divertissement di Simone Petrus Basileus I. G.
Fumare nuoce gravemente alla salute, il fumo uccide e frasi simili titaneggiano sui pacchetti delle sigarette, dei sigari o delle magnifiche scatolette del tabacco da pipa.
Questo simpatico stato nel quale viviamo prima mette il monopolio sul Tabacco e poi rovina le confezioni con frasi moralistiche una tantum al chilo.
Che senso ha tutto ciò? Consigliare di non fumare ai propri cittadini vendendogli del fumo? Ahahahahha! Che Storia!
Se è vero che il fumo può nuocere alla salute, quando si diventa dipendenti da esso è pur vero che esso non sempre uccide!
Ciò ovviamente dovrebbe esser valido anche per gli alcolici, sulle cui bottiglie tuttavia non ho ancora visto gigantesche scritte simili a quelle presenti sui sopracitati articoli.
Paese che vai ….o in cui vivi …
Questo, tuttavia, a noi Cattolici non riguarda molto… in fondo…. bacco e tabacco sono comunque DONUM DEI e come tutti i doni di DIO, basta usarli bene e non abusarne!
La storia quasi bimillenaria di Santa Romana Chiesa, infatti, sebbene in alcune ere abbia condannato, attraverso il Santo Offizio, l’uso eccessivo del Tabacco, è pur vero che, al pari del Bacco (Vinum laetificet cor hominis, citando un magnifico Salmo) esso non è mai stato considerato peccaminoso se non quando diviene vizio! Ma è il vizio che è condannato, non il dono fatto da DIO agli uomini, del quale altrimenti non avremmo quella Magnificentissima Specie Eucaristica che poi diviene il Sangue di Cristo.
Citando il Padre Brown di Chesterton: “Perché il pane e il vino sono doni tanto preziosi? Perché sono buoni”. Quante volte inoltre abbiamo, seppur per scherzare, citato le seguenti frasi: “in vino veritas–Qui bene bibit et bene comedit, bene dormit, qui bene dormit, non peccat, qui non peccat vadit in paradisum. Ergo si volumus ire in paradisum, bibamus et comedamus egregie”.
Ma veniamo a noi: il motivo per cui scrivo codesto articolo è perché voglio condividere con voi una breve analisi sull’uso del tabacco e del vino che ne hanno fatto alcuni Santi, alcuni Papi e taluni buoni Cristiani che son vissuti nelle epoche a noi precedenti.
San Giovanni Bosco ad esempio era un fumatore di sigari e sigarette, mentre il severissimo e ascetico padre Pio, il tabacco preferiva sniffarlo.
D’altra parte, per quanto possa apparire strano oggi, la Chiesa cattolica non ha mai avuto nulla da ridire sul tabacco. Anzi, per secoli è stato permesso persino consumarlo in Chiesa: esiste un’apposita disposizione che permette ai canonici di “tabaccare” – ovvero di sniffare tabacco – in Cattedrale, mentre era vietato accendere sigari e pipe, ma solo per evitare il rumore dell’acciarino; e fu esclusivamente per proteggere i nuovissimi e preziosi pavimenti di San Pietro dagli sputi maleodoranti, se nel 1650 Innocenzo X proibì la masticazione del tabacco nella basilica, suscitando le proteste di preti e fedeli.
Un divieto revocato però nel 1725 da Benedetto XIII, stanco del continuo traffico di gente che usciva dalla chiesa durante la messa per andare a fumare.
E’ pur vero che san Giuseppe da Copertino – morto nel 1663 – sosteneva che il tabacco fosse un ottimo metodo per allontanare le tentazioni sessuali.
Oggi la divisione tra cattolici fumatori e cattolici salutisti è diventata una questione politica. E – paradossalmente – sono i progressisti quelli avversi alla nicotina, mentre i conservatori difendono “LA TRADIZIONE”.
Tra i suoi paladini anche i papi Pio IX e Pio X, incallitissimi sniffatori di tabacco.
Vincenzo Lojali, eroe di guerra e ultimo vescovo di Amelia, attualmente in attesa di beatificazione, per tutta la vita aveva cercato di smettere di fumare e da bambino era rimasto turbato da un incontro con san Pio X: “Ricordo di aver visto sulla sua candida mantelletta delle tracce di tabacco da naso, e mi fece un po’ impressione. Si vede che aveva un qualche motivo di prendere il tabacco e il prenderlo non deve impedire la santità o le compiacenze del cielo”.
