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Articolo pubblicato il 28 febbraio 1993 sul n. 4 – anno XIX  di “Sì sì no no”, notissimo quindicinale antimodernista [RS]

Quelli che pensano di aver vinto –
Urs Von Balthasar, il padre dell’apostasia ecumenica

Altro esponente della «nuova teologia» oggi esaltato quasi «pietra angolare della Chiesa» (J. Meinvielle) è l’ex gesuita svizzero Hans Urs von Balthasar.

Se Maurice Blondel incarna il tipo del modernista filosofo ed apologista, se Henri de Lubac è il tipo del modernista-teologo, Urs von Balthasar incarna l’aspetto pseudomistico ed ecumenico del modernismo.

Abbiamo tra le mani Hans Urs von Balthasar— Figura e Opera (ed. Piemme) a cura di Karl Lehmann e Walter Kasper, membri emergenti della «nouvelle théologie». Il libro, «scritto — leggiamo in copertina — dai suoi amici e discepoli» [Henrici, Haas, Lustiger, Roten, Greiner, Treitler, Loaser, Antonio Sicari, Ildefonso Murillo, Dumont, O’Donnel, Guido Sommavilla, Rino Fisichella, Max Schonborn e… Ratzinger] «intende far riscoprire tutta l’importanza e il valore della sua [di von Balthasar] opera e della sua persona». Scopriamola anche noi. E’ sommamente importante.

«Brillante, ma vuoto»

Fu amante fin dalla prima giovinezza della musica e, al pari di Montini, della letteratura più che degli studi filosofici e teologici (ivi pp. 29 ss.). Solo la filosofia «mistica» di Plotino ebbe il potere di «affascinarlo». Al contrario, la filosofia e la teologia scolastica suscitarono la sua «rabbiosa» avversione: «Tutto quanto lo studio durante gli anni di formazione nell’Ordine dei gesuiti fu un’accanita lotta con la sconsolatezza della teologia, con ciò che gli uomini avevano fatto della gloria della Rivelazione; io non potevo sopportare questa figura della Parola di Dio, avrei voluto menare colpi a destra e a manca con la furia di un Sansone, avrei voluto con la sua forza abbattere il tempio e lì sotto seppellire me stesso. Ma questo era (sebbene la missione si animasse) voler imporre i miei piani, era un vivere a partire dalla mia infinita indignazione perché le cose stavano così. Tutto questo io non lo dicevo quasi a nessuno. Przywara capiva tutto, anche senza parole, per il resto non c’era nessuno che avrebbe potuto capire. Io scrissi la “Apokalypse” con quell’accanimento che si prefigge di buttare giù un mondo con la violenza e ricostruirlo dalle fondamenta, costi quel che costi» (ivi p. 35, citato dall’introduzione a Erde und Himmel). La «missione» del futuro demolitore si profilava. Per il momento il risultato fu che i suoi studi nella Compagnia di Gesù si conclusero solo «con la doppia licenza ecclesiastica in filosofia e teologia; un dottorato in queste materie Balthasar non lo ha mai ottenuto» (ivi pp. 33-34). In compenso, però, il giovane von Balthasar aveva appreso a correre anche lui dietro ai sistemi e alle tendenze irrequiete del pensiero moderno, incoraggiato in questo dai «grandi animatori dell epoca dei suoi studi» (Figura e Opere cit. p. 35): Erich Przywara nello studentato di Pullach – Monaco, che lo «costrinse» «a confrontare Agostino e Tommaso con Hegel, con Scheler, con Heidegger» (U. von Balthasar, Prufet alles p. 9), e Henri de Lubac nello studentato di Lione – Fourvière. «Per fortuna e per consolazione — scrive il von Balthasar — Henri de Lubac abitava in casa insieme a noi. Fu lui che, oltre al materiale di studio scolastico, ci rinviò ai Padri della Chiesa e con magnanimità prestava a noi tutti [Balthasar, Danielou e Bouillard] i suoi propri abbozzi ed estratti» (ibidem). Fu così che il von Balthasar, «durante le lezioni, con le orecchie tappate di bambagia, si lesse tutto quanto Agostino» ed apprese dagli appunti magnanimamente prestati dal de Lubac a contrapporre artificiosamente la patristica alla scolastica, il cui linguaggio rigoroso non permetteva i giochi interpretativi ai quali i «nuovi teologi» si abbandonavano con i testi dei Padri della Chiesa (v. Figura e Opera cit. p. 36). Contemporaneamente il von Balthasar faceva conoscenza con la poesia francese: Peguy, Bernanos, Claudel, alla cui traduzione lavorerà per venticinque anni.

