di Cristiano Lugli
La forza che mi trattiene qui è troppo forte, forte a tal punto da non riuscire a distaccarmi dal terreno santo ricoperto da un cielo stellato, ricolmo di luce e di giubilo per il coro angelico degli Angeli che cantano la Vostra gloria, o Signore. Già i miei fratelli vi adorarono, già molto si intrattennero davanti a quella mangiatoia così povera ma così colma di divin trionfo.
Inesauribili sono le vostre grandezze, allorché vorrei essere degno di amarvi e adorarvi anche io nel modo più degno, a misura dell’infinita maestà che rappresentate in mezzo a quel bue e a quell’asinello. Pastor di nostri giorni sono, indegno e misero rispetto a quelli umili che si prostrarono nella Santa Notte; non tanto pastore di pascoli, ma pastore in quanto vagante in un mondo che sento sempre più distante da Voi, macabro e lontano anni luce da quella soavità che calcava i monti e le piane dei giorni in cui vi faceste uomo discendendo dal Cielo per noi.
Ci è data cultura, informazione…eppure siamo sempre da meno rispetto all’ignoranza di quegli umili pastori: perché è vero che abbiamo depauperato la nostra fede, quella fede che è veramente “il fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”, così come la concepirono quei beati pastori che ricevettero l’annunzio dell’Angelo e prontamente mollarono tutto per accorrere al cospetto del Re. Le Fede operò in loro questo miracolo con l’adesione rapida e diretta al Mistero celato in Bethlehem.
“Quem vidistis pastores? Dicite, annuntiate nobis, in terris quis apparuit?”. A loro soli per incanto si poté chiedere notizie, giacché costoro, a rispetto di quelli che non credono, dei piccoli uomini del piccolo e becero mondo che affermano il minimo del minimo e coltivano la cultura delle ombre, stanno in una posizione di imponente privilegio distanziandosi tanto quanto l’intelligenza si contrappone all’imbecillità e lo spirito s’impernia al di sopra della carne. Il Salvatore piovuto dalle nubi con Misericordia e Giustizia ha deciso di confondere i potenti, deponendoli dai loro troni per innalzare gli umili. Orbene infatti, coloro che sono considerati “geniali” dall’uomo moderno si trovano di gran lunga inferiori al più umile dei credenti perché i primi gaudono nell’ipertrofizzazione del nulla, facendo del nulla più assoluto il tutto più irresoluto, mentre in realtà, i pastori che si affrettarono per giungere alla mangiatoia in forza della loro grande Fede negarono il nulla, il mondo, riaffermandolo e riponendolo in Dio, nella Causa Suprema che giaceva in fasce di tela. Ancora oggi vi è un’insana follia che si chiama ateismo, propagata da quelle pecore nere, smarrite, che scorgono l’effetto separandolo dalla causa.
Negano la regalità di un Re perché detestano di essere sudditi, ma al contempo figli di Colui che Re lo è non solo per diritto di natura ma anche per conquista, come mirabilmente insegna Pio XI in Quas primas. Riguardo alla prima è detto: “Egli ottiene la potestà su tutte le creature, non carpita con violenza, né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza; cioè il principato di Cristo si fonda su quella mirabile unione che è chiamata unione ipostatica. Dal che segue non solo che Cristo deve essere adorato dagli angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, gli Angeli e gli uomini devono essere soggetti ed obbedire. (…) Che cosa più soave e bella del pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore. Non a prezzo di oro e di argento siete stati riscattati, ma dal Sangue prezioso di Cristo ci ha ricomprati.”
Glorificare Gesù come nostro Re è il più degno fra i nostri compiti perché ci porta a riconoscere i suoi diritti sottoponendoci al soavissimo impero suo: quale onore più grande? Un regno di amore nel quale Cristo, dal presepe come dalla Croce, conquista i nostri cuori pagando un carissimo prezzo nonostante fosse per natura già padrone assoluto di tutte le cose create. Con una dolce violenza Egli conquista i regni, attrae i popoli, le genti, e governa su tutti i cuori protesi verso il suo Amore, Rex et centrum omnium cordium.
