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 di Cristiano e Davide Lugli

 

“Che il mio sospiro e la grande e varia desolazione di questo mondo abbiano a commuoverti, o Gesù, splendore di eterna gloria, conforto dell’anima pellegrina. A Te è rivolta la mia faccia; senza che io dica nulla, è il mio silenzio che ti parla.” (L’imitazione di Cristo)

 

Nell’esistenza di un individuo sono pochi i momenti di calma, di autentica quiete, in cui la mente, se non già tutto l’essere, non siano protesi verso l’esteriorità e da essa presi, assorbiti, resi incoscienti di sé. È difficile che nella vita ordinaria ci si renda conto della misura in cui si fa abdicare l’autocoscienza, quindi la chiara percezione di se stessi, a favore di attività di vario genere, sempre tendenti ad esteriorizzare la propria individualità e a trasmetterle nuovi impulsi, sensazioni, emozioni.

In una simile situazione, è ben difficile che qualcuno riesca a sottrarsi a questo gioco di illusioni mortali, da cui non si è abbandonati nemmeno nei momenti di mancata attività, o di riposo. La mente, intasata di immagini e da caleidoscopiche impressioni, segue la direzione impostale dai mille impulsi esteriori, sviluppando per conto proprio immagini e fantasie, associate e associabili alle attività ed alle sensazioni di cui è stata saturata, da cui è stata coinvolta, mai fermandosi e mai riuscendo a sottrarsi a questo gorgo abissale.

La pretesa di eludere questa conditio, è da considerarsi ancor più difficile se si ha chiaro il quadro clinico in cui ci troviamo, ovvero lo stato attuale di un mondo privo di di solitudine, privo d’immobilità, in cui spicca soltanto il grido della scienza moderna, oltraggiosa e deviatrice, satura di un intento profanatore che ottenebra tutto. Come dunque trovare raccoglimento in mezzo ad un clima in cui è la “macchina” – in senso generale – a predominare sulla quotidianità degli individui? Certamente la pace e l’equilibrio vanno maturati all’interno, non all’esterno, ma ciò rischia di divenire un sofisma, a cui i Santi tutti hanno già dato risposta: essi hanno infatti scelto il silenzio, un modo di vivere ritirato, raccolto e privo di frastuono esterno per accedere direttamente in se stessi, silenziando e fustigando lo sciame di pensieri che i moti esterni provocano all’anima. È innegabile che per avvicinarsi a Dio occorrano disposizioni esterne in grado di favorire le disposizioni interne, e da questo potremmo meglio comprendere quale sia la funzione del “Tempio” come luogo sacro. Esso è per giunta un luogo, secondo la forte radice greca, tagliato fuori“, recondito, per facilitare la meditazione ed il raccoglimento interiore. A questo proposito viene richiamato fortemente l’assimilazione al Sacro Cuore di Gesù, il Templum Dei Sanctum dal cui centro viene emanata la Sapienza Divina, la quiete massima del riposo in Dio, fungendo il cuore da centro e tempio di tutto il nostro essere, contenendo esso quella scintilla divina che Cristo deposita in noi: “Rex et Centrum omnium cordium“.

Per non soccombere alle intimidazioni di un mondo fragoroso occorre  dunque un trauma, un richiamo dello Spirito, una sensazione oscura proveniente da una sensibilità più profonda, ignorata, sepolta, che potrà creare una pausa, un vuoto, una sospensione del turbinio dei pensieri e dei molteplici sentimenti che travolgono solitamente l’uomo rendendolo schiavo, assorbito, non già vivente e volitivo, ma da altro vissuto, condizionato, usato.

Come sottrarsi a questo giogo? Imponendo alla nostra natura istintiva e corporea il silenzio interiore, placando le impressioni e le emozioni provenienti e provocate dall’esterno, e riecheggianti nel tessuto individuale. Infatti, quando noi ci isoliamo dal mondo, rinunciando alle sue illusioni, ai suoi piaceri e alle sue insidie, quando ci raccogliamo interiormente, e quando smettiamo di parlare con noi stessi per spiegare e chiarire ogni cosa, è possibile che Altri ci indichi a Suo modo la strada da percorrere.

Ama interrogare e ascoltare in silenzio la parola dei santi”, così ci esorta a comportarci l’autore de “L’imitazione di Cristo”.

E ancora: “Nel silenzio e nella quiete l’anima devota progredisce e apprende il significato nascosto delle Scritture; nel silenzio e nella quiete trova fiumi di lacrime per nettarsi e purificarsi ogni notte, e diventa tanto più intima al suo creatore quanto più sta lontana da ogni chiasso mondano.”

