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di Cristiano Lugli

Mi manca tutto, o mio Dio, ma se Voi non mi lasciate, io non mancherò a Voi! Si alzino pure a perseguitarmi tutti i dotti del mondo, mi si levino contro tutte le cose, i demoni tutti mi tormentino, ma, non mancatevi Voi, o Signore, conoscendo già io per esperienza i vantaggi che si ricavano dal porre in Voi ogni fiducia!  (Santa Teresa di Gesù Bambino)
Recentemente mi è capitato di scrivere nelle vesti di giovane cattolico perplesso, perplesso particolarmente davanti agli accadimenti interni alla Fraternità Sacerdotale San Pio X. Il motivo per cui torno sopra all’argomento – non tanto ai fatti, quanto invece alle perplessità generali che può avere un giovane cattolico oggi – è dovuto ad alcune osservazioni che, con somma gentilezza e preoccupazione, qualche persona amica mi ha mosso in sede privata.
Giustamente qualcuno potrebbe chiedersi per quale motivo delle osservazioni mosse in sede privata debbano attendere risposta in sede pubblica, dove magari nessuno è interessato a leggere queste puntualizzazioni che or ora scorreranno. Vero, niente di più vero, ma se scrivo è perché penso di poter rendere concreto un pensiero partito dal sottoscritto, epperò facilmente condivisibile anche da altre persone in buona Fede, appesantite dal travaglio angosciante che travolge la società, la Chiesa e, quel che vi è di più delicato e prezioso, le anime di tanti fedeli.
Le perplessità di un giovane cattolico non possono certamente limitarsi ad una sola questione legata ad un Istituto, per quanto tal questione possa essere nell’attuale momento importante, ma si estendono a tutto il panorama che coinvolge la società: le preoccupazione di poter sempre avere la possibilità di partecipare alla Santa Messa di sempre, senza ambiguità e senza mettere in pericolo la Fede Cattolica come accade nel Messale di Paolo VI; la Grazia di potersi accostare quanto più frequentemente possibile ai Santi Sacramenti di sempre, medicina indeclinabile per affrontare le prove della quotidianità, fungendo essa da vero e proprio spasimo contrario ad un ritmo di vita regolare, armonico e slanciato verso il divino come l’antichità proponeva, vedendo così realizzata anche nel mondo materiale la supplica pronunciata nelle Litanie dei Santi: “ut mentes nostras ad cæléstia desideria erigas, te rogamus audi nos!“.
E ancora: l’educazione dei figli, la possibilità di farli crescere vicino a sacerdoti degni del loro ministero, capaci di curarsi dell’anima prima che del resto, spezzando e sradicando l’inclinazione al Male proposta sotto un impulso narcotico collettivo dall’odierna alienante società.
Certo sono problemi e preoccupazioni, specialmente quando con onestà intellettuale si nota che la realtà delle cose sfugge, attraverso un’idea costruita e montata sulla fattispecie di un castello di sabbia, pronto ad essere calpestato dal più ingenuo dei bambini, capace però di intendere la scarsa sussistenza di quell’operetta costruita con tanto impegno e fatica.
Tutto questo accade e sarebbe puerile negarlo.
Vi è però un qualcosa di più, di molto di più, e che funge da risposta essenziale a tutte quelle care persone – la maggior parte di una certa età – che si sono quasi commosse nel leggere quanto un giovane cattolico può dire sui tempi odierni; forse perché chi si accorge di aver già avuto concessi tanti anni di vita su questa fluttuante e rapida terra, sfuggente da sotto i piedi come la foglia sfugge dalle mani che tentano di catturarla se alzata verso il cielo dal vento, si preoccupa poi e si duole nel vedere quanto di brutto è rimasto, forse facendosi una colpa per quanto siano stati insufficienti a cambiare qualcosa quegli anni.
Tutto questo, per quanto cortese, rimane però inutile affanno. Il non curarsi dell’inutile affanno è la risposta che un giovane cattolico perplesso può dare a chi si rammarica gentilmente e paternamente per lui.
Gli scossoni interni ed esterni alla Chiesa spaventano, oggi più che mai, perché il punto non rassomiglia ad altro che ad un punto, sì, ma di non ritorno. La corrente del tradizionalismo è spaccata, si appoggia alla propria convinzione la quale, pur giusta che sia nei più disparati casi, spesso è dimentica del periodo in cui stiamo vivendo: periodo senza precedenti storici; divisioni a loro volta dovute a teorie che non solo non si accordano nell’unico fine, che dev’essere la salvezza della propria e altrui anima, ma altresì alimentano divisioni, rotture e quanto di più spiazzante ci può essere per un fedele capitato e catapultato in questa straordinaria crisi interna alla Chiesa, priva di passati conosciuti giunti ad un tale scombussolamento.
Conoscere non è altro che vedere, così come capire non è altro che guardare, secondo l’insegnamento tomistico, eppure sembra che a molti di noi manchino questi due elementi fondamentalmente basilari, utili per concepire il momento al quale siamo sottoposti. Questo basterebbe per far cessare ogni divisione (non sempre certamente sbagliata come vuole una certa mentalità che tiene il piede in due scarpe, con il pizzo e il merletto al vertice dei desideri), ogni timore e angoscia.
Come già diceva quel giovane cattolico perplesso, non sarà quello o quell’altro Istituto a salvare la Chiesa, così come non sarà la mancanza di qualcuno all’interno di questa battaglia a sentenziare la buona riuscita della guerra. Basta un piccolo a gettare l’anello nel fuoco, per far cessare ogni lotta. La Chiesa può fare a meno di chiunque perché il Suo Splendore è già iscritto dalla notte dei tempi, e di chi non c’è farà a meno, oggi come domani.
