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Da La Stampa di giovedì 5 gennaio. [RS]

 

Dalla Silicon Valley alla Casa Bianca. Il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, sta meditando di scendere in politica? Il sospetto nasce dall’annuncio che ha fatto lui stesso, sul proprio social, di voler visitare tutti i 50 Stati americani nel 2017. Lo scopo è capire cosa non ha funzionato nella globalizzazione, e perché la tecnologia stia contribuendo a dividere le persone, dopo aver favorito per anni lo sviluppo e la crescita.

In altre parole, cosa ha consentito a Trump di vincere le presidenziali di novembre, e cosa bisognerebbe fare per impedire che ripeta il suo successo tra quattro anni.

Zuckerberg ha presentato questo progetto come una delle sue risoluzioni per il nuovo anno, cioè gli impegni che prende con se stesso, e in genere mantiene, come quello preso in passato di imparare il mandarino. Le speculazioni sul significato politico della sua iniziativa, però, abbondano, e in parte sono fomentate dal suo comportamento.

Qualche tempo fa, Mark ha fatto approvare al consiglio di amministrazione di Facebook una clausola che gli consentirebbe di conservare il controllo della compagnia, anche qualora prendesse un periodo sabbatico per lavorare in politica o al governo. Durante la campagna presidenziale non ha preso una posizione aperta, ma aveva tenuto un discorso in cui criticava chi voleva costruire muri, invece di ponti. Quindi, si era impegnato di persona in una campagna per favorire l’immigrazione, perché le aziende digitali hanno bisogno di attirare i migliori talenti da tutto il mondo, ma anche per ragioni di principio.

Dopo la vittoria di Trump, dapprima ha rifiutato le critiche sulle notizie false (fake news) pubblicate su Facebook, che avrebbero aiutato Donald durante la campagna elettorale, ma poi si è mobilitato per correggerle. Qualche settimana fa, poi, non è andato alla riunione che il presidente eletto ha tenuto con diversi leader della Silicon Valley, per siglare la pace postelettorale e lavorare insieme per il futuro del paese.

Nel frattempo, Mark ha anche rivelato di non essere più ateo. Ora ritiene che la religione abbia un ruolo importante nelle vite degli esseri umani, ed è rimasto molto colpito dal suo incontro con Papa Francesco. Quest’ultima è chiaramente una faccenda personale, ma lo mette più in linea con i politici tradizionali, considerando che nessun ateo è stato mai eletto alla Casa Bianca, e solo tre presidenti americani hanno evitato di rendere pubblica la loro fede e affiliazione religiosa.

Aldilà delle speculazioni, non c’è dubbio che la visione del mondo di Zuckerberg sia lontana da quella del nuovo capo della Casa Bianca, e non solo per la campagna che il fondatore di Facebook aveva lanciato per favorire l’immigrazione dei talenti negli Stati Uniti. Dall’utilità della globalizzazione, alla necessità di contrastare il riscaldamento globale, le posizioni sono assai differenti. Anche sul piano generazionale lo spazio è enorme, ma i millennials hanno votato poco. La comunità della Silicon Valley, poi, ha un approccio culturale complessivo distante da quello di Trump, e la California, cioè lo stato più ricco e avanzato degli Usa, sta emergendo come il baluardo della resistenza al presidente eletto.

Proprio ieri [mercoledì], ad esempio, si è saputo che i leader legislativi dello stato, interamente nelle mani dei democratici, hanno assunto come loro avvocato Eric Holder, già ministro della Giustizia nell’amministrazione di Obama. Lo hanno fatto perché si aspettano di dover combattere una battaglia ideologica e legale costante nei prossimi quattro anni contro Donald, dall’ambiente all’immigrazione, e quindi stanno già preparando le difese.

Alcuni analisti perciò sospettano che Zuckerberg, forte della popolarità offerta da Facebook, potrebbe cominciare a sognare la Casa Bianca per se stesso, o impegnarsi per cambiarne l’inquilino fra quattro anni. Il viaggio nei 50 Stati sarebbe l’inizio di un percorso politico, per capire la pancia dell’America. Nel 2016 questi sentimenti eccitati dalla diseguaglianza economica sono stati interpretati da Trump, e tra i democratici da Sanders, con una linea antiglobalista, protezionista e unilateralista, se non isolazionista. Il contrasto all’immigrazione illegale, e il muro lungo il confine col Messico, sono i temi che hanno attirato l’attenzione su Donald, con venature di razzismo. Zuckerberg per natura, formazione e storia personale, è agli antipodi di questa visione, che giudica fuori tempo. Quindi ora vuole capire perché ha vinto, e cosa va fatto per impedire che ci riesca ancora in futuro, rispondendo alle paure e le insoddisfazioni della gente.