Ora, se vogliamo realizzare concretamente il silenzio interiore – il quale, è bene precisarlo, non è semplicemente tacere, ma è far tacere la voce rauca delle passioni e degli istinti – è necessario isolare all’interno la propria sensibilità, osservando il pensiero, plastificandolo, solidificandolo, ed infine, sospendendolo. Se la coscienza, vivificata e potenziata dalla sospensione delle sensazioni e del pensiero, in questo silenzio interiore saprà volgersi a se stessa, in sé penetrando e sé sola conoscendo, la Via dello Spirito sarà aperta. Questo è il fatto, la via, la realizzazione.

Sant’Anselmo, rivolgendosi all’anima, suggerisce inizialmente di allontanarsi dall’inquietudine delle opere esteriori; il passaggio successivo che ne consegue è la fuga dal tumulto dei pensieri interiori, i quali conducono l’anima in un vortice di inquietudini. La prospettiva ultima che l’Arcivescovo di Canterbury vede scaturire da questi due “semplici” prodromi di vita spirituale è la quiete, ossia il meglio che possa essere offerto a Dio. [1]

La Sapienza opera rigorosamente nel silenzio, non potendo sopportare che le creature e gli spasimi che da esse ne derivano s’intromettano laddove Dio opera nell’anima. Ecco perché il Signore dice “Io condurrò la mia amica nel deserto e parlerò al suo cuore” [2], significando il luogo in cui non è presente creatura alcuna, permettendo così a Dio di operare nella quiete.

Per operare concretamente, volendo,  può esser costruito un metodo, una tecnica, perlomeno di avvicinamento, basandosi sulle indicazioni che i tanti trattati di ascetica in seno alla Tradizione Cristiana ci hanno fornito.

Si proceda con il creare nella propria giornata dei momenti di calma e di riflessione. Ci si abitui, di sera, a riconsiderare oggettivamente gli eventi della giornata, ed il proprio comportamento in essi; obiettivamente. Si giudichi con severità, nulla concedendo, e si aumentino nel corso del giorno i momenti di controllo della propria impostazione interiore, la misura in cui si è presi dalle attività, la qualità della nostra coscienza, la quantità della nostra autocoscienza.

Senza fretta, senza sprecare tempo, giorno dopo giorno, si crei una rete di controllo e di sensibilità. Si faccia dell’attenzione la necessità vitale e, si corregga, si sradichi, si perfezioni. Controllando il pensiero, domando gli istinti e le passioni, rendendosi immuni dalle invidie, dalle gelosie, dall’egoismo, dalle reazioni ai successi e agli insuccessi; immunizzandosi dalle manie dell’ego, si sottometta la propria natura, portandosi al silenzio.

Il silenzio è la porta di comunicazione tra i mondi; tra l’uomo e Dio. La vita nasce nel silenzio, l’uomo deve morire nel silenzio e Dio può essere incontrato solo nel silenzio: “(…) et post ignem síbilus auræ ténuis. Quod cum audísset Elïas, opéruit vultum suum pállio et egréssus stetit in óstio spelúncæ; et ecce vox ad eum dicens: Quid hic agis Elía?” [3]

In ogni luogo e in ogni tempo, tanto per l’asceta, quanto per il mistico e per il Santo, il silenzio è il mezzo per ottenere. Non si riponga troppa fiducia nello studio, in una vana erudizione, o nell’intuizione casuale; la sola mente umana non può comprendere i misteri dei Regni Divini. Si abbiano costanza, volontà e perseveranza inesauribile; non si attenda il caso e non ci si affidi esclusivamente alla Grazia. Ci si apra la strada con la spada in pugno, poiché: “Il Regno dei Cieli, subisce violenza…” (Mt 11,12)

Un grande padre del deserto, abba Zaccaria, interrogato su quale fosse l’opera del monaco, ebbe a rispondere: “Quanto a me, è monaco chi si fa violenza in ogni cosa.

Invero, all’uomo occorre essere padrone di sé, avere chiara la meta e andare avanti senza scartare, libero da attaccamenti terreni e da condizionamenti esteriori, chiarocosciente, nel timore di Dio, tendendo unicamente ai Regni Celesti.

Ascolta, figlio, le mie parole; parole dolcissime, più alte di tutta la dottrina dei filosofi e dei sapienti di questo mondo. «Le mie parole sono spirito e vita» (Gv 6,63), e non vanno valutate secondo l’umano sentire. Non si debbono convertire in vano compiacimento; ma si debbono ascoltare nel silenzio, accogliendole con tutta umiltà e con grande amore.” (L’imitazione di Cristo)

 


[1] Anselmo d’Aosta, Proslogion
[2] Os. 2,16
[3] III Regum 19,12-13