di Cristiano Lugli
Il caso specifico, come dicevo poco sopra, è già stato trattato ampiamente nel dettaglio e ogni mia aggiunta risulterebbe perciò stonata. Per un attimo vorrei invece soffermarmi sulla mentalità “grazie” alla quale si è arrivati fino a questo punto dove, secondo il mio modesto parere, andrebbe attuata una vera e propria legittima difesa e nientemeno che una giustizia privata nei confronti di chi, con arroganza luciferina, ha deciso che la coercizione deve stare alla base della civiltà – salvo poi offendersi quando si viene equiparati ai fautori del novello Piano T4.
Perché siamo giunti a questo, può chiedersi ogni persona di buon senso? Ebbene il motivo si deve ricercare in una filosofia di natura materialista, dove l’uomo non è più bipartito in anima e corpo. La concezione dell’uomo da cui si parte oggi è nettamente diversa rispetto a quella conosciuta nella filosofia dell’essere, giacché esso è ritenuto un involucro vuoto, destinato alla necropoli del campo santo; la dignità – quella vera – dell’uomo quale essere creato per vivere, non è più collocata in ciò che San Tommaso definisce nel De Potentia “horizon æternitatis”, situato con un piede nel mondo materiale ed un altro in quello spirituale, il secondo predominando per ovvie ragioni sul primo.
La conoscenza acquisita dall’uomo moderno – conoscenza votata solo ad un mero sogno di progresso materialista – fa credere che esso sia onnipotente, e quindi capace di auto determinare il momento della morte, non con modalità tanto diverse da quelle espresse da Franciscus Baconus: Ipsa scientia potestas est. È il mito di Prometeo che, guadagnatasi la fiducia di Zeus, si ribella e si rivolta, come simbolo di libertinismo e di negazione della sottomissione ad una legge sovrannaturale prima ancora che naturale.
E ancora il non serviam di Lucifero, vero e proprio modus onnipresente nella mentalità moderna.
Qui però si è oltre: l’autodeterminazione si tramuta in “altrui-determinazione”, bypassando senza colpo ferire la volontà delle persone dalle quali la creatura umana è stata concepita, come nel caso del piccolo Charlie. Insomma, altro che firma dei DAT. Siamo in uno stadio di Male totalmente avanzato, sentenziato attraverso l’infanticidio erodiano voluto superstatalmente dagli stessi che, barbaramente, si permettono di parlare di “diritti umani”.
Nel mondo vi è però il silenzio, un assordante silenzio, che ben ricorda quello “degli innocenti” dei quali Charlie non sarà altro che il precursore per antonomasia. La vittima prima.
Pensando a questa faccenda, mi sono tornati alla mente alcuni spunti del compianto Mario Palmaro, cuore pulsante di quella bioetica ormai morta e sepolta, oggidì occupata da dei veri e propri cattedrani di corte liberali, ignavi e rivoltanti per la loro aria saputella la quale, a ben pensare, è il riflesso dei ruoli che vivacemente ricoprono nelle università e, quel che è peggio, nelle pontificie accademie per la Vita, divenute piuttosto valvole portanti della cultura della Morte, prima dell’anima e poi, se rimane tempo ( e oggi pare che di tempo per questo ve ne sia ad abundantiam ), pure del corpo.
Così diceva il Professor Palmaro, quando gli veniva fatto presente, provocatoriamente, che una soluzione esisteva: basterebbe stabilire che di fronte a certe situazioni ‘critiche’, un collegio di medici decide per il bene del paziente.
“Certo – rispondeva Palmaro -, ed è quello che avviene normalmente nei paesi dove si legalizza l’eutanasia anche soltanto su richiesta. Ma, in questo modo, ecco che il famoso principio del consenso, o della autodeterminazione del paziente va a farsi benedire, e cominciano a prevalere altri argomenti: la voglia di alleviare le sofferenze altrui, uccidendo; la voglia di alleviare la spesa pubblica per soggetti ormai inutili, uccidendo; la voglia di alleviare il dolore di chi assiste ad un’agonia prolungata, uccidendo. Gli esperti di bioetica lo chiamano “slippery sloope”, cioè una sorta di pendio scivoloso che viene imboccato ogni volta che si supera il confine di un principio etico assoluto. Tra uccidere e non uccidere, ad esempio, c’è una linea di demarcazione molto netta. Ma una volta che si legalizza l’omicidio per motivi pietosi, anche se con molte limitazioni e condizioni, il “rubicone morale” è stato superato una volta per tutte, e nulla può più frenare una sciagurata caduta verso il basso, che è nella natura delle cose. Per cui, dopo qualche anno, ci si accorge che dall’eutanasia su richiesta si è arrivati a praticare senza obiezioni l’eutanasia per motivi pietosi senza consenso”.
Queste parole pronunciate quasi dieci anni fa sono di un’attualità inimitabile, con il puzzle già assemblato e ciascun pezzo messo al proprio posto.
Vi è ancora di più, ritornando al caso Charlie.