Con questa verve di missione guerrigliera si rischia – e anzi il rischio è già stato sostituito dal cedimento – di sovrapporre ai  doveri di ogni giorno, alla propria vocazione, un nebuloso desiderio di salvare il mondo e con esso la Chiesa, ingabbiandosi in un tunnel senza uscita che sgretola ambedue le possibilità, lasciando a mani vuote.
La Provvidenza ha voluto farci leggere ieri, nella Santa Messa, la Sequenza del Santo Vangelo secondo San Matteo. Un caso certamente, ma un caso che capita proprio ad imbarazzare le apprensioni che hanno coinvolto gran parte del mondo cosiddetto tradizionalista nei giorni precedenti, per non dire settimane e mesi. La lettura di quel passo spiazza, e fa calare un sipario di silenzio sopra le nostre misere preoccupazioni terrene, anche se il campo è quello della Chiesa.
“Ed ecco sollevarsi una tempesta tanto grande che la barca era coperta dalle onde”. E non è forse la perfetta descrizione del momento attuale in cui la Barca di Pietro è terremotata sugli impeti di un mare in tempesta, travolgente ed apparentemente inarrestabile per il moto delle onde divoranti? Così come la stessa situazione può essere connubbiata alle prove che Dio permette su ciascuno di noi, nei momenti in cui le nostre interiora si trovano abbattute dalle onde di burrasca. Proprio in quest’ottica il Signore ci parla, e un sorriso dovrebbe comparire sui nostri volti, sorriso di chi si accorge di quanto piccola e vacillante sia la propria Fede, preoccupata di cose vane e sprovveduta dello stesso spirito di Fede, il quale preannuncia come ogni genere di scontro o di intemperie sia permesso, non impedito o ancor più voluto da Dio come manifestazione del Suo infinito Amore.Tutto è immensa Grazia“, insegna Santa Teresa di Gesù Bambino, a testimonianza che il Padre che prova il figlio lo fa per amore, per ricavarne sempre un maggior bene, non commensurabile ad occhi umani, frequentemente disposti a parlare e a vedere come Pietro, ergo come gli uomini e non come Dio.
Le virtù non possono essere forgiate nella quiete del mondo, ma si forgiano in quella quiete interiore maturata mediante e durante le difficoltà, i quali risultati oltrepassano quello che si sarebbe riusciti ad ottenere in un presente di assoluta calma. “In patientia vestra possidebitis animas vestra”, ripetono spesso i monaci cantando il comune dei martiri.
La nostra incostanza è come quella degli Apostoli in quella timorosa esperienza trascorsa sulla barca, ove la scarsa Fede si è palesata agli occhi di Dio che per un attimo pareva dormire. La tranquillità di Dio che dorme, e lo spavento degli Apostoli che vegliano, cioè il ritratto della differenza sostanziale fra le miserie umane e la Perfezione Divina, fra quell'”Amor che move il sole e l’altre stelle“, pur nella sua immobilità. Egli, il Moto che muove tutte le cose, rimprovera la frase dei suoi discepoli: “Salvaci, o Signore, che siam perduti!”. Perché temete, o uomini di poca Fede?“. La mancanza di Fede sgomenta, smarrisce durante le prove, non altro!
Pur quando tutto pare perduto, senza un positivo ritorno, è proprio allora che viene richiesto uno slancio alla nostra tiepida e stantia Fede, tramutando l’asprezza in vigore interiore fondato su Gesù: “Io conto su di Lui – ripete ancora la Santa carmelitana – Il potere potrà giungere al colmo, ma sono sicura che Egli non mi abbandonerà“. Un’altra spiegazione può infatti essere addotta dal Santo Vangelo della IV Domenica dopo l’Epifania, ed è quella che, nonostante il rimprovero di Gesù, Egli ci invita a comprendere quando gli Apostoli hanno vinto quella battaglia: i loro sforzi, le loro energie… sarebbero state tutte inutili se essi non fossero ricorsi a Gesù. Così vale per noi quando tentiamo di affrontare tutto da soli, o ragionando senza guardare ad un prestabilito disegno divino, che certamente vedrà momenti di dolore e di apparente trionfo del Male, ma poi si svelerà in tutta la sua Gloria, perché appunto divino e non umano disegno. “Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam”.
Fino a quando non sarà fatta cessare la tempesta nelle nostre anime, ogni sforzo a favore della Chiesa sarà inutile anche se compiuto con i più buoni e retti intenti. Va da sé che la tempesta non cesserà e noi affogheremo in essa fin tanto che non saremo ricorsi a Dio con vera ed incrollabile fiducia, ché se i progressi nella vita di ognuno tardano ad arrivare o ancor peggio mai arrivano, è perché si rimane in stallo facendo affidamento sulle scarse e mere risorse personali. San Paolo insegna che “la sufficienza nostra vien da Dio” (II Cor. 3,5).
Questa è la voce di un giovane cattolico, certo che nessuno è indispensabile a Dio in questa battaglia, ma Egli è quanto mai indispensabile a noi. Fiduciosi in questa sublime Verità, allora, avanziamo imperturbati sulla Via del dolore e dell’allegrezza, dello sconforto e del conforto, sicuri che, come diceva un grande mistico quale San Giovanni della Croce, “si ottiene da Dio quanto da Lui si spera”.