di Patrizia Fermani
Si è tenuto recentemente a Roma un convegno dal titolo significativo: “A un anno dall’Amoris Laetitia, Fare Chiarezza”. Ora, a chiunque capiti di leggere l’“esortazione apostolica”, non può sfuggire la sua contraddizione insanabile con la Tradizione e il Magistero secolare della Chiesa, al di là di certe disinvolte e studiate incongruenze, e tutti i relatori, con una singolare eccezione, hanno tracciato da angolature diverse, un quadro lucidissimo della portata eversiva del documento. Infatti la domanda di chiarezza investe in realtà le vere intenzioni di Bergoglio, ed è quella stessa che i noti cardinali gli hanno rivolto in forma di dubbio retorico per stringerlo, come ha osservato Pierantoni, in una specie di vicolo cieco, da cui egli potrebbe uscire solo o con il ripudio ufficiale della dottrina cattolica su matrimonio e famiglia, oppure sconfessando l’A.L. che la contraddice di fatto. Tuttavia è ragionevole pensare che nessuna di queste ipotesi possa realizzarsi in concreto.
La prima sarebbe da un lato strategicamente dannosa, e dall’altro superflua. Infatti la rivoluzione silenziosa cominciata nella chiesa tanto tempo addietro, è arrivata indisturbata alle sue battute finali, proprio grazie alla passività della maggior parte dei cattolici che ora si rifiutano di penderne atto e si trincerano dietro la mancanza di pronunciamenti ufficiali, mentre lo scopo di mettere da parte la dottrina cattolica viene soddisfatta proprio dall’ A.L.
La seconda perché la chiesa di Bergoglio ha stretto col mondo e con la politica un’alleanza ritenuta decisiva per la propria stessa sopravvivenza e l’A.L. ne è la prova documentale.
Vale allora la pena di tornare sulle ragioni, lo spirito e le finalità che l’hanno guidata, ovvero su quella funzione “politica”, che ne fa la pietra miliare di una nuova chiesa non più cattolica.
L’A.L., presentata come la riflessione finale dei lavori sinodali, almeno idealmente è stata scritta prima, col suo ventaglio di conclusioni già decise, e come espressione di una chiesa alleata e al servizio del nuovo ordine mondiale.
Il Sinodo doveva solo fornire a quelle conclusioni una legittimazione corale e “dal basso”, sotto l’apparenza di un appagante pluralismo caro anche al nuovo popolo di Dio. Non per nulla i lavori destinati a sfociare in un atto finale del Magistero, hanno preso le mosse addirittura da un sondaggio di opinioni, al quale è stato affidato nientemeno che il compito di disconoscere il fondamento teologico della legge naturale. Se tutto era già deciso in anticipo, eventuali voci dissenzienti, sarebbero state messe in sordina, come si è verificato puntualmente, condizionando le discussioni o manipolando le traduzioni o, in ultima istanza, con la eliminazione materiale di interventi dissonanti. Basti pensare al caso del cardinale Erdo che a sorpresa si è visto sostituire il testo preparato per la relazione finale del 2014 con quello scodellatogli da Bruno Forte, uno che tiene saldamente in mano le chiavi del cuore di Federigo. Certe “quisquilie” procedurali hanno dimostrato, se ce ne fosse stato bisogno, come e dove si voleva andare a parare e come sarebbe stato eliminato ogni possibile intralcio ad una via già tracciata.
Il linguaggio riproduce il pensiero minimo incapsulato nelle formule correnti con una sciatteria studiata per creare familiarità e di quindi affidamento. Nella forma dimessa c’è anche tutto il piglio demagogico di chi i sudditi li blandisce e li alletta, mostrandosi generosamente comprensivo verso le loro debolezze.
Ma la accattivante banalità del linguaggio maschera la grevità e gravità dei contenuti. Viene inoculata l’idea che di ogni comportamento umano, anche deviante, in tema di morale sessuale e famigliare, si debba semplicemente prendere atto, e che sia quindi accettabile, per diventare, alla fine, anche buono. In questa chiave l’A.L. può essere propagandata nelle parrocchie e negli istituti religiosi come dono di paterna comprensione e benevolenza, rassicurante anche sulla bontà dei fini.