Al termine dei suoi studi, colui che, a detta del de Lubac, sarebbe «l’uomo più dotto del nostro secolo» (altro sistema dei modernisti è il crearsi reciprocamente un alone di inesistente grandezza: v. San Pio X, Pascendi), porta con sé solo un’infarinatura, tanto vasta quanto superficiale in campi dilettantistici di propria scelta. Il padre Labourdette O. P. con una «stoccata», che lascerà il segno, definirà uno dei primi articoli del von Balthasar «una pagina brillante, ma vuota» (ivi pp. 47- 48). Con questo «difetto d’origine», il von Balthasar era pronto ad ingrossare il numero degli ecclesiastici modernisti, «i quali, fingendo amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, anzi tutti penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si danno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima» (San Pio X, Pascendi). Privo di una salda formazione filosofico-teologica, cultore appassionato di poesia e di musica, il von Balthasar miscelerà con incredibile superficialità teologia e letteratura e crederà di poter «creare» una «sua» teologia con la stessa inventiva con la quale un artista crea la sua opera d’arte: «Solo assai più tardi — egli scrive — quando il lampo della vocazione si trovava già da anni dietro di me ed ebbi compiuti gli studi filosofici a Pullach (accompagnato da lontano da Erich Przywara) e i quattro anni di teologia a Lione (ispirato da Henri de Lubac) con i miei condiscepoli Danielou, Varillon, Bouillard e molti altri, io compresi quale grande aiuto per la concezione della mia teologia doveva diventare la conoscenza di Goethe, Holderlin, Nietzsche, Hofmannstahl e soprattutto dei padri della Chiesa, ai quali mi aveva indirizzato de Lubac. Il postulato fondamentale della mia opera Gloria fu la capacità di vedere una “Gestalt” [forma complessiva] nella sua coerente totalità: lo sguardo goethiano doveva venir applicato al fenomeno [sic!] di Gesù e alla convergenza delle teologie neotestamentarie» (Il nostro compito, Jaca Book p. 29).

«Il conquistatore di (mal) convertiti»

Il 26 luglio 1936 il von Balthasar viene ordinato sacerdote nella chiesa di San Michele a Monaco di Baviera. Nel 1939 fa ancora una volta gli esercizi spirituali di trenta giorni, ma con il padre Steger, che «era nell’ambito tedesco uno dei primi ad intendere la spiritualità ignaziana non tanto asceticamente quanto piuttosto misticamente» (ivi p. 37). Questa propensione per la mistica, già manifestatasi a contatto con la filosofia di Plotino, si rivelerà quanto mai dannosa per il von Balthasar «scevro di ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere». Subito dopo lo troviamo cappellano degli studenti a Basilea, dove coltiva musica e poesia (questa volta tedesca). Organizza anche corsi per gli studenti e vi chiama, tra gli altri oratori, Karl Rahner, Congar e de Lubac; al termine di quelle serate, «egli sedeva al pianoforte e — a memoria — suonava il Don Giovanni di Mozart» (ivi pp. 39 ss.).

A Basilea incontra il protestante Karl Barth, che «divenne [dopo il Przywara e il de Lubac] il terzo grande ispiratore della teologia di Balthasar». La teoria della predestinazione di Barth — egli scrive — «mi attirava potentemente e costantemente» (Unser Auftrag p. 85), ma l’influsso più decisivo lo esercitò il «radicale cristocentrismo di Barth» (Figura e Opera cit. p. 43): di qui l’idea di un ecumenismo che raduni tutti intorno ad un Cristo separato dalla sua inseparabile Chiesa, che è in fin dei conti il «solus Christus» di Lutero, sia pure filtrato, come vedremo, attraverso Hegel. Il Vaticano II era, però, ancora lontano e perciò «l’incontro con i protestanti avveniva in quegli anni in Svizzera quasi inevitabilmente [sic!] sotto la prospettiva della conversione» (Henrici S. J. ivi p. 44). Fu così che nel 1940 il von Balthasar battezzò (suo malgrado?) il sinistrorso Beguin, che nel 1950 succederà al filocomunista Mounier nella direzione della rivista Esprit (e L’Osservatore Romano – 3 marzo 1979, p. 3 – scriverà che Beguin ed Esprit hanno preparato il Vaticano II). Fatto ancora più importante, il von Balthasar battezzò la «convertita» Adrienne von Speyr, medico, sposata in seconde nozze con il prof. Kaegi, «donna piena di humour e di spirito, dalla lingua mordace, ben vista in società» (ivi p. 45). Il von Balthasar ebbe ben presto in Basilea fama di «conquistatore di convertiti» (op. cit p. 44). A noi sembrerebbe più esatto dire di malconvertiti. Del Beguin abbiamo accennato. Della von Speyr ci tocca dire più ampiamente, dato che come de Lubac fu in «simbiosi intellettuale» col Blondel, il von Balthasar fu in «simbiosi teologica e psicologica» con Adrienne von Speyr (op. cit p. 147).

