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di Cristiano Lugli

 

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Correva l’anno 1491, precisamente nel giorno nono del mese di luglio, quando Suor Giovanna Scopelli comunicò la nova della morte alle proprie sorelle monache. L’infermità che l’aveva colpita poco tempo prima si era a tal punto aggravata da renderla del tutto impossibilitata a letto, tuttavia non così tanto da non trovare la forza, nella ferma Fede che caratterizzò tutta la vita sua, per chiedere di essere munita nel memento mori dei Santissimi Sacramenti. Così, tutta rassegnata e sgargiante per il pensiero che la conduceva ad immaginarsi l’unione con il Suo Divino Sposo, richiamò a sé le figliole del Monastero lasciando loro l’ultimo testamento:
“Mie carissime figliole, intime al cuor mio, poiché è lo stesso Nostro Signore Gesù Cristo che lo desidera, devo lasciare questo esilio e questa valle di lagrime e, disponendomi a darvi l’addio, vi do pure qualche consiglio.
Di vostra spontanea volontà avete lasciato i beni del mondo, per ottenere il possesso del gaudio eterno: vi raccomando orsù di osservare puntualmente i vostri compiti, approcciandovi ai Sagramenti e infine obbedendo con umil cuore. Non sospendetevi nell’operare il bene; spendetevi nell’esercizio della mortificazione e con buona volontà estirpate dal cuore le radici malvagie.
Le vostre labbra non si stanchino mai di recitare le lodi divine, gustate le orazioni come fossero aromi, così da poter non immeritatamente offrire profumo di soavità al cospetto di Dio. Abbiate sempre in mente il tremendo dì della morte: allora dovrete rendere conto al Giusto Giudice.
Perciò, figlie dilettissime, trascurate le cose del mondo per le delizie del Cielo: allora sì conoscerete che le vostre piccole fatiche, sopportate per amore di Cristo, vi faranno godere una gioia perenne. E chi è più forte nell’afflizione, tanto più sarà ricompensata. Se voi accettate me come madre io accolgo voi come figlie. Frattanto mi affretto a prepararvi la via per una Vita migliore.”
E così, baciando col bacio della pace una ad una le sue dilette e benedicendole, fece la sua ultima aperta di bocca e spirò rendendo l’anima beata a Dio.Le sepoltura della serva carmelitana venne fatta all’interno delle mura del Monastero, precisamente vicino al pozzo che fu poi soprannominato “Pozzo della Beata”, giacché molta gente sapendo della vita prodigiosa della monaca, andava ad attingere acqua per gli infermi certa che essa avrebbe goduto dell’intercessione della Beata Giovanna sepolta accanto.
Dopo la sua morte non furono poche le volte in cui apparse alle consorelle, in particolare a quella a cui stava più legata in vita terrena, e di cui già abbiamo avuto modo di parlare nei precedenti scritti: Suor Girolama (Hieronima) Lanzi, con la quale più volte più volte si rese presente in candide vestiti trasfigurate per recitare assieme a lei la Corona del Santo Rosario, preghiera carissima alla Vergine Santissima, e questo era ben saputo dalla Beata che usurò le sue stanche dita a forza di sgranare Rosari.

