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di Cristiano Lugli

Prima di addentrarsi nel cuore dell’articolo, dove si tratterà il tema delle processioni di riparazione, è opportuno cercare di far comprendere l’importanza della riparazione pubblica in quanto tale che si differenzia di gran lunga dalla riparazione privata. Sia per ragioni teologiche, che per ragioni legate all’apostolato a cui ogni cattolico, fedele laico o consacrato che sia, è tenuto a prestare grande attenzione applicandosi a seconda delle proprie forze, delle proprie qualità e del proprio stato. Certamente il prendere parte ad una Processione è alla portata  di tutti, e ne va compresa l’urgenza odierna dove forse si potrebbe ancora ottenere qualcosa. Qualcosa di piccolo e apparentemente inefficace forse, ma perlomeno utile per poter dire “i cattolici esistono ancora”.

Dom Prosper Guéranger parla con grande chiarezza della differenza fra un atto pubblico ed un atto privato: “Quanto importanti sono i fini che si propone la santa Chiesa in queste Processioni, alle quali dovrebbero prendere parte tutti i fedeli che hanno la possibilità di farlo e che, invece di consacrare quel tempo al servizio di Dio per mezzo delle opere di vera pietà cattolica, lo passano in devozioni private, che non potranno attirare su di essi le stesse grazie, né portare alla comunità cristiana i medesimi aiuti di edificazione!”.

Sempre l’Abate di Solemses ci ricorda infine le conseguenze nefaste di una concezione privatista, laicista, intimistica e, in fin dei conti, “liberale” della preghiera della Chiesa. Scriveva, già nel XIX secolo:Il rilassamento su questo punto è giunto al colmo. […] Dio non è tenuto a prendere in considerazione preghiere alle quali non si uniscono quelli che sono chiamati ad offrirle. E questo è uno dei molti punti sui quali una pretesa devozione privata ha gettato nell’illusione molte persone”.

Anche Suor Lucia, la pastorella che per quasi tutta la vita ha goduto di quella visione Immacolata della Santa Vergine, ricorda uno dei più grandi problemi odierni. Lei, che a lungo ha sentito parlare di penitenza rivelando al mondo i messaggi di Fatima, ammonisce così: “Se il Portogallo non approverà l’aborto è salvo; ma se invece lo approverà, dovrà soffrire molto. Per il peccato di un singolo individuo paga la persona che ne è responsabile, ma per il peccato di una Nazione paga tutto il popolo. Perché i governanti che promulgano leggi inique lo fanno in nome del popolo che li ha eletti (…) Manca la pace perché manca la fede, manca la penitenza, manca la preghiera pubblica, collettiva” 

 

Ebbene a Reggio Emilia, non molto tempo fa, è successa una cosa che non accadeva da avanti anni. Dal 3 giugno scorso sembra che in Italia, sul versante cattolico e composto da tanta gente di buona volontà, stanca di subire senza mai poter rizzare il capo, si sia davvero riacceso qualcosa. La fiammella della Fede, per lungo tempo soffocata e assopita dalla paura di vedersi schiacciata e divorata dalla morsa di un pensiero omologato a modello di feroce diktat, pare aver divampato calore e fiamme di tenacia.