Il tandem con Adrienne

«Subito dopo la conversione [di Adrienne] cominciarono a sorgere voci di miracoli, che manifestamente avvenivano nei colloqui e nelle visite a lei, e si mormorava di visioni che ella avrebbe avuto». Sono «chiacchierati» anche i suoi «regolari e lunghi incontri con il suo direttore spirituale [von Balthasar]» (ivi). Per pubblicare gli scritti «mistici» di Adrienne il von Balthasar fonda l’editrice «Johannes», insieme con Adrienne fonda l’istituto secolare «Johannes» e sempre per Adrienne, dato che i Superiori non vedevano chiaro nel «misticismo» della von Speyr, il von Balthasar, alla vigilia della professione solenne, esce dalla Compagnia di Gesù, scegliendo «l’obbedienza immediata» a Dio.

Da allora il von Balthasar lavorerà all’ombra di Adrienne, ospite nella casa del marito di lei, occupandosi di letteratura, teologia «estetica» (ed estetizzante), dettati «mistici» di lei, finché nel 1960 la mobilitazione neomodernistica per il Concilio lo impegnerà nella «febbrile» preparazione del Vaticano II: «Radio, televisione: quanta fretta e richieste di scrivere a non finire!» (ivi p. 59).

«In Dio non è possibile contraddizione»

«Questo non è il luogo — leggiamo a p. 51 — per sottoporre i carismi di Adrienne ad un esame teologico-critico». Ed invece sarebbe stato proprio il luogo e il caso, dato che lo stesso von Balthasar afferma: «La sua opera e la mia non sono separabili né psicologicamente né filologicamente. Sono le due metà di un tutto che ha al centro un ‘unica fondazione» (p. 60 cit. da Rechenschaft o, in italiano, Il filo di Arianna attraverso la mia opera) ed inizia «Il nostro compito» (Jaca Book) scrivendo: «Questo libro ha soprattutto lo scopo di impedire che dopo la mia morte venga fatto il tentativo di separare la mia opera da quella di Adrienne von Speyr» (p. 13). I nostri lettori ricorderanno la clamorosa testimonianza resa della due «governanti» italiane della von Speyr; testimonianza pubblicata nella scorsa estate da Avvenire e Il popolo di Pordenone (v. sì sì no no 15 ottobre 1992 p. 7: Infortuni estivi: H. Urs von Balthasar e Adrienne von Speyr). Qui, però, ne prescinderemo. Basta, infatti, come sarebbe dovuto bastare al von Balthasar, applicare i criteri che la Chiesa applica in siffatti casi per respingere come falso il «misticismo» di Adrienne. Lasceremo anche da parte la stranezza dei «carismi» di Adrienne, come le «stigmate» ricevute quando era ancora protestante, la «possibilità donata al suo confessore [von Balthasar] di “trasferire all’indietro” Adrienne in ogni sua età per percorrerne la biografia» (Il nostro compito, p. 13 nota 1), la verginità, a detta di lei, recuperata dopo due matrimoni e così via. Ci basterà, come sarebbe dovuto bastare al von Balthasar, applicare il criterio fondamentale per giudicare ogni pretesa «rivelazione» nella Chiesa: «Occorre ritenere come assolutamente false le rivelazioni che si oppongono al dogma o alla morale. In Dio non è possibile la contraddizione».

Alla luce di questo criterio fondamentale esaminiamo qui, tra i tanti, due punti che sono all’origine di due gravissime deviazioni conciliari e postconciliari:

  • la «teologia della sessualità» di Adrienne von Speyr
  • la sua concezione della Chiesa ovvero la «Catholica».

Ma per Adrienne e von Balthasar Dio può contraddirsi

Secondo la von Speyr o secondo il von Balthasar (siamo d’accordo col von Balthasar che è impossibile separarli), Adrienne avrebbe ricevuto dal Cielo il compito di «ripensare» il «valore positivo della corporeità [ovvero della sessualità] all’intemo della religione dell’incarnazione» (H. U. von Balthasar II nostro compito p. 25). Sennonché questo «valore positivo» è tanto «positivo» da annullare le… conseguenze del peccato originale e l’ammonimento dello Spirito Santo «chi ama il pericolo, perirà in esso». «Le ricette del mantenersi lontani, del non vedere, sono per quanto attiene alla sfera del corporeo, oggi esaurite» scrive Adrienne nel suo Diario (p. 1703; v. Il nostro compito p. 91). Il che è chiaramente contro il dogma del peccato originale e l’insegnamento tradizionale della Chiesa in campo morale.

