di Luca Fumagalli
Che l’epoca vittoriana sia stata un periodo di sepolcri imbiancati, dove tutti si affrettavano a nascondere dietro una verniciatura perbenista malizie e perversioni private, è cosa nota. Il detto secondo il quale i panni sporchi si dovrebbero lavare tra le mura domestiche divenne nell’Inghilterra del XIX secolo una sorta di imperativo morale condiviso che, miracolosamente, resistette inossidabile per diversi decenni. Solo con le manifestazioni eccessive di dandy ed esteti, intorno agli anni ’90, iniziarono a mostrarsi i primi segnali di una crisi inevitabile che, autoalimentandosi senza alcuna fretta, culminò con le devastazioni del primo conflitto mondiale.
Per sfuggire alla noia, quando i giornali non riportavano alcuna notizia degna d’attenzione che non fosse la ridondante propaganda imperialista o i macabri particolari della cronaca nera, il pettegolezzo era l’unico antidoto. Capitava così che nei ricevimenti e nei café iniziavano a diffondersi maliziose insinuazioni, il più delle volte ingegnose bugie che con la verità avevano poco o nulla a che spartire. Del resto il grado di credibilità importava poco, ciò che contava era offrire in pasto al pubblico qualcosa con cui trastullarsi.
Una delle famiglie più in vista del tempo – e una delle più chiacchierate – era la famiglia Benson. Il patriarca, Edward White, era l’arcivescovo di Canterbury, il primate della chiesa nazionale, mentre la giovane consorte, Mary, era la sorella del rispettato filosofo e scienziato Henry Sidgwick. Vantando una posizione di primo piano nella società inglese, desiderosi solamente di compiacere Dio e la Regina, i Benson erano intimi di alcuni dei più importanti intellettuali e politici. Gladstone, più volte primo ministro, frequentava volentieri la casa di Edward e non esitò a definire Mary la donna più intelligente d’Europa.
Non meno eccezionali furono i loro figli: Arthur Christopher divenne rettore del Magdalen College di Cambridge e curò l’epistolario completo della Regina Vittoria; Edward Frederic fu scrittore di successo, ottenendo una discreta fama grazie alla fortunata serie di “Mapp e Lucia”; Margaret, la sorella, fu appassionata egittologa, tra le prime donne ammesse all’università; infine Robert Hugh, dopo la conversione al cattolicesimo, venne ordinato sacerdote e guadagnò l’attenzione del pubblico dei lettori con i suoi romanzi a carattere apologetico, il più famoso dei quali, Il Padrone del mondo, rimane un bestseller della narrativa cattolica. Nessuno di loro si sposò, né ebbe figli.
Quest’ultimo particolare fu la miccia che innescò la bomba. Una tale eccezionalità, ancora più accentuata in una società protestante che concepiva il matrimonio come naturale tappa esistenziale (perfino per il clero), diede subito adito a una valanga di indiscrezioni, rese verosimili dalle conclamate eccentricità caratteriali dei Benson. I pettegolezzi su supposte inclinazioni omofile non risparmiarono nemmeno Mary, accusata dopo la morte del marito di avere avuto una relazione con l’amica Lucy Tait, divenuta da poco sua coinquilina.
In verità negli scritti di Edward Frederic e Arthur è possibile cogliere numerose conferme della loro omosessualità. Arthur, più cauto, trattava la questione con una certa reticenza, disgustato dagli eccessi di cui era testimone al college; Frederic era invece più esplicito, pur non superando mai i limiti consentiti dal pudore vittoriano. Se è vero che anche i diari della loro madre abbondavano di dediche affettuose rivolte a varie donne e che Margaret era gelosissima del rapporto di Mary con la Tait, tuttavia non si conoscono relazioni in cui i membri della famiglia Benson furono sicuramente coinvolti. Le loro memorie, che occupano decine e decine di volumi, frutto di una singolare “grafomania” che li accomunava, non recano traccia di alcunché di fattuale, ma sono solo impressioni, ipotesi e fantasticherie.
