di Massimo Micaletti
Ora che potete vedere gli occhi dolcissimi di Marwa iniziate a farvi qualche domanda?
Bene, ma la domanda delle domande è: com’è possibile tutto questo? Com’è possibile che, contro il parere dei genitori, dei medici (con la “m” piccolissima) decidano di sopprimere una bimba indifesa e malata, proprio perché malata? La risposta potrebbe essere banale: perché così finisce di soffrire, ammesso che Marwa stia soffrendo.
Prendiamone atto, allora: la morte viene usata come terapia del dolore, esattamente come – all’altro capo della vita – l’aborto è mezzo di controllo delle nascite, in primis dei malati, dei “difettosi”. Se dopo cinquemila anni di storia della medicina vogliamo davvero assestarci su queste posizioni, allora non chiamiamola eutanasia: questa non è dolce morte, questa è necroterapia, la somministrazione della morte come efficace rimedio alla sofferenza.
Se però la morte è una forma di cura, allora è possibile, anzi doveroso somministrarla ai più piccoli e deboli: ai malati mentali, ai bambini, ai depressi, insomma a chi soffre… o a chi ci fa soffrire. Se i medici devono curare, devono curare tutti; e se devono curare uccidendo, devono poter uccidere tutti, anche contro il parere di chi a quelle persone vuol bene. Esattamente come un genitore non può negare che il figlio benefici di terapie che possono sollevarlo dal dolore, così nessun genitore può avere il diritto di negare ai medici – che, loro sì, sanno come togliere le sofferenze – di scegliere per il bene del bambino, anche quando il bene è la soppressione.
Come al solito, in questa Malabolgia il diritto a rovescio soccorre le peggiori intenzioni, e veniamo alle d.a.t., che sono il nome presentabile dell’eutanasia.
Il fulcro, la leva delle d.a.t. è l’equivalenza tra il consenso ed il dissenso all’atto medico: se io posso dire di sì alla cura, devo anche poter dire di no. Sembra che fili, ma c’è un piccolo problema: se io dico sì alla terapia, tutelo la mia salute e la mia vita, a volte anche attraverso lesioni fisiche (pensiamo ad un’amputazione o all’asportazione di parte di un organo per un tumore); se invece dico no, attento all’una e all’altra. Non sono quindi due dichiarazioni di volontà equivalenti, perché l’assenso – di norma – mi giova, il dissenso invece mi pregiudica e mi pregiudica in due beni fondamentali (vita e salute) cui io non posso rinunciare, almeno finché la Costituzione sarà scritta come è scritta.
Dice: e l’art. 32? L’art. 32 della Costituzione, che tutela appunto il diritto alla salute, dispone al comma secondo: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Ebbene, questa norma non c’entra nulla – nulla – coll’eutanasia o colle d.a.t.: il comma secondo dell’art. 32 serve esclusivamente a proteggere il malato da quei trattamenti medici che possono fargli del male perché tesi non a curarlo ma a compiere esperimenti o peggio alla tortura (non dimentichiamo che la nostra costituzione è stata scritta dopo le Seconda Guerra mondiale). Quindi l’art. 32 ammette il rifiuto dei trattamenti sanitari che vanno contro la nostra salute, non di quelli che la tutelano. Peraltro, come ben si comprende se si legge il testo per intero, in certi casi si può persino essere obbligati alle terapie: pensiamo al t.s.o. o alla quarantena.
Esaurita la digressione giuridica, torniamo alla necroterapia.
Se per le d.a.t. e per i sostenitori dell’eutanasia la morte è la forma più avanzata di terapia del dolore, allora, amici miei, nessuno è al sicuro: Marwa a parte, è sufficiente scorrere i dati relativi agli interventi eutanasici o ai testamenti biologici nei Paesi ove questi sono praticati, per rendesi conto di ciò che ci aspetta. Dichiarazioni anticipate di trattamento ed eutanasia, a questi effetti, pari sono ed hanno un bel dire quei politici senza vergogna che latrano che il disegno di legge in discussione non apre alla soppressione dell’individuo malato. Così come il consenso all’atto medico per l’incapace (bambino, ritardato mentale, persona in stato vegetativo persistente) può essere espresso da chi ne sia responsabile (padre, familiare, tutore), parimenti lo sarà il dissenso, con tutto ciò che ne consegue.
Dite: e la libertà? La libertà con la necroterapia non c’entra nulla. La necroterapia ve la somministrano in base a quanto fate stare male quelli che vi dovrebbero curare e in base a quanto riescono a capire di quello che avevate scritto quando stavate bene, sempre ammesso che abbiate scritto qualcosa e non vi siate limitati a firmare un foglietto a caratteri piccoli mentre entravate in sala operatoria. Non ve la date da voi, ve la dà chi ritiene che la vostra vita valga ormai troppo poco e non potete far nulla per fargli cambiare idea. Se in quel momento avete al vostro fianco qualcuno che sa come vivere la vostra sofferenza, niente necroterapia; se siete un numero in un reparto di geriatria, qualche foglio firmato, un’iniezione o lo stop a nutrizione e idratazione e via. In mezzo, una marea di possibilità: Eluana Englaro, Marwa, Welby, l’Aktion T4, Cappato, la Svizzera. L’importante è che la necroterapia sia legalizzata e finanziata, esattamente come è stato per l’aborto: dopodiché il consenso alla vostra morte non sarà il vostro, sarà di chi ritiene che sia il momento, di chi mette sulla vostra faccia il timbro “senza speranza” e agisce di conseguenza.