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di Cajetanus

La vicenda di Charlie Gard non ha bisogno di introduzioni per l’eco mediatico che ha prodotto, per le ampie e valide trattazioni a riguardo apparse soprattutto su Radio Spada e per la forza d’animo dei suoi genitori. Mentre attendiamo di conoscere la sorte terrena di questa anima santa, purificata dalle acque del Santo Battesimo e attualmente priva di peccato, possiamo facilmente rilevare l’inconsistenza dei due fronti che su Charlie Gard e sull’eutanasia in generale si contrappongono: da una parte vediamo i giudici e il mondo della sinistra turboliberale e atea che vuole sopprimere l’infante come fosse una bestiolina a quattro zampe, di quelle che si portano a passeggio per le grandi città o a giocare nei parchi, una bestiolina che se si ammala irreparabilmente è giusto sopprimere perché non soffra. Per le bestioline, appunto, è giusto così.

Questo suicidio istituzionalizzato è assolutamente ricercato e incensato dal salotto sinistroide mondiale, inclusa dalla sua succursale italiana che si esprime tramite uno dei suoi caporioni: Gianna Nannini, che appresa la mancata soppressione del piccolo Charlie e l’intervento di vari enti sanitari italiani si rifugia a Londra e indignata proclama: “Non ci sono leggi in Italia che mi garantiscano di sapere cosa succederebbe a Penelope se me ne andassi in cielo (n.d.r. Di questo passo dubito non poco che la destinazione ultima sarà il Cielo). Quindi me ne vado in Inghilterra, dove sono rispettata nei miei diritti umani di mamma”. In Inghilterra infatti, come in tutto l’occidente, un cappio d’oro, la corda dei diritti umani e della libertà che pende da una rugosa quercia, attende tutte le bestioline parlanti che soffrono, la cui vita non è più utile per la ricerca del piacere e della soddisfazione sensoriale. Per un ateo (che non può andare in Cielo) è un pensiero assolutamente coerente, se infatti – ignorando l’assurdità di questa posizione – la vita è solo un corpo fisico che nasce e dopo qualche decennio muore per finire mangiato dai vermi non potremmo che seguire questo ragionamento e “se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1Cor XV, 32), tuttavia noi cattolici sappiamo bene che non è così e qui dovrebbe intervenire il secondo fronte, quello che si contrappone ai giudici, quello dei sedicenti cattolici che, per carità, ci prova, ma lo fa con tutta la sua inadeguatezza, CEI in primis naturalmente.

Gran parte dei sedicenti cattolici difende “la vita” fino in fondo, perché dicono non siamo animali e non possiamo essere soppressi come tali, perché la vita è un diritto di tutti e così via. In questo modo, affidandosi ai difensori della vita, i cattolici perdono di vista il punto fondamentale della battaglia e non solo di questa ma di tutta la buona battaglia: la salvezza eterna.
Perché noi cattolici siamo contrari alla soppressione di un bambino o di un adulto malato? Molti risponderebbero come ho scritto poche righe sopra e sbaglierebbero, naufragando di fatto sulle rive di in un naturalismo sterile e insensato, non meno sciocco dell’ateismo di massa del popolino sinistroide.
La vita umana infatti, anche se fosse una continua pena e priva di momenti lieti, andrebbe mantenuta fino alla sua conclusione naturale da Dio disposta, perché questa vita che noi abbiamo non viene da noi stessi ma ci è stata data da un ente a noi superiore, da una causa sufficiente, cioè onnipotente, che è Dio, dunque non possiamo disporne come se fosse qualcosa di nostro e questo mondo, dove siamo stati esiliati per i nostri delitti, non è un soggiorno felice ma una valle di lacrime, una terra di instabilità morte e dolore, in definitiva un campo di battaglia.

“Militia est vita hominis super terram, et sicut dies mercenarii dies ejus” (Gb VII, 1) ci rammenta la Scrittura, la nostra vita infatti è una guerra e, come un mercenario combatte una guerra per ricevere la ricompensa, così gli uomini combattono per ricevere la corona della gloria e la felicità eterna, la soddisfazione finale, non in questa vita ma nell’altra, che è la vita vera. Il mercenario che si accomoda sul campo di battaglia come fosse in un salotto viene ucciso dal nemico e se anche sopravvive non riceve la ricompensa dopo la battaglia, ma viene scacciato o messo a morte ed è perduto per sempre. E’ questo il senso della nostra battaglia per Charlie Gard, contro l’eutanasia e la corda d’oro da stringere al collo di chi patisce le pena di questa breve permanenza terrena: non la semplice e naturalistica difesa della vita in quanto tale ma il compimento del suo fine ultimo, generalmente ignorato o silenziato dai militanti per la vita. La sofferenza può essere un mezzo per giungere al fine salvifico della nostra vita voluto da Dio o un mezzo per giungere alla rovina eterna della nostra esistenza, è ciò che ci permette di guadagnare meriti davanti a Dio se in essa manteniamo la retta professione di fede. Se fuggiremo a lungo il patire periremo per mezzo di esso, se lo accetteremo offrendolo al Signore ne guadagneremo la salvezza.

Ricordiamo per cosa combattiamo e perché, ricordiamo il nostro Dio che ci attende alle soglie dell’eternità e che, assiso sulla tempesta, ci osserva mentre ci districhiamo tra l’insensatezza e la perversione di questo mondo di tenebra. Prendiamo dunque la nostra croce per salire al calvario, che sia fisico su un letto di ospedale, o interiore nella vita di tutti i giorni, ricordando che “con il fuoco si prova l’oro, e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore.” (Sir II, 5)