Della presunta omosessualità di Robert Hugh non ne parlano né i suoi conoscenti né il gesuita C. C. Martindale, autore nel 1916 di una corposa biografia in due volumi commissionatagli direttamente dai famigliari dell’appena scomparso sacerdote. Martindale fu l’unico che ebbe l’opportunità di visionare l’epistolario di Hugh: dato che gli fu garantito pieno accesso al materiale è verosimile pensare che non vi fosse in esso nulla di spiacevole o compromettente.
Nemmeno l’amicizia di Robert Hugh con il discusso Frederick Rolfe, un oscuro letterato che si faceva chiamare Baron Corvo, autorizza ad avallare alcunché.
Rimasto stregato dal romanzo Adriano VII, il sacerdote aveva proposto a Corvo – che era omosessuale – di lavorare a quattro mani a un’opera dedicata a Thomas Becket. La collaborazione si risolse però in un clamoroso insuccesso e l’amicizia tra i due non sopravvisse a questa prova del fuoco. Va notato che Rolfe, dal canto suo, cercava nell’amicizia solamente una scorciatoia per riabilitarsi presso i cattolici e per coronare il suo desiderio di essere ordinato sacerdote.
Perché la spinosa questione fosse affrontata esplicitamente fu necessario attendere la biografia firmata da Janet Grayson e datata 1998. La studiosa americana si schierò con fermezza contro ogni insinuazione: «Hugh era celibe, e sebbene preferisse sempre la compagnia degli uomini ed evitasse le donne, non era omosessuale, o interessato al sesso in alcun modo». Sulla stessa scia Goldhill, autore dell’ultimo saggio in ordine di tempo dedicato ai Benson (A Very Queer Family Indeed, 2016), secondo il quale la non omosessualità del sacerdote è dimostrata, tra l’altro, da suoi stessi romanzi, da cui è bandito ogni riferimento alla sfera sessuale, reputata scandalosa e sconveniente.
Purtroppo di quello che accade dietro una porta chiusa non vi è alcuna certezza, e anche spiare dal buco della serratura, oltre a essere moralmente sconveniente, può tutt’al più fornire immagini parziali, sfuocate o fraintendibili. Se a questo si aggiungono le calunnie diffuse a bella posta dai protestanti – che volevano che anche Newman fosse omosessuale – è facile cadere in fallo.
Robert Hugh Benson, al di là delle malelingue, merita dunque di essere ricordato come un grande sacerdote, un formidabile scrittore e un predicatore d’eccezione. Si trattò di un uomo forse incline a certe compiacenze mondane, come la smaniosa ricerca di approvazione e l’amore per il bello artistico, ma non v’è dubbio che visse la sua esistenza senza mai distogliere lo sguardo dal Cristo che tanto amò e per il quale aveva imboccato, sdegnando il mondo, la tortuosa via che porta a Roma.
Edward Frederic fu scrittore di successo, ottenendo una discreta fama grazie alla fortunata serie di “Mapp e Lucia”.
Per caso è anche l’autore di una serie di racconti sul tema “Fantasmi”?
Una antologia di tali racconti fu pubblicata anni fa in Italia da Fanucci.
Caro Nicòla, sì, è proprio lui (a dire il vero anche Hugh scrisse un paio di titoli sul tema).
Caro Alessio hai perfettamente ragione. Infatti nel mio articolo non vi è traccia di scandalo, non mi sono stracciato le vesti o puntato rabbiosamente l’indice contro le malelingue. Semplicemente ho voluto mettere i puntini sulle “i”. Del resto anche Nostro Signore, che volentieri stava con peccatori e pubblicani, fu vittima di calunnie.
Grazie a tutti e due per i commenti, interessanti e puntuali. Buona giornata.
Grazie a te, carissimo Luca, ineccepibile come sempre.