Questi possono forse sfuggire al parroco sprovveduto, ma non al prelato colto e mondano che in dotte conferenze illustri come secondo questo pregevole testo, l’amore senza piacere né passione non sia sufficiente a simboleggiare l’amore coniugale, e che nell’atto sessuale c’è lo specifico dell’amore coniugale. Quanto basta perché all’occorrenza sì possa rendere omaggio anche all’ amore “coniugale” di Vendola e Signore, o a quello del primo ministro lussemburghese ricevuto con tutti gli onori in Vaticano dal prefetto della casa pontificia (o della seconda casa pontificia che dir si voglia). Ma non solo. Il sensibile commentatore dirà anche che l’amore diventa sempre fecondo in una visione allargata di fecondità, quale quella illustrata nel capitolo V. Un concetto di fecondità adattabile senza riserve al bricolage degli umani fabbricati ad uso e consumo di cattolicissimi omosessuali e della loro rispettabile “genitorialità”, quella tanto agognata dai signori e signori di cui sopra e promossa filosoficamente dalle cirinnà, dalle boldrini, dalle marzano e simili.
Ma l’aspetto cruciale dell’A.L., e dei documenti sinodali che l’hanno preceduta, va al di là della nuova dissolubilità del matrimonio, che ne è stato il programmato punto focale, e allo stravolgimento della famiglia nei suoi principi immodificabili consustanziali alla stessa civiltà. Infatti l’intero marchingegno fa perno sulla abolizione preventiva della legge naturale, quale premessa imprescindibile di ogni attività “pastorale”. La legge naturale è stata dichiarata obsoleta fin dall’inizio, come si è ricordato, anche in virtù di una indagine di mercato. E a decretare la sua definitiva inattualità era bastato richiamare una dichiarazione della Commissione teologica del 2009, della cui gravità peraltro nessuno fra le antiche mura sembra essersi troppo preoccupato. Il concetto è stato infiltrato nei documenti sinodali per fissarsi in modo lapidario, è il caso di dirlo, nel fatidico numero 305 dell’A.L., dove si dice che quella legge non può più essere una pietra scagliata contro la vita delle persone. Qui il cerchio si chiude e diventa persino ozioso baloccarsi con il dubbio se dopo Onorio e Liberio ci sia un terzo papa eretico e se l’eresia debba essere dichiarata ufficialmente o possa presentarsi anche in forma implicita, presunta, indiretta e per fatti concludenti. Se l’eresia è la scelta arbitraria di una dottrina che non tiene conto della regula fidei, ovvero dell’insegnamento tradizionale della chiesa, come voleva Tertulliano, il ripudio della legge naturale divina sopravanza ogni altra possibile affermazione eretica perché attacca l’a priori normativo della fede cattolica, quello che le dà un contenuto specifico, orientando e qualificando una volta per tutte i comportamenti dei fedeli.
Dunque L’A.L. ruota in realtà attorno ad un unico concetto: non c’è legge divina sopra di noi ma solo quelle che di volta in volta conviene darsi a seconda di come gira il vento, ovvero le cose del mondo. Ci si è dimenticati che la legge naturale cristiana è stata il grande baluardo contro ogni barbarie.
Su queste premesse diventa ozioso anche negare che la gerarchia ecclesiastica miri per questa via ad abolire proprio il cattolicesimo. E la dissennatezza della operazione appare in tutta la sua tragica realtà se si pensa che la legge morale naturale dettata dalla Ragione divina non riguarda soltanto la morale sessuale e famigliare, ma riguarda tutta la vita umana e tutti i rapporti che vi sono connessi, vietando anche l’omicidio, o il furto o la falsa testimonianza. Una legge che oltre alle opere guarda anche alle intenzioni, e a cosa alberga nel cuore e nella mente dell’uomo, e per la quale non desiderare la donna d’altri viene prima dell’adulterio, come l’invidia viene prima del male inflitto gratuitamente. Questo criterio di giudizio ha innalzato la verità a ideale morale e speculativo diventando anche elemento distintivo della civiltà dell’umanesimo cristiano.
Ma forse, al pari dei lungimiranti membri della Commissione teologica, chi ha confezionato l’A.L. ha pensato che alla convivenza civile bastino le leggi dello stato, o i dettati della Commissione europea e i principi dell’89, e che è meglio essere preti costituzionali piuttosto che preti refrattari, non foss’altro perché così non si rischia la pelle.