Fedele alla sua «rivoluzione sessuale», Adrienne concepisce ed esprime il suo rapporto «spirituale» con il von Balthasar mediante le categorie più crude della sessualità. Così la genesi dell’istituto secolare «Johannes» «è descritta come un periodo di gravidanza, dove l’istituto è il bambino, Adrienne sua madre e Balthasar il padre» (Communio maggio-giugno 1989 p. 91). Ecco poi come «Ignazio» (che sarebbe Sant’Ignazio) spiega ad Adrienne che ha ricevuto le stimmate (da protestante) per von Balthasar: «sebbene [Adrienne e Balthasar] fossero vergini [Adrienne prodigiosamente a dispetto del «valore positivo» della sessualità], questo era un modo con cui la donna poteva essere segnata dall’uomo» (Communio maggio-giugno 1989 pp. 91 s. , che cita da Erde und Immel, l’opera postuma di Adrienne, II par. 1645). E affinché non ci siano dubbi sul linguaggio attribuito dalla «mistica» Adrienne a «Ignazio» si legga ancora quanto segue: «La fecondità spirituale dell’uomo sarà posta nella carne della donna, perché possa diventare fruttuosa. In questo senso, la fecondità di Hans Urs von Balthasar fu messa nelle stigmate che Adrienne aveva ricevuto per lui» (ivi sempre da E. u. 1,11, par. 680). E può bastare per domandarsi fondatamente se non siamo di fronte a un caso di sensualismo pseudo-mistico.

Qui, però, ci preme soprattutto indicare nell’«intelligenza del valore positivo della corporeità» da parte di Adrienne una delle cause, se non la causa determinante, dell’odierna esaltazione della sessualità, in auge purtroppo anche tra i religiosi dietro lo slogan dell’«integrazione affettiva». E il von Balthasar? Anche lui non ammetteva «che possa esser sminuito il significato del corpo maschile e femminile (e dunque del soggetto umano maschile e femminile) [di qui il «Cari fratelli e sorelle» e i discorsi sulla «mascolinità» e «femminilità» di Giovanni Paolo II!] proprio là dove si parla di una seria incarnazione del Figlio di Dio» (A. Sicari 0. C. D. Communio nov.-dic. 1991 p. 89). E nella sua concezione estetizzante della teologia, deplorava: «E dove è andato a finire l’eros nella teologia e il commentario al Cantico dei cantici [inteso come poemetto erotico, naturalmente], che fa parte del centro della teologia?» (Figura e Opera cit. p. 58 s.).

C’è, però, di peggio. Il von Balthasar sa benissimo che la «teologia mistica» della visionaria non quadra con la dottrina cattolica. «Nell’opera teologica complessiva di Adrienne — egli scrive — esistono parti singole che, avulse dal contesto, potrebbero risultare talvolta strane [e tali restano anche nel contesto]» (Il nostro compito p. 14). Nella Premessa, poi, ammette chiaramente che le opere di Adrienne sono «a tutta prima stupefacenti e forse disorientanti [sic!] per alcuni lettori» (ivi p. 9). Questo, però, nel von Balthasar non solleva dubbi sul carisma di Adrienne, ma sebbene sulla… dottrina cattolica! «Le cose — egli scrive — stanno spesso in modo che la teologia odierna non è (o non è ancora) [sic!] al punto di comprendere ciò che viene indicato [nelle visioni e nei dettati di Adrienne]» (ivi p. 16). Il che non può dirsi se non ammettendo che la dottrina cattolica possa evolversi in contraddizione con se stessa, dato che la «teologia mistica» di Adrienne non è oscura o, meglio, soltanto oscura ma è anche in antitesi con la teologia cattolica.

Purtroppo il von Balthasar non solo non applicava (forse perché non li possedeva) i criteri teologici necessari per veder chiaro nel «misticismo» della von Speyr, ma condivideva con il Blondel e il de Lubac la nuova nozione, vitalista ed evoluzionista, della verità, per cui in Dio e dunque nello sviluppo della dottrina cattolica, «è possibile la contraddizione». Questo apparirà ancora più evidente dal secondo punto che ci accingiamo ad esaminare e che ci permetterà di comprendere la ventata di follia ecumenica che ha investito alcuni responsabili della Chiesa cattolica, dilagando senza nessun ritegno.