Sempre a Suor Girolama apparse per chiedere particolarmente che il suo corpo fosse estratto dal sepolcro, esattamente un anno e cinque mesi dopo la di lei sepoltura. Obbedì la consorella più intima e, con il permesso del Confessore, estrasse il corpo aiutata dalle altre monache. Al termine di questa operazione fu lo stupore a paralizzare le presenti, poiché una volta salito il feretro esse si ritrovarono davanti ad un corpo totalmente incorrotto insieme ad un’esplosione di soave profumo che trasudava dalle spoglie limpide, quasi come fosse solo addormentata. Questo straordinario avvenimento offrì dunque gli imminenti presupposti per dare inizio all’avvio del Processo per la causa di beatificazione.
Nel preciso istante dell’estrazione del corpo Suor Girolama Lanzi rammentò la promessa fattale dalla Madre Superiora durante un’apparizione, ovvero la guarigione da un’infermità fisica che la faceva soffrire; toccò per contro il corpo della Beata cosicché all’istante fu sanata, e allo stesso modo accadde a Suor Eustachia e a Suor Clemenza da Bologna.
Dal momento del suo ultimo respiro e ancor più dopo l’estrazione del beato corpo, i prodigi e i miracoli si susseguivano senza sosta e in modo sempre più crescente, tanto da far muovere il Confessore delle monache – nonché Priore dei Carmelitani reggiani – ad avvertire il Vescovo di Reggio, S.E. Mons. Francesco Arlotti. Recatosi al Suo cospetto insieme agli altri religiosi lo trovarono assorto nella meditazione di un libro nel quale, l’autore che ora ci sfugge, citava questa frase del Cantico del Cantici: “È tempo di pensare“; in luogo del verbo “pensare”, però, Mons. Arlotti aveva la sensazione di leggere “di rendere pubblico“, senza riuscire a toglierselo dalla testa. Preso da questo dubbio ricevette tuttavia due Padri Carmelitani euforici di raccontare tutto ciò quanto accadeva all’interno e ai contorni del Monastero di Santa Maria del Popolo, specie riferendosi ai fatti accaduti in seguito all’estrazione del corpo di Suor Giovanna Scopelli. La richiesta avanzata dai due religiosi fu quella di poter rendere tutto pubblico e fu proprio udendo questo che il Vescovo, colmo di gaudio, esclamò:
Tutto questo è veramente opera di Dio! Mentre io leggevo ‘è tempo di pensare’ ecco che continuamente mi veniva sotto gli occhi ‘è tempo di rendere pubblico’”. Posto innanzi a questo segno ben elargito dalla Provvidenza, ecco che Egli capì esser giunto il tempo di render pubblico in tutto il mondo l’aspetto prodigioso e santo che ricopriva la Beata. Radunò ipso facto i Suoi Canonici, i più insigni Dottori e nobili della città per dirigersi verso il Monastero del Second’Ordine Carmelitano, ivi appena giunto iniziò a pregare e, dopo averlo fatto, poté finalmente osservare, pur ancora con grande stupore, il corpo incorrotto nell’abito integro traboccante di una soave e floreale fragranza.
Non fece passare neanche il tempo di due ore e ordinò una solenne processione alla quale furono convocate e presenti numerose persone, locali e forestiere, davanti alle quali il Vescovo cantò e celebrò la Santa Messa Pontificale nella chiesa del Monastero alla presenza del beato Corpo di Suor Giovanna Scopelli, già collocato alla sinistra dell’altare maggiore.
In seguito l’intatto Corpo fu adagiato in un’arca di legno fino al 1600, anno in cui venne trasferito in altra teca ricca di fregi d’argento e cristalli ai lati delle pareti (fatta a spese del Cavaliere bolognese Conte Branchetti) così da permettere ancor meglio la vista del corpo ancor oggi visibile nella medesima arca. Dice a questo proposito l’anonimo che la costruì: “(…) una cassa di finissimo argento e di gran valore e, da trasparenti cristalli legati in argento, si vede tutto il corpo ricoperto di candido ammanto di sopra e il volto di un finissimo velo, che unisce e conforta li divoti la vista”. In alto si poteva un tempo leggervi il versetto del Salmo 16: “Non permetterai che il tuo consacrato veda la corruzione”.
Con il passare del tempo dentro la Chiesa di Santa Maria del Popolo vennero dedicati due altari alla Beata che in quelle mura aveva dimorato, uno dei quali era proprio l’Altare maggiore sopra cui fu posta una grossa tela con dipinto il ritratto della vergine carmelitana; l’altro, come più usuale, era un’altare per così dire laterale, precisamente quello della cappella in cui si riuniva il coro di monache e nondimeno in cui si custodiva il SS. Sacramento: proprio al di sopra del Tabernacolo si scorgeva una tavola in legno sopra a cui era ancora rappresentata la Beata Scopelli intenta a contemplare un Crocefisso mantenuto con la mano destra; sullo sfondo invece si vedeva un tavolino ove stava appoggiato il Libro del Divino Officio e un giglio.
Nella teca contenente il corpo si vedevano già tantissimi ex-voto, insieme ad un grande quadro soprastante dove venivano raffigurati molti di questi prodigiosi fatti avvenuti in vita e dopo la sua morte.
