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di Cristiano Lugli

 

Una tentazione oggi più che mai frequente, specie all’interno del mondo cosiddetto “tradizionalista”, è quella di credere di poter sovvertire le parti della gerarchia ecclesiastica, quasi come che essa, pure in un senso assoluto e quindi formale, non esistesse più.
A questa tentazione se ne contrappone un’altra altrettanto pericolosa, e cioè quella che, veduta la totale inettitudine dei vertici gerarchici, nonché il tradimento conclamato, faccia cadere nell’idea di una rivoluzione proveniente “dal basso”.

 

Nel caso della Processione tenutasi a Reggio-Emilia, per esempio, non poche sono state le persone le quali, assolutamente in buona fede ed animate da valorosi propositi, hanno parlato di una forza partita “dal basso”. Orbene, sostanzialmente non ci sarebbe nulla di male nel credere che un cospicuo gruppo di fedeli rappresenti l’ultimo carro di una gerarchia deflagrata, sempre intenta a procrastinare i doveri a cui è competentemente richiamata, lavandosene le mani e passando, con grand’arte prestigiativa, la patata bollente ai fedeli, al popolo cristiano.
Tuttavia, fatte nostre queste ovvietà ben visibili sotto gli occhi di tutti, è d’uopo precisare alcune cose a proposito del concetto risanatorio che proverrebbe “dal basso”.

 

Un certo tipo di terminologia è stata volutamente collaudata dentro all’uomo moderno, che si è visto scivolare addosso, a mo’ di anguilla, una vera e propria rivoluzione del linguaggio, atta a rendere marxista ogni scibile umano. Appare infatti inopportuno che l’ala cattolica tradizionalista – pur’anche semplicemente cattolica che sia, come in effetti dovrebbe essere – si appoggi a termini apparentemente innocui, epperò capaci di derubricare un’impostazione veramente aristocratica, contrapposta all’ideale proletario di cui la nostra civiltà si è fatta propedeutico esempio.
Bisogna fare attenzione all’uso delle armi del Nemico, molto spesso talmente astuto da porci in un cortocircuito capace di anestetizzare l’uso della ragionevolezza, e quindi della percezione reale delle cose: in questo, un certo tipo di espressione, con l’intento di dar torto a qualcosa di sbagliato propende per dargli ragione, concedendo all’avversario la facoltà di farci esprimere con i suoi stessi termini, rendendoci quindi fallaci. Nel caso della Processione reggiana, infatti, è evidente che non si possa parlare di qualcosa partito dal basso, giacché in questo caso – così come potrebbe capitare in una moltitudine di altri casi – i fedeli hanno svolto un ruolo fondamentale e, soprattutto, rifacentesi piuttosto all’Alto. Non solo perché un atto di riparazione vuole condurre la Gloria che spetta a Dio; non solo perché si è trattato di un’iniziativa con fini soprannaturali e perciò non solamente terreni, attaccati ad un vetusto senso di difesa del bene comune, quanto invece perché si è rifatta ad un’ideale fervidamente nobile, che nulla ha da spartire con la sporcizia marxista-proletaria, la quale tende proprio alla sovversione proveniente da uno strato sub-umano.

 