La «Catholica» non cattolica

Adrienne asserisce che a lei al von Balthasar è stata affidata dal Cielo una «missione ecclesiale». Urs von Balthasar ne parla ne Il nostro compito p. 61 (Unser Auftrag, 78; v. anche Communio maggio-giugno 1989 p. 102, che dà tra parentesi le necessarie spiegazioni del testo). Adrienne in una visione «mariana» dice a Dio: «noi [Adrienne e von Balthasar] desideriamo entrambi amarti, servirti e ringraziarti per “la Chiesa che tu ci affidi”». Nel testo queste parole sono in francese: «Nous voulons tous deux t’aimer, te servir et te remercier de “l’Eglise que tu nous confie”». «Queste ultime parole — continua Adrienne — furono improvvisamente pronunciate e dettate dalla Madre di Dio, cioè noi [la Madre di Dio e Adrienne] le dicemmo entrambi insieme, e il bambino (il nostro [di Adrienne e di von Balthasar], sai) me lo diede per la frazione di un secondo sulle braccia, ma non era più soltanto il bambino, era la Una Sancta en miniature [in miniatura], e così mi sembra che ci sia pure una giusta unità di tutto ciò che ci è stato assegnato, è lavoro in Dio per la Catholica». Che cos’è quest’altro «bambino» di Adrienne e von Balthasar, questa «Chiesa» detta la «Catholica», che Dio avrebbe loro affidato? Nell’introduzione alla Mistica oggettiva di Adrienne von Speyr a cura di Barbara Albrecht (Jaca Book p. 72), leggiamo sulla «mistica» Adrienne questa stupefacente affermazione: «Anche se [Adrienne] si è staccata chiaramente e decisamente dalla forma protestante del cristianesimo per una necessità interiore, manca nel suo concetto di ‘cattolico’ qualsiasi delimitazione confessionale». Dunque se il distacco dal protestantesimo in Adrienne fu chiaro e deciso, tutt’altro che chiara e decisa fu la sua conversione al Cattolicesimo. A meno che non si dia al termine di «cattolico» un significato affatto diverso dall’usuale.

Da notare incidentalmente che quanto scrive l’Albrecht corrisponde perfettamente alla testimonianza della governante italiana della von Speyr, che da buona cattolica veneta afferma decisamente: «Ho letto anch’io questa storia della “mistica”. Ma non mi piace niente; perché scrivere tante stupidaggini? La Signora non era di chiesa: ma lo sa che andava a Messa due volte all’anno, a Natale e a Pasqua?» (Il Popolo di Pordenone 16 agosto 1992 p. 3, i corsivi sono nel testo originale; v. anche sì sì no no cit.).

Lo stesso concetto di «cattolico», privo di «qualsiasi determinazione confessionale» troviamo nel von Balthasar, il quale asserisce di esserne debitore anche alla von Speyr. Di Katholisch (Cattolico, 1975), infatti, scrive: «la piccola opera è al tempo stesso un omaggio ai miei maestri E. Przywara e H. de Lubac come pure ad Adrienne von Speyr, i quali tutti di fronte a un’angusta teologia scolastica mi hanno mostrato la dimensione della realtà cattolica vasta quanto il mondo» (Il nostro compito, Jaca Book p. 67). E in questa «cattolicità che nulla omette» (ivi p. 32) tutto trova il suo posto e la sua giustificazione: la vera e le false religioni, la Chiesa cattolica e le sette eretiche e/o scismatiche, il sacro e il profano, la religione e l’ateismo; in breve: l’errore e la verità, il bene e il male. Esattamente come nella dialettica hegeliana.

L’iceberg

Approfondiamo il discorso: Urs von Balthasar — ammette Communio — è esaltato quale «teologo della bellezza» ed «allo stesso tempo è criticato per il suo stile ermetico e complicato» (maggio-giugno 1989 p. 83). Inoltre — scrive sempre Communio — quanto di lui è noto e si dice «rappresenta — honni soit qui mal y pense — solo la punta dell ’ iceberg». Diamo uno sguardo, dunque, a ciò che naviga sott’acqua ovvero, fuor di metafora, a ciò che si nasconde sotto lo stile ermetico e complicato per vedere se c’è o no ragione di pensar male.

Apparentemente gli scritti di von Balthasar sono astrusi ed ermetici ed il suo comportamento incomprensibile. Ad esempio, lavora a demolire la teologia cattolica e la Roma cattolica, ma critica aspramente Karl Rahner e il «complesso antiromano»; vuole un ecumenismo il più latitudinario possibile che abbracci anche le religioni pagane ed idolatre, ma critica la «tendenza alla svendita» dei cattolici postconciliari. Basta, però, possedere la giusta chiave interpretativa della sua teologia e tutto diventa chiaro. Questa chiave interpretativa è l’idealismo in genere e la logica hegeliana in particolare, che — si sa — è diametralmente opposta alla logica aristotelica e tomistica nonché al buon senso comune. Mentre la logica aristotelica, infatti, ha come suo fondamento il principio di identità o di non contraddizione, secondo il quale gli opposti si escludono, la logica hegeliana è fondata sul principio esattamente contrario: gli opposti non solo non si escludono, ma sono l’anima della realtà, essendo momenti necessari, benché astratti, della realtà, la quale è una «sintesi» di opposti, nella quale detti opposti (affermazione e negazione, «tesi» e «antitesi») trovano il loro superamento e la loro vera realtà.

