo che il nostro Luca Fumagalli ha pubblicato oggi, con diverso titolo redazionale, sul sito del giornale online Il Conservatore.

Buona lettura!

di Luca Fumagalli

Qualcuno ha scritto di recente che la Riforma luterana ricorda molto da vicino il rinnovamento che Bergoglio sta cercando di portare avanti all’interno della Chiesa.

Già lo scorso giugno, tornando dal viaggio in Armenia, il pontefice aveva lodato le intenzioni di Lutero, offrendo una piccola anticipazione delle dichiarazioni che, sempre sulla stessa linea, si sono succedute a ritmo vorticoso in questi ultimi giorni. Il culmine lo si è raggiunto il 28 ottobre quando, in una lunga intervista concessa alla Civiltà Cattolica, Bergoglio ha parlato di Riforma e Scrittura come di parole-chiave che i cattolici dovrebbero assorbire dalla tradizione luterana. Ma non è finita qui. L’altro merito che viene riconosciuto al monaco tedesco è quello «di aver fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo».

Alcuni si saranno stracciati le vesti, ma non si tratta di una novità assoluta. Benedetto XVI, nei toni generalmente più sobri che lo contraddistinguevano, aveva già fatto qualche cauta apertura nel 2011, in occasione della visita al monastero di Erfurt: «Le ineludibili domande di Lutero su Dio, in forma nuova, dovrebbero diventare anche le nostre».
Bergoglio non sta facendo altro che portare al suo tragico epilogo la surreale teologia pastorale inaugurata dai suoi predecessori. Si tratta di qualcosa di così abnorme che farebbe sorridere il cattolico più smaliziato, se dietro non si nascondesse una volontà quasi stalinista di riscrivere la storia.

Far passare Lutero per un pio riformatore è qualcosa di intrinsecamente perverso. Nella gloriosa storia della Chiesa, infatti, tanti veri riformatori hanno saputo coniugare le istanze di rinnovamento con il rispetto dall’autorità legittima, un’autorità non stabilita da un’assemblea democratica, ma voluta da Cristo stesso. L’ubbidienza, come dimostra il caso di San Francesco, è una virtù preziosa, l’unica che ha permesso a lui e ai suoi fraticelli di distinguersi da tutta quella marmaglia ereticale che appestava l’Europa medievale.

Lutero, al contrario, più che un riformatore fu un rivoluzionario, un uomo che spaccò in due un continente, tanto dal punto di vista religioso che politico. Poco importano, dunque, le sue intenzioni: come ricorda il Vangelo – quello che il monaco agostiniano ritradusse e mutilò per ingannare se stesso e gli altri – un albero lo si giudica dai frutti. E quali furono i frutti del protestantesimo? Non solo le guerre, la violenza e centinaia di martiri, ma anche e soprattutto germi morali quali l’individualismo, l’anarchia dottrinale e il rifiuto di ogni autorità. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nei paesi del nord Europa, quelli a più lunga tradizione protestante, l’unica religione che oggi sopravvive è l’agnosticismo e le cifre di coloro che frequentano regolarmente una funzione religiosa sono sempre più vicine allo zero.

Cosa ci sia di meritorio in tutto questo rimane un mistero. Ma la vera insidia che si nasconde dietro la riabilitazione di Lutero, dietro il dialogo a tutti i costi, dietro l’ecumenismo più estremo, è quella che denunciava oltre un secolo fa don Davide Albertario. Secondo il sacerdote lombardo voler cercare nell’altro il bene sempre e comunque porterà un giorno i cattolici a parlare in toni elogiativi persino di Satana: del resto, si dirà, era pur sempre un angelo.