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di Cristiano Lugli

 

Perviene ieri, direttamente da Roma, la notizia di un nuovo passo avanti voluto da Bergoglio nei confronti della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Dopo la concessione delle confessioni, prolungata ad oltranza dopo il “Giubileo”della “Misericordia”, vi è stata l’approvazione del documento redatto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e firmato dal cardinale Gerhard Müller, ove si concederebbe ai sacerdoti della Fraternità di celebrare le Nozze, garantendo ai fedeli la tranquillità di essere validamente e lecitamente sposati.
Di fatto è lo stesso metodo usato per le confessioni, concesse – sempre a dire di Bergoglio – per far sì che i fedeli legati alla Fraternità possano vivere senza il dubbio di non aver ricevuto validamente l’assoluzione.

 

In tutto questo effettivamente si può vedere un enorme controsenso giacché coloro i quali frequentano la FSSPX si può supporre lo facciano con cognizione di causa, consci dello stato di necessità in cui ci si è venuti a trovare da cinquant’anni a questa parte (oggi più che mai) – questo garantendo la validità del Sacramento in virtù dei motivi anzidetti.
In più, la concessione redatta risulta essere assai fumosa per le cose iscritte nel testo, dov’è comunque detto che vi saranno norme ben precise da seguire per celebrare le nozze.

 

Prima fra tutte le cose: servirà l’autorizzazione del Vescovo della diocesi coinvolta, il quale dovrà delegare un “suo” sacerdote perché assista al Rito e accolga il consenso della parti che, nel Messale del 1962 (e precedenti), viene fatto prima della Santa Messa con le semplici e classiche domande allo sposo ed alla sposa a cui segue la formula “Ego conjúngo vos in matrimónium. In nómine Patris, et Fílii, + et Spíritus Sancti. Amen.” 
Solo la Santa Messa sarà invece celebrata da un sacerdote della Fraternità.

 

Il sostanziale cambiamento s’impernia sul fatto che se non vi fossero sacerdoti della diocesi disponibili (e ci si chiede: perché non dovrebbero essercene?), il consenso potrà essere raccolto “direttamente dal sacerdote della Fraternità San Pio X che celebrerà anche la messa”, tuttavia “ammonendolo del dovere di far pervenire alla Curia diocesana, quanto prima, la documentazione della celebrazione del matrimonio” – sempre come detto nel documento.
In realtà, se ogni diocesi incaricasse un sacerdote locale di occuparsi di queste situazioni – che comunque immaginiamo non essere all’ordine del giorno, per via che non ci si sposa tutti i giorni – non si troverebbero grandi cambiamenti rispetto a ciò che già poteva avvenire anche prima, appunto per paura che il consenso “preso” da un sacerdote della San Pio X potesse ritenersi invalido perché non autorizzato dall’Ordinario.

 

Ovviamente il caso in cui viene delegato direttamente un sacerdote della Fraternità cambia già le cose, seppur anche su questo specifico caso esistessero dei precedenti, tuttavia rari e con un iter seccante e lungo per avere il permesso, o per trovare qualche sacerdote amico che permettesse la cosa nella sua chiesa.
Un cambiamento leggero, e tutto da dimostrarsi nella pratica, ma pur sempre un cambiamento di portata quasi storica. Questo però non impedisce ancora di affermare che la situazione canonica della Fraternità risulti ad oggi illegittima (e questo è un bene). Si legge infatti nel documento:
«Malgrado l’oggettiva persistenza per ora della situazione canonica di illegittimità in cui versa la Fraternità di San Pio X, il Santo Padre, su proposta della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Commissione Ecclesia Dei, ha deciso di autorizzare i Rev.mi Ordinari del luogo perché possano concedere anche licenze per la celebrazione di matrimoni dei fedeli che seguono l’attività pastorale della Fraternità, secondo le modalità seguenti. Sempre che sia possibile, la delega dell’Ordinario per assistere al matrimonio verrà concessa ad un sacerdote della diocesi (o comunque ad un sacerdote pienamente regolare) perché accolga il consenso delle parti nel rito del Sacramento che, nella liturgia del Vetus ordo, avviene all’inizio della Santa Messa, seguendo poi la celebrazione della Santa Messa votiva da parte di un sacerdote della Fraternità».

Come si può notare nel documento è già esplicitato un certo tono di indagine, di diffida, nonostante la concessione implicita. Certo questo potrebbe far sì che tanti fedeli i quali desiderassero sposarsi in una bella chiesa piuttosto che in una cappella 5 mt x 2 ne avessero l’opportunità. Ma ciò detto bisognerà anzitutto guardare quanto si svolgerà sul piano pratico: è vero che l’autorizzazione viene dall’alto, ma è altrettanto vero che nelle diocesi, in virtù della collegialità vaticansecondista, comandano i parroci prima ancora che i vescovi. L’odio verso la tradizione possiamo star certi che tenterà di creare quanto più disagio possibile.

 

In ultimo, ma non per importanza, vi è un altro fatto rilevantissimo. Questo ulteriore pomiciamento è fatto a titolo meramente gratuito, per il principio del dare senza voler nulla in cambio? Se così fosse, e cioè se fosse una concessione gratuita per agevolare i fedeli, non sarebbe da prendere poi così male, per il semplice fatto che si continuerebbe a fare ciò che si è fatto prima ma, tutt’al più, all’interno di chiese ben più degne per un Sacramento così importante. Il problema è che si può ben dubitare di un atto senza compenso richiesto, specie se si conosce anche solo un pochino il modus operandi della neo-chiesa misericordiosa.

Il trappolone sta sempre alle porte, e quanto più lo zuccherino è dolce tanto più attrae ad entrare nel buio tunnel.
«Certi che anche in questo modo si possano rimuovere disagi di coscienza nei fedeli che aderiscono alla FSSPX e incertezza circa la validità del sacramento del matrimonio – conclude la lettera – e nel medesimo tempo si possa affrettare il cammino verso la piena regolarizzazione istituzionale, questo Dicastero confida nella sua collaborazione».

 

In queste ultime parole del decreto il messaggio è tutt’altro che subliminale. Sappiamo che, per una “piena regolarizzazione”, il Vaticano esigerà una “professio fidei” – virtuale o concreta che sia – per porre fuori dai giochi i detentori ufficiali del tradizionalismo cattolico. Si vuole sperare che i vertici della Fraternità ringrazino per il regalino non richiesto e tirino dritto per la propria strada, la quale, oggi come ieri, può e deve solo starsene alla larga da Roma se la volontà è quella di sopravvivere conservando il depositum fidei. 

 

Il 19 Luglio 1975 venne chiesto a Mons. Marcel Lefebvre:
D. “Che farà il seminario di Êcone e la sua Fraternità?”
R. “Ambedue continueranno e continuano, perché la chiesa liberale e modernista che occupa la vera Chiesa ridotta al silenzio, non ha alcun diritto di essere obbedita, anzi, bisogna disobbedirle, perché i suoi ordini e i suoi orientamenti non sono quelli della Chiesa Cattolica. Distruggono la Chiesa. Noi non possiamo collaborare alla distruzione della Chiesa, non vogliamo diventare protestanti.”