Ecco però che nell’ A.L. sono stati inseriti sapientemente qua e là anche richiami perentori ai principi fondamentali della morale famigliare, anche se regolarmente contraddetti e relativizzati da proposizioni successive. Ma non si tratta di un incidente di percorso dovuto a distrazione, superficialità, o carenza di mezzi espressivi. Il documento è articolato in modo da ingenerare quella incertezza che paralizza la riflessione critica, e induce alla prudenza anche chi abbia colto d’istinto la pericolosità di tanti passaggi. Infatti proprio i richiami al valore assoluto del matrimonio indissolubile e ai principi inderogabili della morale famigliare, seguiti dalla loro sistematica decostruzione, sta a dimostrare che ad essi è stata assegnata solo la funzione ornamentale di cimeli capaci di abbellire ancora il salotto di casa, tranquillizzando tanti cattolici ferventi ai quali viene offerto l’alibi per non riconoscere il piano distruttivo di Bergoglio e della sua nuova chiesa.
Così il cattolico in cerca di conforto si ferma appagato alle citazioni canoniche, senza darsi la pena di metterle a confronto con le proposizioni che le contraddicono, o tutt’al più lamenta il pericolo che il testo ingeneri confusione, ma trova quanto basta per riconfermare la propria fedeltà a chi figura formalmente a capo della chiesa cattolica …almeno fino a quando la dottrina non venga ripudiata pubblicamente con un atto formale. Ma per il momento almeno, la chiesa di Bergoglio non si potrebbe permettere di rinunciare a tale apertura di credito.
La degenerazione dottrinale non è cosa di adesso e non comincia col Concilio, né finisce con l’A.L., perché a testimoniarlo basta la cancellazione del sacro, la svendita degli arredi e la profanazione degli altari, lo snaturamento anche architettonico degli edifici di culto, oltreché della Santa Messa, la perdita desolante della bellezza. Sedotta persino dai vagheggiati vantaggi di abbracciare le ragioni del mondo e della modernità, la chiesa ha accettato i dogmi fasulli della libertà negativa e della uguaglianza e dopo aver negato, senza confessarlo, la divinità di Cristo, trasformato in un figlio dei fiori renitente al servizio militare anche quando il nemico è alle porte, ha aiutato il mondo a costruire una società pavida, comunistoide quanto basta perché rispetti religiosamente ordini impartiti da poteri ignoti, caritatevole con l’aggressore e diffidente verso le vittime vere ma pronta a crearne di politicamente utili.
É stato sabotato quasi sadicamente lo stesso sentimento religioso, quello che ha sempre aiutato l’uomo a vivere e ha finito per essere mortificata proprio quella speranza cristiana, dote e unicum del cristianesimo, che dà la forza di affrontare serenamente il dolore e la morte. Della speranza cristiana la nuova chiesa sta espropriando il popolo di Dio blandito con la promessa del benessere e del piacere e ora anche confortato da un corretto“fine vita” e da una pulita incinerazione benedetta dal prete. E il popolo di Dio, gratificato e riconoscente, non potrà di certo scendere in piazza per rivendicare l’esproprio.
Ma tutto questo ora è funzionale alla nuova alleanza. Se la civiltà occidentale deve essere annientata in nome dell’imperante mondialismo attraverso la distruzione della morale e della cultura e l’invasione degli alieni, la chiesa si è messa gagliardamente in prima linea e con pari impegno, su tutti questi fronti, e come si spenda per il successo finale lo dimostra anche l’Amoris Laetitia. É dunque impensabile che essa possa essere sconfessata da chi l’ha ideata con tanta cura e ossequiosa dedizione. Come non c’è alcun bisogno che la liquidazione della morale cattolica venga ora proclamata ufficialmente, dato che è già tutta contenuta in essa.
D’altro canto per portare a termine qualunque progetto basta solo aspettare. La gente si abitua a tutto, e non ha esigenze ideali effettive. Ha potenziato la virtù della rassegnazione, o ancor meglio quella della passività che ora si chiama tolleranza. Ha imparato a pensare che tutto ciò che è reale, anche se non fosse proprio razionale, alla fine diventa anche accettabile, e questo vale anche se si tratta della distruzione del cattolicesimo per mano di chi lo rappresenta. Perché, secondo l’insegnamento di Billy Wilder nello storico finale di “A qualcuno piace caldo”, in fondo nessuno è perfetto.
Giunge ora notizia della intenzione vaticana di beatificare Don Milani, quello che amava i fanciulli con letizia ma anche un po’ fuori misura, e al quale si sono ispirati i fondatori del Forteto, un luogo dove l’amore si declinava in modo particolarmente eterodosso anche a beneficio di minori e disabili. Segno che in fondo anche ai beati, in nome dell’amore, è concesso di non essere eccessivamente perfetti.