Ormai in disuso purtroppo è la commemorazione di questa grande Beata, che avveniva proprio in città nella data del 9 luglio – così come ancora oggi è liturgicamente rimasta – giorno in cui, come abbiamo precedentemente detto, la monaca carmelitana è passata fra le glorie dei Beati che lodano il Volto di Dio. Tradizionalmente veniva celebrata una Festa molto solenne, annunciata già nei giorni precedenti con suoni di campana e squilli di tromba, oltre che con gli addobbi di damasco cremisi all’esterno del Monastero delle monache cosiddette Bianche.
Il giorno della ricorrenza era volontà del Vescovo celebrare la Santa Messa solenne con la presenza di tutti i sacerdoti e seminaristi diocesani, lasciando tre lampade di argento accese per tutto il giorno nella zona del presbiterio.
In questa occasione accorrevano molti infermi per farsi benedire con le reliquie della Beata, estratte in tal circostanza insieme ad alcune particelle ex indumentis del velo della Scopelli, per molti anni dispensate da un Carmelitano del luogo.
Malgrado tutto questo forte sentire la Festa rischiò di perdere questa sua “caratterialità” a seguito di un Decreto di Papa Urbano VIII emesso nel 1625, e con il quale si proibiva il culto e la venerazione a chi non era canonizzato beatificato dalla Sede Apostolica, probabilmente per evitare che avvenissero fenomeni singolari e circoscritti in modo quasi superstizioso al territorio di ciascuno, per il troppo sentimento del volgo.
Ma questo non era certo il caso della Beata Giovanna Scopelli, sicché pure la Provvidenza volle che si arrivasse ad un’intesa con il Padre Inquisitore a cui fece ancora seguito, più di cent’anni dopo,  il nuovo processo canonico secondo le ferree disposizioni di Papa Benedetto XIV, precisamente nel 1771. Va da sé che venne di lì riconosciuta l’eroicità delle virtù e la veridicità dei di lei miracoli ottenuti prevalentemente dopo la sua morte: fu così inserita in modo consequenziale nel “Canone dei Beati”, correndo l’anno 1773.
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Un curioso aneddoto risale alla riesumazione del corpo, che avvenne abbiamo detto per opera delle monache. In realtà le cose pare non andarono proprio in modo così chiaro e scorrevole, giacché ci fu un precedente. È narrato infatti che Suor Girolama Lanzi cadde in una fortissima depressione dal momento che venne a mancare Madre Giovanna, a tal punto da voler rinunciare alla carica di Priora che le era stata assegnata proprio dalla Beata. Non si sentiva degna, nonostante i moniti dei Superiori che la esortavano a proseguire. Questi stati d’animo così esasperati suscitarono la pietà di Madre Giovanna, la quale volle apparire alla sua grande amica, giusto per darle ordine di obbedire devotamente al suo Confessore ed in generale ai Padri Carmelitani.
Non sazia del conforto spirituale che già questa apparizione le creò, Suor Girolama si fece prendere dalla sfacciataggine della curiosità, che la spingeva a provare un ardente desiderio di rivedere il corpo della Beata Giovanna, non senza però prima consultarsi numerose volte con il proprio Confessore il quale, da importunità mosso, le concesse questo permesso.
Il corpo sapevano essere sepolto in luogo molto profondo, al lato del pozzo, ed è lì che andò durante la notte Girolama, per tentare l’impresa di tirarlo fuori: nel suo frenetico tirare successe però che staccò maldestramente una parte del braccio destro e mossa da spavento e senso di colpa desistesse dall’operazione, rimanendo in possesso della parte di braccio che si portò seco nella cella. Si dice che qui le apparve Giovanna Scopelli, chiedendo a lei conto di quanto aveva appena fatto, non mancando nel rimprovero. Ed è proprio a seguito di questa circostanza che alcune fonti riferiscono di come fu della medesima Beata l’ordine di scoprire del tutto – a “danno” ormai fatto – il corpo completamente incorrotto.
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Un divoto concittadino di cui non si conosce nome riferì che “gran parte del braccio [che] si disciolse dal corpo nel scavarlo di terra, sta legato in un braccio di finissimo argento“. Fu concesso dunque che diventasse una vera e propria reliquia con cui benedire gli infermi e i moribondi al termine della Santa Messa dedicata alla Beata.
Grazie ad approfonditi studi compiuti da Mons. Guido Agosti (1926-2007), insigne figura locale: ricercatore, storico e archivista della Diocesi di Reggio-Emilia e Guastalla, e dalla Prof.ssa Giovanna Borziani Bondavalli circa la figura di questa grande Beata, possiamo offrire al lettore interessato oltre che tutto quanto già detto, la testimonianza di qualche miracolo avvenuto dopo la morte della carmelitana reggiana e riportato testualmente nel Processo di beatificazione.
ALCUNI MIRACOLI
“Madona Chiara, figliola d’un certo Nicola Ruggeri et moglie di Nicola Parisetti disse nel suo giuramento, domandata dal superiore etc che Martia sua figliola, essendo appresso il fuoco, gli cascò dentro e si bruciò tutta la faccia, pertanto dubitando sua madre che la figliola rimanesi un mostro, la votò alla beata Giovanna, et subito cominciò aprire gli occhi et in pochi dì fu sana”.
Alcuni altri miracoli vennero attestati ancora da un anonimo devoto, datati 1600:
 
