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di Piergiorgio Seveso

Ho ancora in mente le immagini tristi di una cupa sera del gennaio 2012, quando in piazza Libia a Milano si riunirono vari gruppi cattolici per “riparare” alle offese del teatro blasfemo di Romeo Castellucci contro Gesù Cristo, re dei cuori, delle società e degli stati. La babele linguistica ed ecclesiale di quella confusa, confliggente e disorientante “massa cristiana” mi impressionò molto, anzi ci impressionò molto, dal momento che in quella sera, in quella piazza c’era in nuce il gruppo che poi diede vita a questo blog e alla casa editrice Radio Spada.

Chi girava in tondo, chi pregava in un cantuccio, chi brandiva vere o presunte immagini della Madonna, chi scandiva ossessivamente slogan al megafono, un “frastuono” più o meno devoto, in mezzo al quale spiccava il camion dove l’eroico Don Floriano Abrahamowicz, accompagnato dagli amici veronesi del Christus Rex, celebrava una Santa Messa cantata “non una cum” dove omileticamente attaccava l’incredulo e agnostico Ratzinger (allora “felicemente” occupante il soglio petrino) tra lo sconcerto di alcuni e la soddisfazione di altri tra cui me. Come sedevacantista non rimasi troppo stupito dalla serata che mi rendeva tangibilmente il tragico vuoto di autorità che travagliava non solo la chiesa di Milano (allora occupata dal ciarliero ma inutile Scola) ma la Chiesa tutta intera che non riusciva non solo a difendere e santificare le anime ma nemmeno a difendere e proteggere la figura del suo Divin Fondatore. La Chiesa cattolica taceva, anzi non poteva parlare perché non aveva voce: erano dei privati cattolici in quei giorni a svolgere azioni di protesta o di “pubblica” riparazione (ricordo qualche giorno dopo il rosario riparatore di associazioni legate alla FSSPX e una toccante ora santa nell’oratorio IMBC a Milano), supplendo in qualche modo a tale gravissima mancanza. Cinque anni dopo nulla è cambiato, anzi tutto è ulteriormente peggiorato: al lezioso e tremebondo tedesco è succeduto il ben più deciso avventuriero e pirata argentino, al posto del dozzinale Scola troviamo l’incerto Camisasca, appoggiato alle macerie della cattedra episcopale reggiana. Che un comitato di privati come il “Beata Giovanna Scopelli” abbia deciso di organizzare una cerimonia di riparazione contro una manifestazione che inneggia al nefando vizio di Sodoma (e alle pseudo leggi che l’accarezzano e lo blandiscono) non solo è lodevole ma soprattutto logisticamente apprezzabile per evitare il caravanserraglio milanese di qualche anno fa e quello tipico dei tempi che viviamo. Ovviamente un sedevacantista che ci andasse (come me, a Dio piacendo) saprebbe benissimo che questa breve “tregua Dei” non sposta di un millimetro il problema della crisi della Chiesa (seguita all’empio e omicida “Concilio Vaticano II”) , non cancella differenze e le doverose appartenenze, non fa obliare la drammaticità delle chiese vuote di Dio e degli uomini, non può fare dimenticare che senza Roncalli e Montini gli organizzatori dei gay pride, i banditori di “diritti” falsi e bugiardi, sarebbero oggi probabilmente in qualche gattabuia a riflettere e non sugli scranni della politica. Certamente pregare e tentare di riparare i delitti degli uomini malvagi (noi per primi) contro la Maestà Divina è però sacrosanto e positivo per tutti, specie di questi tempi “sine ecclesia” e lo stile dell’ “autoconvocazione” e il rischio di essere declassati a turbolenta “minoranza conservatrice” è il prezzo da pagare, senza eccessivi drammi, a tempi tanto nefasti e confusi.   Ovviamente, data la mancanza di vero magistero oggi nella Chiesa, il mio personale “magistero” ha poco più che il valore di una motivata opinione ma vorrebbe come sempre, e senza pretese esclusiviste, mettere al riparo da facili trionfalismi, confusionismi e irenismi. Testimoniare con forza il cattolicesimo romano integrale lo si può fare nella vita, nell’esempio, nell’insegnamento, nel contegno, nello stile, senza trasformarci in capponi starnazzanti in chiusi giardini.