don floriano guerard des lauriers seveso

 

Intervista realizzata a cura di Piergiorgio Seveso, Lorenzo Roselli e Gabriele Colosimo. [RS]

 

RS: Reverendo, anzitutto grazie per aver accettato di rilasciarci un’intervista su un tema di così scottante attualità. Abbiamo pensato a Lei come ad un interlocutore autorevole ed informato per commentare la recente intervista rilasciata ad una televisione francese da Monsignor Bernard Fellay, superiore della Fraternità San Pio X (da questo momento FSSPX). Quali sono i punti focali che l’hanno più vivamente colpita e impressionata nell’intervista rilasciata da S.E.R. Monsignor Fellay?

DF: Per quanto riguarda l’intervista del 29 gennaio all’emittente TVLibertés nella trasmissione Terres de Mission, quello che colpisce di più soprattutto un sacerdote come me che era membro della FSSPX, è un aspetto psicologico, direi anche umano, che sicuramente non è l’aspetto più importante, ma c’è ed è imprescindibile. Siamo uomini in carne ed ossa ed io, del resto, sono stato membro della FSSPX.
Vi è un evidente e incontrovertibile cedimento psicologico ed umano. Nel senso dell’onestà intellettuale con la quale si parla. Mi ha colpito l’aspetto riguardante l’onestà intellettuale di Fellay…. Come cita Monsignor Lefebvre e, nello specifico, come tira in ballo l’espressione di Lefebvre “operazione sopravvivenza”.

Nelle consacrazioni episcopali del 30 giugno 1988 il punto cardine fu l’”azione di sopravvivenza della Tradizione”. Le parole vengono oggi tirate in ballo da Fellay in quest’intervista in modo pretestuoso e fanno inorridire per l’aspetto umano e la disonestà intellettuale. Mentre Monsignor Lefebvre considerava l’operazione sopravvivenza come una separazione dalla Roma modernista, Fellay utilizza le stesse parole per ottenere un diritto di cittadinanza nella controchiesa modernista. Questo riguarda l’aspetto umano-psicologico della disonestà intellettuale.

Ma ben più rilevante è l’aspetto teologico. La realtà della Chiesa, del Magistero, di un Concilio Ecumenico che, se tale, è un concilio di grande importanza. A mio avviso questo è il perno attorno al quale ruota l’intera e vitale questione. Vi è poi un terzo aspetto per il quale si può esaminare quest’intervista… quello diplomatico.
Salta agli occhi, e bisogna riconoscerlo, che Fellay riesce a rappresentare con grande perizia e astuzia il fatto compiuto, dandolo come scontato.

L’intervistatore gli chiede infatti se, accogliendo la proposta di una prelatura personale, incoraggiata da Monsignor Schneider, non vi sia il pericolo di un’indipendenza totale e, consequenzialmente, il rischio di una chiesa autocefala. Fellay risponde: non è necessario attendere che tutti i problemi della Chiesa siano risolti. Ma invero, Lefebvre diceva che si sarebbe tornati a Roma soltanto quando quest’ultima si fosse convertita. Per Fellay questo non pare un problema: dice che non bisogna attendere oltre e sotto certe condizioni si può fare.

Quali sono queste condizioni per Fellay? C’è la conditio sine qua non della sopravvivenza, quella di rimanere “tali e quali” nell’ambito della Chiesa conciliare, il “diritto” di poter criticare e rimproverare, anche gravemente, il Concilio nei suoi errori: l’ecumenismo, la libertà religiosa, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato, una concezione equivoca del concetto di tolleranza…
Quello che mi fa molto riflettere è che Fellay afferma di essere SOTTOMESSO all’autorità post-conciliare perché, pur disconoscendo i contenuti del Concilio Vaticano II, lo riconosce come magistero in quanto concilio ecumenico. Afferma pertanto, concordando con il professor Roberto De Mattei, che il magistero può essere fallibile e che ci sono proposizioni del Concilio che non rispondono a criteri di cattolicità.
Citiamo il Catechismo Maggiore del 1905, domanda 175: può sbagliare la Chiesa nelle cose che ci propone a credere? NO, nelle cose che ci propone a credere la Chiesa non può sbagliare, perché secondo la promessa di NSGC ella è perennemente assistita dallo Spirito Santo.

Monsignor Lefebvre metteva in dubbio la cattolicità di questo Concilio e lo chiamava un brigantaggio, una rivoluzione in tiara e cappa. “Questo Concilio non può essere purgato dal suo spirito. Che volete? Quando un documento, nel suo complesso, è redatto con uno spirito falso, è praticamente impossibile purgarlo da questo spirito, sarebbe necessario ricomporlo da cima a fondo per dargli uno spirito cattolico”, citando Monsignore nel suo scritto Lo hanno detronizzato [pag. 177, edizioni Amicizia Cristiana]. Quindi dice Lefebvre: a Roma io non vado. Se Roma non torna alla Fede, io non torno.

E afferma che la Chiesa ufficiale attuale (uscita dal Concilio Vaticano II) non è la chiesa visibile fondata da Nostro Signore Gesù Cristo. Lefebvre, quindi, rifiuta l’ordine di Roma e consacra vescovi semplicemente poiché la Chiesa necessitava di vescovi. Non stava disobbedendo all’autorità: era infatti nel dubbio che quella di Roma fosse legittima e nel futuro si sarebbe riservato di trattare la questione della legittimità nel suo complesso. Nel 1987 Lefebvre diceva, a Parigi prima, ad Ecône poi, durante l’omelia della Pasqua di Risurrezione, ai fedeli: abbiamo aspettato abbastanza, la questione dell’autorità va risolta. E’ un subbuglio, sorge un panico generale tra gli esponenti della FSSPX. Vi sono molti contrari alle consacrazioni, tra i quali l’allora superiore generale Franz Schmidberger.