Riferendosi al suddetto caso reggiano si può scorgere una volontà necessaria, in grado e capace di sostituirsi all’inerzia dei vertici. In un tempo in cui il decadimento sacerdotale risulta essere una piaga senza precedenti, venendo a mancare i rappresentanti autentici del potere spirituale, la Verità (che è Dio stesso) non può cessare di esistere: in quanto invulnerabile, in quanto inviolabile, Essa, nonostante il tradimento dei veri ministri che dovrebbero difenderla, troverà sempre e comunque chi, conservando il carattere della sacralità, ne diverrà detentore legittimo ed autorizzato. Pur non avendo il carattere sacerdotale, i difensori della Tradizione sono chiamati a supplire alle mancanze dei Pastori; e questo non per presunzione, né tanto meno per un’ideale sovversivo che niente ha a che fare con l’imprimatur sacro presente nella Santa Chiesa, colma di indefettibile aspetto gerarchico. Checché ne dicano i numi tutelari del sofismo moderno e pan-modernista, la battaglia dei fedeli, quasi sempre padri di famiglia e quindi sacerdoti del proprio focolare domestico, si ritrovano a compiere un impegno che nulla ha a che fare con il basso, ma anzi protende verso le alture di una battaglia scomoda, feroce. La battaglia in cui, stravolgendo la perfezione della gerarchia da Dio stesso stabilita, ci si trova a lottare pericolosamente contro una forza profana che tende a soffocare, poiché aizzata da coloro i quali hanno tradito la fede senza remore, hanno rinnegato la Tradizione, hanno voluto esaltare l’umano facendo sprofondare – seppur apparentemente – il Divino. È la forza sovversiva di chi ha rinunciato al Sacro per asservirsi al profano.
In tempi di pesto buio e grida di tradimento, è indispensabile che qualcuno rimanga desto per non perire alle gravi mancanze; vi è dunque, e vi sarà, chi mantiene viva la fiamma del fuoco perenne che arde per la Tradizione. Nella medesima istanza si contrapporrà l’odio, l’insidia, la calunnia e la maldicenza di chi ha venduto la propria regalità sacerdotale alla via più semplice, sull’esempio di Saruman il multicolore.
Se chi avrebbe come scopo della propria esistenza la conservazione del depositum fidei abbandona tutto ciò che converge nel sacro tramandamento delle Verità di Fede, s’impernierà ipso facto la necessità di avere altri capaci di mantenere il contatto fra uomo e Dio, epurando la via sacra dalle scorie profane che vi hanno ammassato i falsi detentori di queste Verità, empi negatori del mondo soprannaturale.

 

In questo richiamo ineludibile, sancito da un patto di sangue che chiama gli uomini ad essere veramente tali, riecheggia l’Amore vivo e vero per la gerarchia nella sua essenza più profonda, e cioè quella di essere riflesso sublime dell’Ordine sancito da Dio nel più alto dei Cieli. A questo Amore insaziabile corrisponde la pratica della virtù, che richiama al coraggio e alla consapevolezza di essere servi indegni, però chiamati a supplire le sgradevoli mancanze; quello che apparentemente potrebbe sembrare sovversione e mancanza di rispetto verso l’Ideale di Autorità, quindi verosimilmente concentrato sullo stesso aspetto fondante del criterio marxista, richiama invece ad un dovere diametralmente opposto: se il secondo tende a sovvertire le radici dell’Autorità e quindi dell’ordinamento sovrannaturale, per lasciar campo alla materia e al fraudolento spettro proletario, il primo lotta tuttalpiù per la riaffermazione dell’Autorità gerarchica, assopita e contornata da false amicizie.
Sotto le specie di un’apparente disobbedienza, si cela in verità una reale obbedienza, volta a riportare, proprio partendo dall’Alto, ogni cosa al suo giusto posto. Quando questa supplenza terminerà di essere, allora si potrà intravedere il trionfo di un’antica ed autorevole gerarchia.

 

In più, sempre pensando alla Processione tenutasi in Reggio-Emilia, vi è da tener presente un fatto, imprescindibile quanto fondamentale: alla base di ogni organizzazione che si richiami ad un intento aristocratico, nel senso che non ha nulla da spartire con “rivoluzionismi” fini a se stessi, deve stare una élite. Questa élite non ha altro compito che quello di dirigere le fila, organizzandosi e prendendosi la libertà legittima di veder trionfare, con tutte le modalità possibili, il Sacro Cuore di Gesù attraverso un atto liturgico. Così è avvenuto a Reggio, laddove dietro le quinte qualcuno, senza volersi prendere alcun tipo di scena, ha organizzato quel che vi è stato.
Giunti alla Processione, infine, ognuno ha svolto la sua parte. Si badi bene però: non come numero, non come la classe operaia che scende in piazza per battere i pugni sul tavolo dei “diritti del lavoratore”, ma come membra di un Corpo, ebbene sì di un Corpo Mistico.
Ogni membra, in quanto tale, ha una sua funzione che è inesorabilmente unica nella sua fattispecie.
Niente che provenga “dal basso” ha di che spartire con la Tradizione Cattolica, in quanto essa convoglia al suo interno le verità divine che costituiscono il tabernacolo sacro della tradizione bimillenaria, con un carattere a dir poco metafisico e puramente trascendentale.
D’altronde, come disse un tale, lasciamo che sia la controparte a trarre la sua legittimazione “dal basso”: noi, radicati nella Tradizione, volgiamo gli occhi al Cielo!