Mirate pastori, mirate la quantità dei miracoli e dei prodigi scaturiti dal seno virgineo della Madre di Dio, sciogliete i vostri attaccamenti al mondo dinanzi al riflesso del peccato che ha reso l’uomo reo: Dio nasce per liberare da questo giogo il reo di colpa. Dio discende per provvedere alla caduta dell’uomo! Cadesti miseramente, o uomo, e Dio misericordiosamente si abbassò su di te; per la superbia cadesti uomo reo, ma subito accorse Dio discendendo con la Grazia. Le leggi della natura nell’uomo vengono stravolte, insegna sant’Agostino: Dio nasce; una Vergine partorisce senza concorso umano; la Parola di Dio rende madre una donna che non conosce uomo. Essa diviene insieme non solo madre ma anche vergine, e pur essendo madre rimane intatta; vergine con figlio, eppur non conoscendo uomo. Intatta e sempre vergine, ma non infeconda. Quale sublime mistero ho grazia di ammirare, pastor vagabondo qual sono.
Profeta del Dio altissimo, Isaia, pronuncia di nuovo quelle parole così prorompenti che suonano ad inno di giubilo: “Sorgi, risplendi, o Gerusalemme, perché la tua luce è venuta, e le genti cammineranno alla tua luce e i re allo splendore che nascerà da te. Verranno tutti quei di Saba recando oro e incenso, ed annunziando le lodi del Signore”.
Vedo la vostra Epifania, o Signore, la vostra eccelsa Teofania, e quest’oggi la vedo mirabilmente realizzata nella Manifestazione al mondo quale Dio, Re e Signore. La Stella prodigiosa apparsa in Oriente già conferma la vostra divinità, ma ancor più oggi, come non mai, la Santa Sposa rivestita di luce e abito solenne illustra di scorcio altri due segni della vostra assoluta Deità: l’acqua che tramutaste in vino a Cana di Galilea e il Battesimo vostro avvenuto nel Giordano. “Tribus miráculis ornátum diem sanctum colìmus” canta l’Antifona del Magnificat, miracoli che, racchiusi perlopiù insieme, dispongono l’anima ad adorare il Re Bambino nel Presepe.
Lo sguardo si insidia verso i Re d’Oriente che vengono – Magi vidéntes stellam – portando in mano i preziosi doni e insegnando a noi, poveri pastori dell’oggi incerto, quale debba essere la condotta di un’anima nobile. Essi non hanno dubitato, ma veduta la stella non hanno esitato a partire – alla stregua degli umili pastori – nemmeno davanti alla lunghezza del viaggio. Con ancorata Fede ed incrollabile regalità hanno risposto alla prontezza dei loro animi partendo alla volta di un’adorazione sublime.
Traviato ed ingrato fu il mio cammino Signore, siccome Voi molte volte faceste apparire in me la stella ed io la rifiutai. Stella intima, chiara, netta ispirazione di Dio che induce ad un regime di vita più staccato dal mondo e più unito a Voi, intimo quanto può essere unito con la Fede alla vostra maestà infinita.
Ma ora è veramente giunto il tempo, caro mio piccolo Re, di distrarmi dall’umile scena dei pastori attorno al presepe, per gettare sempre più la meditazione verso il fastoso corteggio dei Magi d’Oriente, giunti alle porte della mangiatoia e rappresentanti di tutti i re della terra, venuti a rendere omaggio con i sacri doni.
Quanto a noi, pastori vaganti in un mondo annebbiato e dimentico di Voi, concedeteci almeno di diventare poveri pastori. Ci consoliamo ancora con il Profeta di Dio, Isaia, memori di quanto la vostra Parola per mezzo di lui ci rivelò: “Rallegratevi cielo e terra. Dio ha consolato il suo popolo e avrà misericordia dei suoi poveri“. Poveri vogliamo essere, perché del resto i poveri sono abbandonati solo a Dio, nessuno curandosi giammai di loro: ecco perché Signore dite nel Santo Vangelo che i poveri sono Beati. Il mondo così ragiona: se un amico è povero difficilmente ci si volge dalla sua parte, ma se invece egli è ricco più facilmente si stanzia l’accordo. Al povero si dice “Dio ti protegga”, e lo si congeda. Questa è la grandezza dei poveri o Signore, essi sono costantemente abbandonati a Voi, e ovunque giungano essi vi trovano, e Voi vi prendete cura di loro perché sempre a Voi sono affidati. Quale cosa dunque può essere di maggior vantaggio che essere povero, e veramente povero in spirito?
Con questo proposito e disposti in tale maniera seguiamo il corteo dei Magi, “E, come quelli coi loro tesori offrirono al Signore dei mistici doni – vien proclamato nell’odierno Officio Divino – così ancor noi sappiamo cavare dai nostri cuori dei doni degni di Dio”.