di Giuda Ben-Hur
Generalmente sentiamo questo termine unito a frasi quali “condanna unanime della comunità internazionale”, “il cordoglio della comunità internazionale” o richiamato da eventi, trasformati poi in hashtag, come #jesuischarlie (hebdo) #prayforparis #prayformanchester etc.
Complice anche una escalation di incomprensioni, violenze e minacce di ricorso all’uso della forza riguardanti potenze come Stati Uniti, Russia, Siria, Iran, Cina, Corea del Nord, sarebbe il caso di chiedersi, da cattolici, se esista una qualche sorta di unità della famiglia umana, indirizzata al bene comune universale, in vista di una più giusta comunità mondiale conquistata tramite la forza morale e della libertà. Perché di questo si tratta.
La comunità internazionale dovrebbe possedere dei valori, come la centralità della persona umana nella sua trascendente vocazione, con le sue esigenze di verità, giustizia, solidarietà e libertà. E già stiamo ridendo. Andando avanti possiamo e dobbiamo ricordare che il bene comune di una nazione è inseparabile da quello dell’intera famiglia umana, quindi nessuna nazione dovrebbe essere “lasciata indietro” nel suo sviluppo e percorso storico. Inoltre la comunità internazionale dovrebbe fondarsi sulla forza del diritto e non sul diritto della forza, rispettando la sovranità dei popoli, compresa la loro cultura. Tutto questo perché? Perché esiste una legge morale universale, dei principi anteriori e superiori al diritto interno degli stati e della stessa comunità internazionale. E qui stiamo già piangendo.
Sentite forse discussioni della comunità internazionale sulla condivisione (e non la mera protezione) delle risorse della terra? Sentite parlare di disarmo o di lotta alla persecuzione religiosa? Di cooperazione allo sviluppo e di lotta alla povertà? Di una seria riforma del sistema finanziario mondiale? Di un’autorità pubblica universale non strumentalizzata dagli stati (leggasi ONU) rispettosa della sussidiarietà e solidarietà ai vari livelli di governo? Niente di più lontano dalla realtà. E perché? Perché gli stati non agiscono più come agenti del bene comune delle persone.
Quelli che in ambiente anglosassone vengono chiamati gli “affected”, cittadini colpiti e interessati da determinate questioni, non hanno voce nella politica internazionale, poiché l’attuale sistema di global governance non è veramente democratico. Dopo la fine della guerra fredda la democrazia ha vinto come forma di governo statale, ma non si è mai proceduto al passo successivo di democratizzare la globalizzazione, per esempio con una chiara riforma di organizzazioni come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Credo sia importante sottolineare come nell’attuale momento storico, o la democrazia è globale oppure non è democrazia: ci sono intere aree del pianeta tenute fuori dalla globalizzazione e altre aree (come la nostra) che non hanno un controllo sulla globalizzazione stessa.
L’impegno pubblico dei cittadini e l’associazionismo, anche a livello internazionale, non bastano per cambiare la situazione. L’idea di un ordine morale superiore è stata completamente cancellata dal gergo e dal pensiero della politica internazionale. Questo perché la politica non si occupa più di aiutare l’uomo tutto intero, compresa la sua condotta, ma è diventata mero controllo a livello impresario, una gestione di processi meccanici, ed ormai anche organici ed antropologici, che la trasformano in una vera e propria biopolitica.
Quello che tutto il Magistero della Chiesa insegna al cristiano è di non temere affatto la globalizzazione, ma di guardarsi dagli scopi globali contrari al bene comune universale. Come sosteneva infatti un grande studioso della politica internazionale, Hedley Bull, “se l’ordine internazionale possiede un valore, ce l’ha solo in quanto finalizzato allo scopo dell’ordine nell’intera società degli uomini”. Quindi non dobbiamo immaginarci, cosa molto importante nei prossimi mesi ed anni, una comunità internazionale come una grande NATO, una sorta di comunità che garantisca sicurezza e pace al mondo intero. O almeno non solo. Una insicurezza diffusa e prolungata nel tempo può modificare la nostra stessa idea di pace e libertà, soprattutto quando questa violenza è un fatto privato, come il terrorismo moderno, disturbante la vita sociale e non tanto quella statale.
Assistiamo dunque (quando ci vediamo bene) ad uno slegamento dei valori post-nazionali e liberali da quelli democratici, seppur questi ultimi rimangano la miglior retorica difensiva dello stesso slittamento. Minando la sovranità e l’idea di uguaglianza politica ed economica degli stati, ma non certo di alcuni stati, l’Occidente, ma in particolare l’Europa, ha minato la stessa idea di comunità internazionale.
Ci si chiederebbe anche se l’Isis sia in effetti una priorità o almeno un collante per l’idea di comunità internazionale da noi esposta, ma all’orizzonte non si vedono “coalition of the willing” come per le inesistenti armi di distruzioni di massa dell’Iraq 2003. Anzi, assistiamo contemporaneamente ad un divario tecnologico e di intenti tra gli USA e il resto dei paesi NATO, con l’utilizzo della madre di tutte le bombe (MOAB) ed un chiaro e ben differente approccio diplomatico trumpiano rispetto all’Europa potenza civile e politica. Questo porterà probabilmente, ma ci auguriamo di no, a gravi problemi di percezione delle minacce esterne, poiché racconta una storiella che un uomo armato di un coltello percepirà l’incontro di un orso nella foresta come un pericolo tollerabile, ma non dicasi altrettanto per un uomo armato di pistola.
Insomma, la comunità internazionale attuale sembra tanto un’etichetta pronta da riempire di contenuti, quasi fosse l’hashtag vuoto dei vari appelli che vediamo girare sulle nostre bacheche virtuali. Un vero peccato, perché è un concetto centrale, vivo ed importante di tutta la dottrina sociale della Chiesa. Con una securitizzazione della società alle porte e la definizione di cosa è giusto e cosa è sbagliato dettata dal potere di turno, ricordiamoci e ricordiamo agli altri, dunque, cosa significhi comunità internazionale.