di Cristiano Lugli
Nel tempo che scorre lento, in seno al prosieguo della Quaresima, abbiamo visto cosa suggerisce la spiritualità carmelitana dettataci da San Giovanni della Croce. Questa purificazione interiore, che parte da un assetto esteriore, si prefigge di liberarci da quegli attaccamenti che rendono incapaci di tendere a Dio liberamente, senza essere incatenati in piccole o grandi distrazioni che ci precludono questo volo libero, diretto verso i Beni celesti, i quali non conoscono caducità rispetto a quelli terreni, destinati a tornare polvere insieme a noi.
Questo si è affrontato nelle precedenti parti, ed oggi andremo a rinforzare ancor di più quanto detto ponendo l’attenzione su ciò che San Giovanni definisce, riassumendo, “essenza del distacco”, ovverosia comprendere in cosa consiste quel totale distacco necessario per raggiungere la piena unione con Dio.
In San Giovanni della Croce è presente in modo limpido e corrispondente il massimo precetto a cui ci invita Gesù: “Ama il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze e con tutta l’intelligenza” (Lc 10,27), certo che se il cuore è impegnato con affetti disordinati rispondenti al proprio Io o alle creature, non potrà amare Dio con tutte le proprie forze giacché queste saranno divise tra Dio e l’io, fra Dio e le creature, opponendosi proprio a quanto precisato dal Santo carmelitano: “L’anima non ha che una sola volontà, e questa, se s’impiglia nell’affetto [disordinato] di qualche cosa, non resta libera, sola e pura come è necessario per la divina trasformazione”.
Il presupposto ineludibile per adempiere al massimo precetto della carità che presuppone anzitutto l’amore per Dio, richiede a tutti i cristiani di rinunciare per via radicale ad ogni affetto che non si conformi alla volontà divina, che sia in disaccordo con l’amore di Dio e per Dio soltanto. Senza distacco totale non avrebbe senso il precetto del Cristo, il primo essendo la logica conseguenza, il mezzo fondamentale per adempiere perfettamente l’esortazione del Maestro.
Tutta l’insistenza di San Giovanni sta proprio nel far comprendere che l’anima avente la volontà di possedere Dio deve spogliarsi di tutto ciò che non è Lui, rinunciando a qualsivoglia soddisfazione, a qualsivoglia oggetto che distragga da questo cammino di perfezione il quale giunge alla mistica unione, appunto fra l’anima e Dio.
“Per assaporare tutto – dice il mistico spagnolo –, non aver gusto in cosa alcuna. Per possedere tutto, non possedere nulla di nulla. Quando ti fermi in qualche cosa, lasci di slanciarti al tutto”. Inutile ribadire che qualsiasi affetto disordinato rallenti o ancora peggio fermi l’ascesa dell’anima verso Dio, là vi è qualcosa su cui lavorare assiduamente perché il nulla delle creature impedisce di toccare il tutto che è Dio.
Per distacco totale non si deve poi per forza intendere un distacco propriamente materiale, che ci separi da qualcosa di palpabile, poiché del resto ciò non sarebbe mai fino in fondo possibile da raggiungere in modo assoluto. Persino il monaco che sta nel chiostro piuttosto che nell’eremo non può sfuggire radicalmente al contatto con il prossimo, né tanto meno alle cose indispensabili per la vita terrena. Ciò sarebbe poi solo il punto secondo visto che, nel proprio bagaglio personale, ci si porta sempre appresso la propria persona, il proprio Io e tutto ciò che da questi elementi ne scaturisce; questo sì, è il punto di partenza: staccarsi dalla propria volontà, lasciare fuori dal chiostro dell’anima, dall’eremo del cuore tutto ciò che riempie inutilmente di affetti umani. Deve, di fatto, essere un distacco di natura spirituale più che materiale.
Chiamasi dottrina del distacco totale quella che non esige un abbandono materiale di ogni cosa da parte di tutti, ma che ognuno, secondo il proprio stato, sappia mantenere il cuore sgombero da ogni attacco, avendo alla mente il prezioso quanto puntale monito di San Giovanni: “Per entrare nell’unione divina, devono morire tutti gli affetti che vivono nell’anima, pochi o molti piccoli o grandi che siano, e l’anima deve essere distaccata come se ella non fosse per loro, né essi per lei”.
Un simile distacco affettivo però, avrà certamente bisogno – anche se come detto non rientra nell’essenzialità – della pratica almeno in una certa misura del distacco effettivo, e cioè materiale, in grado di aiutare l’anima a sottomettere il corpo, fonte principale di inciampo e di compiacimento negli affetti alle creature. Difficile pensare che se non saremo in grado di rinunciare a rapporti superflui con le creature, di comodo circostante, potremo arrivare ad un vero distacco interiore, imprescindibile per la crescita spirituale.
Questa regola vale per tutti e, come dicevamo, ognuno dovrà applicare le condizioni richieste per crescere a seconda del proprio stato. Così d’altronde diceva l’Apostolo delle Genti: “Anche quelli che hanno moglie siano come non l’avessero (…) e quelli che comprano, come non dovessero conservare gli acquisti fatti, e quelli che usano di questo mondo, come quelli che non ne usano” (I Cor. 7, 29-30).
In conclusione, poco conta che si viva nel mondo o sull’altura di un monte come eremita, che si abbia tanto o poco di possessi, quello che vale è tendere sempre ed in ogni istante all’essenza del distacco, con il cuore e con lo spirito.
Ci aiuti San Giovanni della Croce ad avviarci con sempre maggior costanza verso questa ascesa di rinunce materiali e spirituali , mezzo indispensabile per giungere alla piena e divina unione con Dio, morendo al mondo prima di morire nel mondo per godere di Dio soltanto.
O Signore, fateCi ben comprendere che “il vero Amore consiste nello spogliarsi di tutto ciò che Voi non siete” (S. G. della Croce).