“Caduta una giovane in un mulino, rimase col volto rotto per mezzo e un buco nella gola onde non poteva prendere alcun cibo: stando però in tale stato e già vicina a morte, fanno per lei voto i genitori di venire ad ascoltare una Messa nella Chiesa della Beata e portarvi una testa di cera; ciò fatto vedono la figlia libera e restituita ad intera salute.”
 
Un altro episodio risale al 1615, anno in cui Francesco Guletti, povero montanaro da Pantano (Comune di Carpineti, nei primi colli dell’Appennino Reggiano) passava da Reggio al suo paese con un somiere carico zeppo di grano che conduceva per il sostentamento della famiglia. Aggirandosi all’altezza di Vezzano sul Crostolo, paese in cui attraversa appunto il fiumiciattolo-torrente Crostolo, vide rigonfiarsi sempre di più l’acqua minacciando un’imminente piena. Intento a risalire di gran fretta la riva con il somaro, il sig. Guletti precipitò con la bestia nell’acqua: vedendosi già spacciato a causa delle forte corrente che lo trascinava via si ricordò infine della Beata Giovanna, e rivolgendosi a lei con vero cuore le promise di far celebrare due Messe. Le sue intenzioni furono subitamente ascoltate ed egli si ritrovò appoggiato ad una piccola spiaggetta insieme con l’asino e tutto il carico di cui nulla era andato perduto.
 
In questo avventurato racconto che ci ha trasportato a riscoprire una Beata di cui davvero la Chiesa avrebbe tanto bisogno, non basterebbero mai le parole. Eppure la stessa vita della Beata Giovanna Scopelli ci insegna l’amore per il silenzio e la contemplazione, la ricerca costante di assoggettarsi alla Volontà di Dio attraverso l’orazione e il sacrificio, la prorompente azione che mai si distoglie dalla contemplazione divina a cui la Beata era sempre soggetta. Non vi è dunque davvero nulla da aggiungere sennonché ci troviamo davanti ad un anima che non ha fatto effettivamente nulla di assolutamente straordinario come spesso accade e sappiamo essere nei grandi Santi, ciò tuttavia già traccia un modello di vita ascetica che tende alla perfezione, e soprattutto ha come unica scuola quella della Croce.
Altro non ci resta da fare che raccomandare le nostre anime, la Diocesi di Reggio-Emilia e Guastalla (per chi vi risiedesse) e in generale la Santa Madre Chiesa per cui tanto Ella pregò, alla Beata Giovanna Scopelli:
 
“Magnanima Beata ed illustre nostra concittadina Giovanna, che consacraste la vostra vita al divino servizio praticando in grado eroico tutte le cristiane virtù, ottenete a noi, vostri devoti, il distacco dei beni menzogneri della terra, un grado perfetto di Amor di Dio insieme ad una grande confidenza nella divina Provvidenza.
Augusta nostra avvocata, stendete su noi e sulla nostra città intera la vostra potente intercessione”.  Pater, Ave, Gloria