Urs von Balthasar ha applicato all’ecclesiologia questa logica astrusa ed ermetica, perché ignora lo «spavento per la contraddizione» connaturale ad ogni uomo di buon senso, e ne è venuto fuori l’attuale… ecumenismo: le tante «Chiese», le varie «religioni», gli stessi «ateismi» con le loro contraddizioni non spaventano von Balthasar né, a suo giudizio, devono spaventare nessuno, perché solo sono i momenti (tesi ed antitesi, affermazioni e negazioni) di quel processo che condurrà inevitabilmente, per intrinseca necessità, alla sintesi che è la «Catholica» («la cattolicità che nulla omette», l’universalità senza esclusioni di sorta), nella quale si realizzerà (finalmente, dopo duemila anni) la vera Chiesa di Cristo. Una volta in possesso di questa «chiave», la teologia del von Balthasar da «ermetica» si fa trasparente e tutti possono vedere l’enormità dell’iceberg che naviga sott’acqua contro la santa Chiesa di Dio.

Dal «delirio filosofico» al delirio ecumenico

Dal «delirio filosofico» di Hegel (tale lo definì Schopenhauer) non poteva che nascere l’attuale delirio ecumenico. Con questa chiave interpretativa, infatti, è possibile comprendere tutti gli enigmi del von Balthasar e dell’odierno ecumenismo, di cui egli è il «maestro» e l’«autore». Si comprende, infatti, perché nel dialogo ecumenico «rimane una cosa sola: l’affidarsi alle configurazioni ecclesiali e teologiche e alla rivalità tra di esse» (Figura e opera cit. p. 417). E il necessario gioco degli opposti che solo condurrà alla sintesi: «Se si prende sul serio questa indicazione [“affidarsi… alle rivalità”] — scrive il von Balthasar — essa richiede allora molto a quelli che lottano cristianamente per la cattolicità: soprattutto di non fissarsi [i cattolici non meno degli altri] in nessun sistema, di cui a priori si supponga che esso sarebbe onnicomprensivo; che offrirebbe la visuale più ampia, lascerebbe alle sue spalle i punti di vista contrapposti» (ivi citato da Aunspruch auf Katholizitat p. 66). Questa onnicomprensività, infatti, sarà data solo alla «Catholica», che è la sintesi, e non agli attuali sistemi, (ivi incluso il «sistema» cattolico) che sono tesi ed antitesi destinate a superarsi, annientandosi, nella sintesi.

Ai «sistemi» attuali si richiedono solo due cose: da una parte, per favorire la sintesi, l’«allentamento e il disgelo» del proprio irrigidimento intorno ad un punto di vista che escluda i punti di vista opposti; dall’altra parte, la «competizione», il lasciar giocare la «rivalità» con gli altri sistemi, ivi incluse le «forme di cristianesimo anonimo» (ivi pp. 69, 70). La sintesi, infatti, scaturisce appunto dal gioco dei contrari. Tutto ciò è incomprensibile per la logica aristotelico-tomista, che è la logica del buon senso, ma non per la logica hegeliana. Si comprende allora perché l’attuale ecumenismo (vedi Assisi) mette sullo stesso piano e pur mantiene separate le varie «religioni» («non vogliamo sincretismi» ed è vero) e, pur promuovendo il «dialogo» più dissennato, vuole che i buddisti siano buoni buddisti, i cattolici buoni cattolici (secondo la «nuova teologia», s’intende), i protestanti buoni protestanti e così via: la «competizione», il gioco delle «rivalità», delle contraddizioni e delle contrapposizioni è essenziale al processo che condurrà alla super-Chiesa ecumenica, la «Catholica», sintesi di tutte le religioni, nella quale soltanto le contraddizioni e le contrapposizioni saranno superate.

