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di Luca Fumagalli

Mentre su internet rimbalza la notizia che Sorrentino ha iniziato a scrivere la sceneggiatura della seconda stagione di “The Young Pope”, la prima si è appena conclusa con due episodi davvero singolari. Non tanto per la trama che, come ampiamente previsto, porta a compimento alcune piste narrative per lasciarne aperte molte altre; è il tono a colpire. I fatti si succedono a ritmo lento, quasi dimesso. La musica non ha crescendo e, ad esclusione del finale vero e proprio, non vi sono roboanti colpi di scena. Nonostante questo, però, il risultato è qualcosa di grandioso.

Lenny Belardo, dopo essersi occupato per tramite di mons. Gutierrez dei casi di pedofilia in America, non può più sfuggire ai fantasmi privati che lo tormentano. Politica e storia personale si intrecciano conducendo Pio XIII a Venezia, la città verso cui erano diretti i suoi genitori quando da piccolo lo avevano abbandonato, la città in cui il papa decide di mostrare per la prima volta il suo splendido volto al mondo.

La cosa che rende unica una mini-serie come “The Young Pope” – consigliatissima per chi non l’ha ancora vista – è, in generale, il coraggio che la permea. Nulla è banale o scontato, ma ogni cosa è accuratamente ponderata, costruita in modo tale da colpire lo spettatore con l’arma dell’imprevedibilità. Chi pensava che tutto si sarebbe risolto in uno scontro manicheo tra tradizionalisti e progressisti è rimasto deluso. Pio XIII, dopo i primi episodi, cessa di incantare per la singolare politica ecclesiastica che persegue, e inizia a interessare come uomo, come enigma.

La sceneggiatura, se si eccettuano piccoli scivoloni, è di alto livello, pensata in modo da lasciare inevasa la domanda fondamentale: Lenny Belardo è un santo o un impostore? Lo spregiudicato cinismo che lo caratterizzava nei giorni immediatamente successivi all’elezione è progressivamente venuto meno. Il papa continua ad essere un uomo altero e deciso – l’arcivescovo pedofilo sconta la sua pena celebrando messa nella freddissima Alaska, una sorta di Siberia cattolica – ma si avverte che qualcosa è cambiato, che vi è stato un processo di svelamento e maturazione. Il culmine è raggiunto con l’invito al sorriso rivolto alla folla in piazza San Marco e con il flashback in cui si scopre, per la prima volta, che già in giovane età il papa aveva operato una guarigione miracolosa.

Attorno a lui anche gli altri personaggi mutano: Voiello ne è diventato ormai un prezioso consigliere, suor Mary, inviata in Africa, torna a un rapporto informale e affettuoso col suo amato Lenny, e il mite Gutierrez, all’inizio un timido e spaventato sacerdote, ora è un formidabile braccio destro.  Forse, senza neanche accorgersene, Pio XIII ha davvero dato il via a una rivoluzione, innanzitutto spirituale e poi, ma solo in seconda battuta, sociale (lo spavaldo primo ministro italiano, per esempio, non approva nessuna delle riforme che aveva minacciosamente presentato al papa, spaventato dal miraggio del non expedit).

Grazie anche a uno splendido Jude Law, mai così in forma, di questa prima stagione rimarrà nella mente e nel cuore dello spettatore l’immagine di un pontefice a suo modo straordinario. Un po’ come la fotografia di Pio XIII che Esther stringe al petto, mentre dalla spiaggia di Ostia osserva con le lacrime agli occhi l’elicottero papale sparire all’orizzonte.