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di Gian Micalessin

 

Gli unici a non averlo capito, nonostante gli attentati di Parigi e le altre atrocità del terrore islamista, sono i francesi. Ieri sono stati gli unici a concedere al ministro degli esteri di Ankara Mevlut Cavusoglu, già al bando in Germania e Olanda, di parlare alla comunità turca in Francia. Così l’inviato di Erdogan ha potuto approfittarne per reiterare le sguaiate accuse lanciate a Olanda e a Germania. Ma se la Francia guidata da un Hollande senza futuro continua imperterrita il suo cammino di «sottomissione» il resto dell’Europa sembra svegliarsi, compresa la Danimarca, che rinvia la visita del premier turco. Sembra comprendere che far parlare nelle piazze gli emissari di Erdogan equivale ad aprire le porte al nemico, a portarsi in casa chi vuole minare la civiltà e la stabilità utilizzando i migranti come quinta colonna.

Anche perché il referendum del 16 aprile non è una semplice riforma presidenziale. Rappresenta il definitivo colpo di spugna alla Costituzione laica del 1923 con cui Mustafà Kemal Ataturk abolì il califfato, mise le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, laicizzò il Paese, riconobbe la parità dei sessi e proibì l’uso pubblico del velo. Vincendo quel referendum Erdogan potrà ignorare il Parlamento e regnare alla stregua dei sultani ottomani, che ha più volte annunciato di voler restaurare. Potrà, insomma, calare la maschera indossata per anni nel tentativo di farsi ammettere alla corte di Bruxelles. Certo la farsa di un Erdogan che con una mano blandiva l’Unione e con l’altra flirtava con l’Isis, sbatteva in galera gli oppositori e c’inondava di profughi per poi ricattarci a suon di miliardi era evidente. La riforma presidenziale rappresenta però il definitivo passaggio del guado. Erdogan ammette l’ambizione di trasformarsi in un nuovo Sultano, ammette il ritorno all’originale identità islamista, intollerante e integralista che nel ’98 gli costò la poltrona di sindaco di Istanbul e lo portò in galera.

Certo l’Europa ci ha messo un po’ per capirlo. E non lo fa certo perché spronata dai propri ideali. Né per difendere quella sovranità che Erdogan pretende di tornare a calpestare. Se il premier olandese Rune ha trovato il coraggio di mettere alla porta Cavusoglu e la sua collega velata Sayan Kaya bisogna ringraziare Geert Wilders, il candidato della destra euroscettica e anti islamista che alle elezioni di mercoledì minaccia di conquistare la maggioranza.

E lo stesso vale per Angela Merkel. Solo lo spettro del voto d’autunno e l’avanzata degli euroscettici dell’Afd pronti a rubarle milioni di voti regalando il successo al rivale socialdemocratico Martin Schulz la spingono a contrapporsi all’ex «amico» Erdogan a cui promise 6 miliardi a nome di tutta l’Europa pur di fargli richiudere il rubinetto dei migranti.

Ma rispetto a quanto avviene ora quelle erano bazzecole. Con la scusa della propaganda elettorale il Sultano sta tentando di trasformare i migranti turchi a cui l’Europa ha garantito lavoro e benessere in cavalli di Troia della nuova Turchia neo-ottomana e islamista. Siamo insomma alle premesse di un’autentica guerra. La guerra subdola e paradossale di un alleato Nato che non potendo più entrare in Europa punta a influenzarla e sottometterla mutandone la composizione etnica e religiosa e minandone dall’interno la stabilità politica e sociale.

 

 

Fonte: Il Giornale (ed. odierna)