Quanto a Pio IX – ultimo papa Re – si racconta che avesse offerto del tabacco da fiuto a un cardinale che aveva rifiutato dicendo: “Santità, non ho questo vizio!”. E il Papa aveva risposto sarcastico: “Eminenza, se fosse un vizio, lei ce l’avrebbe!”. Lo stesso dicasi per un suo predecessore, di nome Lambertini.
Ben documentati sono anche i divieti di consumare il tabacco in chiesa per tutta l’età moderna nell’Europa cattolica, soprattutto in Spagna e in Italia. Agli inizi, il problema riguardava più la masticazione del tabacco che il fumo. Non era in gioco tanto la salute degli altri, quanto il decoro dei luoghi sacri, compromesso da una congerie di sputi maleodoranti: il problema si presentò per la prima volta a un papa, Urbano VIII, in rapporto alle chiese di Siviglia. I loro frequentatori furono colpiti nel 1642 dal divieto totale di consumo delle preziose foglie. Nella città spagnola, durante le funzioni religiose, tutti, preti e fedeli, fumavano, fiutavano o masticavano tabacco fino al punto che spesso i loro abiti erano intrisi di succhi puzzolenti e di sputi. Negli anni successivi fu l’Italia a subire, tra le forti proteste degli stessi sacerdoti, molti interventi di quel tipo, variamente motivati. Ad esempio, quando nel 1650 Innocenzo X introdusse sotto pena di scomunica il divieto di fumare nella basilica di S. Pietro, lo fece soprattutto per tutelare, dall’ attacco delle sgradevoli espettorazioni, i nuovi pavimenti di marmo della basilica. A Napoli, invece, furono gli abusi dei fumatori nella monumentale chiesa di S. Giovanni Maggiore a provocare un intervento restrittivo dell’arcivescovo Filomarino. I provvedimenti adottati ebbero ovunque difficoltosa applicazione e furono accompagnati spesso da pedanti disquisizioni sulla loro liceità. Si cominciò ad esempio a distinguere tra i diversi modi di consumare tabacco: fiutarlo o masticarlo con moderazione fu ritenuto tollerabile, fumarlo no, anche per il fastidio arrecato agli altri. La riscossa di fumatori, fiutatori e masticatori di tabacco fu dovuta però ad altre ragioni. Quando, nel 1725, Benedetto XIII revocò un po’ a sorpresa il divieto relativo a S. Pietro, lo fece in primo luogo per motivi religiosi, per consentire una più proficua partecipazione alle funzioni: voleva evitare l’andirivieni di persone che uscivano dalla basilica per fumare e rientravano appena finito. Ma nella lettera inviata all’ arciprete di S. Pietro il papa riconosceva anche il valore terapeutico del tabacco: molti medici lo consideravano un efficace rimedio per molti disturbi fisici. Era proprio così: la scienza del tempo attribuiva a quelle foglie numerose proprietà: dalla stimolazione delle secrezioni gastriche e della peristalsi intestinale a un’azione protettiva contro la peste e le malattie contagiose. Per il clero, inoltre, esso poteva avere una valenza in più: secondo gli esperti, fumare, masticare o fiutarne le foglie costituiva un’efficace barriera contro gli stimoli sessuali. La prova più celebre di questo collegamento si trova nel processo di beatificazione del francescano Giuseppe da Copertino, morto in odore di santità nel 1663. Numerosi testimoni dichiararono che il frate si aiutava col tabacco non solo per non cedere al sonno durante le lunghe veglie notturne, ma anche per respingere le tentazioni della carne.
In conclusione di questo articolo cito l’antico detto di Erasmo da Rotterdam secondo cui «la verità si contrappone sia alla menzogna, a alla simulazione» e perciò accade che si dicano in buona fede cose false, aggiungendo anche che si dicano verità pur parlando in modo insincero. Pertanto occorrerebbe distinguere un’ubriachezza o un tabagismo sfrenati, che generalmente falsificano la corretta visione della realtà, da una moderata ebbrezza e un moderato uso del tabacco che «eliminano la simulazione e l’ipocrisia».
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