Si comprende anche perché il von Balthasar ebbe, come il de Lubac, la sua personale «crisi» postconciliare, che però anche per lui non fu una conversione (v. Figura e Opera cit. pp. 434 ss.). Non rientrava, infatti, nella sua logica, presa in prestito da Hegel, che i cattolici svendessero sic et simpliciter la loro identità: la Catholica è anch’essa, anzi essa soprattutto «communio [comunione] tra ciò che apparentemente sembra escludersi» (Communio luglio-agosto 1992. H. Urs von Balthasar, Communio: un programma) e dunque i contrasti sono essenziali alla realizzazione di detta «comunione», esattamente come nella logica hegeliana la tesi e l’antitesi sono essenziali alla realizzazione della sintesi, per cui se la tesi cessa dalla «competizione» e diventa anch’essa antitesi, non si darà mai sintesi (v. Figura e Opera, cit. pp. 417 e 418). Ecco perché la Chiesa cattolica non deve «mettere tra parentesi», ma deve «integrare» (è la «parola chiave» per von Balthasar) nel «tutto cattolico» (=la Catholica) ciò che è giudicato attualmente come un «sovrappiù cattolico» (ivi p. 446). Nel suo strombazzato e dai più frainteso libro Il complesso antiromano, che porta il sottotitolo incredibile e significativo (e dai più trascurato): «Come si può integrare il Papato nella Chiesa universale [= Catholica]?» il von Balthasar suggerisce appunto il modo di integrare «questo elemento che appare ingombrante, nel tutto cattolico», che chiaramente non è la Chiesa cattolica. Ed ecco il modo suggerito: la Chiesa dev’essere non soltanto petrina, ma anche paolina, mariana e giovannea (ivi p. 447). E così il primato di giurisdizione, definito dal Vaticano I, si dilegua dietro un vago primato della carità, inventato dal von Balthasar (e dai suoi «fratelli separati»), per cui Giovanni Paolo II gira da anni il mondo come San Paolo spiegando ai giornalisti che egli ha ricevuto non solo il carisma petrino, ma anche quello paolino!

L’apostasia

Eppure basta conoscere il Catechismo della Chiesa cattolica (non il nuovo, s’intende) per comprendere che l’ecumenismo del von Balthasar è una vera proposta di apostasia. Cristoph Schonborn, segretario redazionale (chi legge ponga mente!) del nuovo «Catechismo», in occasione del primo anniversario della morte del von Balthasar ne ha illustrato l’ecumenismo nella chiesa di S. Maria a Basilea (v. Figura e Opera cit. pp. 431 ss.: Il contributo di Hans Urs von Balthasar all’ecumenismo).

Che cos’è l’ecumenismo per von Balthasar? L’«integrazione nel tutto della Cattolica» (ivi p. 448), la quale Cattolica non esiste ancora, è per ora «solo promessa, speranza escatologica». Ecco, infatti, come lo Schonborn spiega la «portata ecumenica» della «figura» di Maria nel von Balthasar: «in Maria appare la Chiesa come la ecclesia sancta et immaculata, in cui la figura piena della Chiesa, la sua “cattolicità”, è non solo promessa, speranza escatologica, bensì pienezza già realizzata». Dunque, contrariamente alla Fede costante ed infallibile della Chiesa, ribadita da Pio XI nella Mortalium animos, contrariamente al dogma che ogni cattolico ha il dovere di professare («Credo Ecclesiam unam, sanctam, catholicam»), la cattolicità della Chiesa non è una realtà, realizzata da duemila anni, ma una realtà ancora da realizzare, una semplice «promessa, speranza escatologica» (che non si vede perché mai dovremmo sperare, dato che, se così fosse, sarebbero fallite tutte le promesse di immediata realizzazione fatte da Nostro Signore Gesù Cristo).

E l’attuale Chiesa cattolica che cos’è per il von Balthasar? Un «sistema» tra tanti, una delle tante «configurazioni ecclesiali», tesi o antitesi (a seconda che rifiuti o sia rifiutata) che sarà superata ed annientata nella «Cattolica», al pari delle sette, delle religioni pagane ed idolatre e dei vari «marxismi». Nel Cattolicesimo, infatti, non meno che nel protestantesimo, per il von Balthasar, «la negazione dell’altro, il rifiuto della comunione» avrebbe prodotto «un’unità che in fondo era solo il riunirsi attorno ad un punto di vista rigido» (v. Figura e Opera, cit. p. 407). La Chiesa cattolica è «la realizzazione romana della Catholica» (ivi p. 405); la Chiesa cattolica, al pari delle sette eretiche e/o scismatiche, dello stesso ebraismo e delle altre «forme anonime di Cristianesimo» è «il tutto nel frammento», dove il tutto è la Cattolica e la Chiesa cattolica è uno dei tanti frammenti, che inevitabilmente rimandano al tutto: «Ogni coccio — scrive il von Balthasar — desta subito il pensiero del sacro vaso da cui proveniva, ogni torso viene letto dallo spirito, a partire dall’opera intera intatta» (citato in Figura e Opera, p. 409) e la Chiesa cattolica è un «coccio», un «torso» tra i tanti altri.