È passato poco più di un mese da quando le strade di Reggio ospitavano la Processione di pubblica riparazione al REmilia Pride, evento ormai collaudato in una città capofila nella lotta ai cosiddetti””diritti”, e da lì si sono visti susseguirsi un numero proporzionalmente alto di eventi analoghi, riscontrando grande partecipazione e mobilitazione da parte di molti fedeli.
Il Comitato “Beata Giovanna Scopelli”, è innegabile, ha aperto una breccia che in pochi si aspettavano. Si è provato il confronto numerico per abbattere il paragone, ma pure questo non è servito a nulla.
“500 contro 10.000” gridavano i media schierati, “trionfa l’arcobaleno LGBT”, ma l’argomentazione rimaneva poco convincente. La realtà dei fatti è che il suddetto Comitato, come qualche buon giornalista aveva fatto notare usando la retta ragione durante il periodo di forti polemiche reggiane, aveva già vinto annunciando la pubblica riparazione e sconvolgendo qualcosa che nessuno si aspettava sarebbe mai più stato sconvolto: la libertà di fare quello che si vuole, compreso scandalizzare bambini e ipotizzare follemente che un fanciullo possa avere due madri o due padri, senza che nessuno dicesse niente. O peggio ancora: senza che nessuno osasse parlare di peccato pubblico contro natura. Già, perché è la natura delle cose oggi giorno ad essere sconvolta, è il dover stare a disquisire sul color verde che le foglie assumono in estate, come diceva il pensatore inglese G.K. Chesterton.
Si parla tanto di ragionevolezza – ed è ben giusto che lo si faccia -, si parla di disgregazione della società perché la si vuol fondare su parametri sterili, su una necrocultura che brama la morte dell’innocente, eppure più non si parla del danno maggiore che si compie: offendere Dio, Ordinatore e Legislatore di ogni Legge e di ogni Diritto. La natura umana cerca di agire per se stessa, difendendo la propria nobilitas, epperò essa non deriva dal fato, ma dalla disposizione che il Creatore ha voluto per l’uomo; ecco perché, a ragione di questo, si è tenuti anzitutto a difendere una legge sovrannaturale, dalla quale dipende la legge naturale che ci accingiamo a voler custodire per bontà verso l’essere umano.
Dimenticarsi di questo vuol dire porsi sullo stesso piano, dialogare con l’errore attraverso la sola razionalità, impresa quantomai ardua.

Gli intenti che hanno animato il Comitato non sono altro che questi, aldilà di quello che terzi vogliono attribuire arbitrariamente e senza conoscenza.
Ecco il perché dell’urgenza di queste processioni le quali, oltre ad assumere un carattere teologico molto importante, vogliono portare un segno ben visibile e manifesto di una resistenza atta ad arginare il pensiero unico dominante, che vorrebbe far sembrare normale ciò che non lo è; che vorrebbe rendere culto ad una mentalità protesa alla sterilità, alla demolizione della ragione umana che pone dei limiti e dei doveri utili per non sprofondare in un baratro di non ritorno. Se continueremo a lasciare che le barriere del buon senso vengano perforate, le fenditure saranno sempre più vistose e nessun limite sarà mai più posto. Si badi bene che non siamo lontani da questa situazione generale, ma anzi siamo nel bel mezzo di essa.
La realtà dei fatti è questa e non ci si sfugge a meno che non si riassestino quei valori che hanno visto sorgere la grande civiltà cristiana europea, donatrice di arte, di bellezza, di nobile corposità di cui ancor oggi, nonostante i detriti del più becero materialismo, si può godere un limpido ritratto. Comprovato storicamente è che dove vi è Dio ivi è tutto: la bellezza, il profumo, la stabilità sotto i piedi; dove non vi è Dio là si trova il deterioramento,  la bruttezza che proviene dall’uomo che non si abbevera più alla Fonte del suo Creatore. E allora sarà qualcosa di destinato a scomparire per la sua instabilità, per il suo non essere opera di Dio.
Siamo arrivati al punto di dover costruire “musei ambientali” e parchi artificiali per contemplare la natura. L’industria, l’economia, il tumulto e il chiasso delle città hanno spazzato via il bello e lo hanno isolato a monumento da costruire con mezzi straordinari. Quanto folle è mai questo sol Dio lo sa.

Un po’ di tutte queste cose alimentano e nutrono la vita del Comitato “Beata Giovanna Scopelli”, che sabato 29 luglio, alle ore 10:30, partendo da via San Giuliano, si ritroverà a Rimini per una nuova Processione di riparazione al “Summer Pride” organizzato sulle spiagge riminesi, segno tangibile della violazione di ciò che è il Diritto (quello vero) nella sua essenza e nella sua forma più profonda.