Questo discorso ci serve per arrivare all’aspetto più importante: è la Chiesa di Bergoglio e dei papi conciliari la Chiesa cattolica? E’ il Concilio Vaticano II atto del Magistero? Questa è la grande domanda che Lefebvre a suo tempo pose al mondo cattolico.
Se la chiesa di Bergoglio è la Chiesa cattolica, se il Magistero può sbagliare e il Concilio Vaticano II è un concilio cattolico, Fellay può chiedere una prelatura personale. E sempre parlando per ipotesi, io potrei richiedere una parrocchia a Roma.

Il Catechismo Maggiore però mi insegna che il Magistero non può sbagliare e il Papato non ha bisogno di un monsignore svizzero che gli insegni che cosa fare. E che quindi la Chiesa ufficiale conciliare non è la Chiesa cattolica visibile, fondata da Cristo.

 

 

RS: Questo passaggio a cui arriva Fellay è conseguenza di aspetti già esecrabili del passato? Come si è arrivati a questo?

DF: L’intervistatore chiede come si è arrivato a questo. Da un punto di vista cronologico, rispondo che tutto inizia con la partecipazione al Giubileo del 2000 sino ai colloqui dottrinali del 2005, passando per l’accettazione del Motu Proprio Summorum Pontificum e la remissione delle “scomuniche” nel 2009.
Se invece ci si riferisce all’ipotesi di scisma che l’intervistatore presenta a Fellay, quest’ultimo l’esclude per un’unione di fatto già arrivata. Fellay infatti dichiara che il potere di confessare, il potere di giudicare sacerdoti che hanno commesso un delitto, il potere giuridico di conferire le ordinazioni sacerdotali, notiamolo bene, tutta questa giurisdizione, gli viene da Papa Francesco. Allora, aggiungo io, con questa sottomissione la Fraternità, per agire, non si rifarà più alla giurisdizione straordinaria. Ecco perché Fellay dice: non solo riconosciamo l’autorità del Papa, ma anche dei vescovi locali che nominiamo nel Canone. Guardate che un tempo nella FSSPX non si nominavano i vescovi locali nel Canone.

Fellay ora dice SIAMO SOTTOMESSI ALL’AUTORITA’. Non solo riconosce l’autorità, ma dichiara anche di esservi sottomesso. Quindi non ci può essere scisma… e visto tutto questo cosa manca? L’unione di fatto c’è già. Manca il sigillo, il timbro.

 

RS: Cosa succederà nella FSSPX adesso?

DF: Siamo di nuovo nell’ambito psicologico… Non è mia intenzione fare nomi, ma per ventura sono stato chiamato da un fedele della FSSPX di Rimini, che mi chiama dopo tanti anni per dirmi: io non combatto più, io vado alla Santa Messa e non mi interesso di altro. Come biasimarlo? I sacerdoti ora dicono “io faccio quello che mi sento di fare”, “io dico quel che mi sento di dire”.
Vedete, la situazione della FSSPX è quella della Chiesa. Il pastore è percosso e il gregge è disperso e divorato dai lupi. Niente di più, niente di meno.

 

 

RS: Secondo lei, che cosa dovrebbe fare un sacerdote e un fedele della FSSPX in un frangente così delicato?

DF: Difficile suggerire ai fedeli e soprattutto ai sacerdoti. I sacerdoti, ad esempio, hanno bisogno di una dimora, di un pasto caldo, di un letto. Un sacerdote della Chiesa ufficiale può trovare facilmente un’altra sistemazione, ma un sacerdote tradizionalista torna a casa sua… se ce l’ha. Quindi si accontenta di fare quel che si sente, e va avanti così.
Lo stesso dicasi per i fedeli, specie di famiglie numerose… Dove mando i bambini per la Prima Comunione? Chi li cresima? Tutto questo invece di insorgere, come era insorto il mondo tradizionalista dopo il Concilio.
Certo, le cappelle non una cum non mancano in Italia. Mi viene in mente Rimini, il Veneto, la Lombardia, Roma, Potenza, Bari, Trieste… Ma quello che consiglio ai sacerdoti è quello che ha suggerito Monsignor Fellay stesso nel bollettino della Fraternità Cor unum del 1995, nel quale chiedeva ai sacerdoti di studiare bene il tema dell’appartenenza alla Chiesa cattolica: “[…] Perché verranno tempi nei quali Roma ci farà proposte così allettanti che sarà difficile resistere“.

Io allora insegnavo al seminario Zaitzkofen della FSSPX in Germania e ricordo benissimo di avere letto il manuale del Cardinal Billot. Faceva un esempio adatto ai nostri tempi: prendiamo un ragazzino in buona fede, forse anche in stato di Grazia, che cresce però in una famiglia protestante. Nel giorno in cui professi la prima volta quella fede eretica pubblicamente, calvinista o luterana che sia, cessa in quell’istante stesso di essere membro visibile della Chiesa cattolica.
Ora, non drammatizziamo. Non stiamo assolutamente mettendo Bergoglio all’Inferno; non stiamo condannando alla dannazione eterna tutto il Cardinalato, l’Episcopato e financo il Clero. Ma affermiamo che, sostenendo il Concilio Vaticano II o anche l’idea che un Concilio della Chiesa possa sbagliare, ci si pone fuori dalla Chiesa Cattolica.

 

RS: La ringrazio vivamente, Don Floriano, per questa appassionata e chiara esposizione, anche nel ricordo della sua ottima presenza alla seconda giornata di cultura radiospadista dell’aprile 2016.

DF: Sono io che ringrazio Radio Spada per quest’intervista e saluto i vescovi e i sacerdoti della Fraternità, facendogli i miei migliori auguri.