Ed allora appare chiaro perché non si insegna più che la Chiesa di Cristo «è» la Chiesa cattolica, ma si persiste nell’insegnare col Vaticano II (vedi il nuovo «Catechismo») che la Chiesa di Cristo «subsistit in», «sussiste» nella Chiesa cattolica, esattamente come «il tutto nel frammento». Ecco perché nel «dialogo ecumenico» il cattolico, in materia di fede (si badi), ha da imparare non meno degli altri: «per i cattolici è oltremodo imperativo l’ascoltare attentamente la voce di chi ci suggerisce e ci rinvia a qualche pezzo mancante [sic!] o scarsamente valorizzato dell’intero della fede» (H. U. von Balthasar in Kleine Fibel, p. 92 citato in Figura e Opera, p. 444).

Ecco perché oggi — come scrive Romano Amerio — «si professa apertamente che l’unione non si ha da fare per conversioni individuali, ma per accordo di grandi corpi collettivi [le varie tesi ed antitesi] quali sono le Chiese» e questa unione deve farsi non già per un ritorno dei separati alla Chiesa cattolica, ma «per un moto di tutte le confessioni verso un centro che è fuori di ciascuna [la sintesi in divenire]» (R. Amerio Iota Unum, Ricciardi ed., Roma-Napoli, I ed. p. 473). E qui la proposta di apostasia, di abbandono cioè di tutta la dottrina della Fede, si fa palese. Dove si trova la Divina Rivelazione nella sua integrità e purezza se non nella Chiesa cattolica? Proporre più o meno larvatamente ai cattolici l’esodo dalla Chiesa cattolica è proporre loro l’apostasia: «La fede in Gesù Cristo non resterà pura e incontaminata se non sarà sostenuta e difesa dalla fede nella Chiesa, colonna e fondamento della verità (I Tim. III, 15)» (Pio XI, Mit brennender sorge).

Il disprezzo del Magistero

A conclusione ci preme sottolineare che il von Balthasar, al pari del Blondel e del de Lubac, coltivò la «sua» teologia con evidente disprezzo del Magistero della Chiesa, in particolare di San Pio X, che nella Pascendi (1907) condanna l’ecumenismo, nel quale sfocia inevitabilmente il naturalismo dei modernisti, e di Pio XII, che nell’Humani Generis condanna sia il tentativo di conciliare l’idealismo, e dunque Hegel, con la teologia cattolica sia l’ecumenismo nel quale tutti sarebbero stati «sì, unificati, ma nella comune rovina».

«Dove va la nuova teologia con i nuovi maestri cui si ispira? Dove se non per la via dello scetticismo, della fantasia e dell’eresia?» scriveva nel 1946 il padre Garrigou-Lagrange. E i nuovi «maestri» erano Hegel e Blondel, che il Fessard (della «banda» di de Lubac) non senza ragione chiamava «il nostro Hegel» (v. A. Russo, H. de Lubac: teologia e dogma nella storia – L’influsso di Blondel). Oggi in campo ecumenico più che alla fantasia siamo al delirio. In uno dei più scandalosi documenti «ecumenici» «Sussidi per una corretta presentazione dell’ebraismo» a cura della Commissione per i rapporti con l’ebraismo presieduta dal card. Willebrands (v. sì sì no no agosto 1985 pp. 1 ss.), si legge che cattolici ed ebrei tendono «anche se partendo da due punti di vista diversi [leggi: opposti], verso fini analoghi [sic!]: la venuta o il ritorno [è lo stesso!] del Messia». E, pari pari, il pensiero (se così si può chiamare) del von Balthasar, che, come Hegel, trova il modo di conciliare tutti gli opposti, facendo violenza alla realtà dei fatti: «Pietro, il rinnegatore, abbandona il giudizio al Signore e solidarizza [sic!] con i giudei [crocifissori di Cristo]… assieme a voi giudei anche noi cristiani aspettiamo la (ri)venuta [sic!] del Messia» (H. U. von Balthasar, Communio: un programma, ripreso in Communio luglio-agosto 1992 p. 57).

Il von Balthasar, però, e i suoi compagni della nuova teologia, non sarebbero mai riusciti ad imporre nella Chiesa le loro nebulose elucubrazioni, che non hanno dalla loro parte né la forza della verità di ragione né la forza della verità rivelata, se non fosse asceso al soglio di Pietro G. B. Montini, cattivo teologo e filomodernista, che ha messo al servigio della «nouvelle théologie» la sua altissima autorità, e se il suo successore [Wojtyla allora regnante, ndr] non ne fosse continuatore ed euforico divulgatore. Ma di questo riparleremo.